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Notiziario Marketpress di Giovedì 05 Ottobre 2006
 
   
  I LAVORI DELL’ARTISTA ALEXANDER BRODSKY COMMENTATI DAL GIORNALISTA E ARCHITETTO RUSSO SERGEI SITAR

 
   
  Milano, 5 ottobre 2006 1/ One Laptop for Child: può davvero essere un nuovo modello educativo per i paesi sottosviluppati? domus affronta questo mese le problematiche legate allo sviluppo del progetto One Laptop Per Child (Olpc), sostenuto da una omonima organizzazione no-profit, che nasce dall’incontro di diverse organizzazioni sponsor tra cui Google, Red Hat, Amd, Brightstar, News Corp e il Mit Media Lab. L´iniziativa si pone l’obiettivo di progettare, produrre e distribuire laptop (denominati 2B1) da 140 dollari per fornire a ogni bambino del mondo, specie a quelli nei paesi in via di sviluppo, l´accesso alla conoscenza e alle moderne forme educative. Domus discute delle potenzialità di questo progetto con Walter Aprile, professore associato di Tecnologie Informatiche presso l´Interaction Design Institute di Ivrea, e Yves Béhar designer di fama internazionale e fondatore di Fuseproject - il suo design studio a San Francisco - che ha partecipato direttamente al progetto Olpc. Walte Aprile descrive a domus le perplessità legate alli sviluppo di Olpc: la prima deriva dal fatto che il principale fornitore, Quantas, produrrà le schede madri solo di fronte a ordini per milioni di pezzi, che ad oggi non esitono. A questi problemi di ordine pratico si aggiungono perplessità di natura economica, sociale e pedagogica: ‘dal punto di vista economico infatti, spiega Aprile, è quanto meno imprudente chiedere a un governo di spendere 140 dollari per studente su un progetto la cui efficacia è sconosciuta, specie se paragonato con spese didattiche che funzionano di sicuro: professori, penne, carta, lavagna’. Aprile afferma: ‘Ho fatto un salto sulla sedia quando mi sono accorto dell´assioma che sostiene Olpc: i problemi dell´educazione nei paesi in via di sviluppo non sono la mancanza di risorse, o la corruzione, o la dispersione geografica. Il problema è che il loro ambiente educativo va cambiato bombardandolo con dei laptop!’. I lati positivi di questo progetto sono invece sottolineati da Yves Béhar, che, in questo dibattito sulle pagine di domus, rappresenta la parte della ‘difesa’. Dal suo punto di vista le critiche aspre che sono state dirette a Olpc nascono dall’errore di pensare che Olpc sia un progetto pensato solo per i bambini poveri, mentre è prima di tutto un programma educativo che vuole offrire sostegno all’interno di un sistema. Antiquata è anche l’idea che il progetto si fondi sull’egualianza povertà - tecnologie obsoleta - basso costo: parte della tecnologia del 2B1 è più all’avanguardia di quella dei più costosi computer oggi sul mercato. A ciò si aggiunge l’approccio open-source, il più grande pregio del progetto, che, svincolato dalle logiche del business, si basa sulla convinzione che sia la libertà ad aprire le porte all’innovazione. 2/ Il lavoro di Alexander Brodsky secondo l’architetto e giornalista russo Sergei Sitar L’architetto e giornalista russo Sergei Sitar analizza sul numero di domus in edicola il lavoro dell’architetto Alexander Brodsky protagonista del Padiglione Russia alla Biennale di Architettura di Venezia. Sitar ripercorre il percorso creativo di Brodsky, che può essere suddiviso in tre fasi successive, che tendono a sovrapporsi: le opere su carta (in stretta collaborazione con Ilya Utkin), le installazioni artistiche e i suoi lavori come architetto. Nella fase delle installazioni artistiche Brodsky si confronta con la domanda “che cosa è quello che è?” in tutta la sua immediatezza e necessità pratica. Nelle sue opere ‘preconfezionate’ presenta oggetti salvati a un passo dalla loro definitiva scomparsa, ormai sull’estremo confine della sfera dell’attenzione umana e prossimi all’annientamento: vecchi teli impermeabili, vasche da bagno arrugginite, pneumatici consumati. Ricorre infatti in tutti i lavori di Brodsky, sia artistici che architettonici il tema della memoria. I ricordi sono parte integrante di ogni essere umano, sono la dimensione nascosta della realtà, anche al di là della memoria consapevole. Brodsky sente la necessità di una presa di coscienza della fatalità e della continuità fra passato e futuro, senza melanconia o nostalgia, ma piuttosto velata da sottile ironia. Resti e tracce del passato rivivono continuamente ed acquistano sempre nuovi significati. Per Sitar grade importanza nello sviluppo dell’opera di Brodsky va attribuita al fatto che in Russia il contesto culturale, filosofico e politico si distingue da quello in Europa o negli Stati Uniti per due aspetti, innanzitutto l’ideologia del totalitarismo russo e i suoi eccessi non sono stati ispirati dall’idealismo, ma sono strettamente legati a un materialismo radicale; secondariamente il panorama politico russo ci mostra le rovine di un impero tra le quali si intuiscono i primi segni di un nuovo stato. Ne deriva una visione positiva dell’idealismo, come dimostrano proprio le opere di Brodsky, che mostrano una versione del principio dell’autonomia estetica in architettura. 3/ Un riflessione critica su Chardigarh di Le Corbusier domus propone sul numero in edicola una riflessione su Chandigarh, la città-capitale del Punjab orientale, alla cui realizzazione Le Corbusier ha lavorato a partire dal dicembre del 1950. La fondazione della nuova città era stata determinata dagli eventi del 1947, quando l’indipendenza conquistata dall’India e la secessione del Pakistan avevano provocato sconvolgenti spostamenti di popolazione. Lo stato del Punjab era così risultato spezzato in due parti, con la capitale storica di Lahore all’interno dei confini pakistani e la necessità di individuare una nuova capitale per il Punjab orientale. L’incarico di costruire la nuova capitale fu affidato in un primo momento ad Albert Mayer. Mayer si proponeva di fare una città ‘fortemente indiana nel suo carattere e nelle sue funzioni e, al tempo stesso, moderna’, come rappresentavano precisamente gli schizzi architettonici sviluppati da un giovane architetto polacco, Matthew Novicki. Ma la morte di Novicki il 31 agosto 1950, aprì inaspettatamente un nuovo capitolo della vicenda di Chandigarh, dal quale Albert Mayer verrà estromesso. L’incarico fu affidato allora a Le Corbusier che accettò di affiancare gli inglesi Maxwell Fry e Jane Drew e il cugino Pierre Jeanneret. Le Corbusier si limiterà a delegare ai suoi più giovani colleghi la quasi totalità delle opere architettoniche, concentrandosi nella progettazione del complesso monumentale del Capitol. Il Capitol di Chandigarh rappresentava per il suo architetto assai di più che il centro politico della nuova capitale del Punjab, rappresentava una nuova stagione dell’umanità, una ‘seconda età della macchina’, nella quale il conflitto tra tradizione e nuovo, tra paesi ricchi e paesi poveri sarebbe stato finalmente e definitivamente risolto. Chandigarh è stata a lungo considerata uno dei prototipi contraddittori del fallimento dell’urbanistica moderna. Eppure Chandigarh esiste, e non è difficile pensare che gli abitanti (attualmente sono un milione) vi vivano in condizioni di maggior decoro che negli altri grandi agglomerati metropolitani del subcontinente. E dietro la collinetta artificiale che lo sottrae alla vista, ancora si nasconde l’enigma meraviglioso del complesso architettonico del Capitol, sognato e costruito per un nuovo mondo, di cui continuiamo ad aspettare l’avvento. .  
   
 

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