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Notiziario Marketpress di Giovedì 15 Ottobre 2009
 
   
  QUANDO I COLONIALISTI ERAVAMO NOI: “BRAVA GENTE?” PRIMA NAZIONALE A FIRENZE PER LA MOSTRA SULL´OCCUPAZIONE ITALIANA DELLA LIBIA PER LA CONQUISTA ANCHE FORCHE, CAMPI DI CONCENTRAMENTO E FILO SPINATO

 
   
  Firenze, 15 ottobre 2009 - Oltre 70 pannelli con centinaia di documenti originali che in sei sezioni tematiche raccontano l´occupazione italiana della Libia fra il 1911 e il 1943 con particolare riferimento alla violenza che caratterizzò questa avventura (4 mila morti solo nel 1911 e altri 80 mila nel periodo successivo: si calcola che un decimo dell´intera popolazione libica sia perito). E´ la mostra (“Violenza e colonialismo”) organizzata dal Centro libico per l´Archivio Nazionale e gli Studi Storici: si inaugura a Firenze giovedì 15 ottobre (ore 18) nella sala “Nicola Pistelli” di Palazzo Medici Riccardi (via Cavour 3) su iniziativa di Regione Toscana tramite l´Istituto Storico della Resistenza in Toscana e resterà aperta tutti i giorni (mercoledì escluso) fino all´8 novembre. All´inaugurazione intervengono, fra gli altri, l´assessore toscano alla Cultura Paolo Cocchi, il presidente della Provincia di Firenze Andrea Barducci, il vice-ambasciatore di Libia in Italia Alì A. E. Ahmed. “E´ la prima volta che la mostra, nel suo insieme, viene vista in Italia – ha precisato Cocchi – e siamo lieti di poterla ospitare a Firenze nel nome di una cultura della memoria che deve squarciare il pesante velo di silenzio depositato sull´esperienza coloniale del nostro Paese”. Il “grande valore scientifico e divulgativo” della mostra, presentata a Tripoli lo scorso agosto nella versione anglo-araba, è stato sottolineato da Simone Neri Serneri, direttore dell´Istituto Resistenza in Toscana. Dopo Firenze – ha precisato Costantino Di Sante, curatore di parte italiana – la mostra andrà in alcune città italiane (iniziando da Bolzano, Merano, Verona, Ancona) mentre la versione anglo-araba volerà a New York e Londra. I pannelli della prima sezione (“Il colonialismo”) son o dedicati alla ricostruzione del fenomeno in Europa con particolare riferimento all´Africa. Si affronta la nascita del colonialismo italiano con gli sviluppi: le colonie italiane in Eritrea (1884-1941), Somalia Italiana (1890-1941), Tiensin in Cina (l´odierna Tianjin, 1901-1944), Dedocaneso (1912-1943); Etiopia (1936-1941); Albania (1939-1943). Segue la sezione (“L´occupazione e le deportazioni”) sull´inizio (1911) dell´impresa italiana in Libia. Vengono evidenziate le manifestazioni più violente: violenze, eccidi, impiccagioni (“E´ ridicolo discutere ancora sulla opportunità della forca: la forca incute terrore salutare e risparmia molte fucilazioni”), rastrellamenti (“Sono uomini di tutte le età: negri di faccia orrenda e arabi di puro profilo”), deportazioni di migliaia di resistenti, ma anche di donne e bambini, nelle carceri e nelle colonie in Italia (Gaeta, Tremiti, Ustica, Ponza, Favignana). Si passa, s otto il fascismo, a “La riconquista”, con la sconfitta della resistenza libica. Una parte importante nella politica coloniale italiana la ebbero i “campi di concentramento”, cui è dedicata la sezione successiva. 15 campi (“Il campo ha la forma di castrum romano. Ogni lato misura milleduecento metri. Dentro vi sono otto quadrati e ogni quadrato conta da quindici a venti file”): qui migliaia di libici perirono di stenti, malattia e fame. Per impedire le “fughe in Egitto”, fra l´aprile e il settembre 1931, venne costruito il “reticolato confinario”: una barriera in filo spinato larga quattro metri, vigilata da tre ridotte, con tre campi di aviazione, lunga 270 km dalla costa per l´intero confine con l´Egitto. Vi lavorarono 2. 500 operai, in gran parte cirenaici internati nei campi (“il reticolato di frontiera è un´opera colossale – scrisse il maresciallo Rodolfo Graziani - un filo lungo 49. 980. 928 metri bastevole quindi a cingere per una volta e un quarto la terra all´equatore”). Dopo questo tipo di “pacificazione”, la Libia divenne appetibile per nuovi investimenti e per attrarre coloni dalla madrepatria: se ne occupa la penultima sezione, dedicata alla “valorizzazione della colonia”. Il principale artefice fu Italo Balbo con grandi interventi in campo agricolo e nelle opere pubbliche (fra cui la “via Balbia”, una strada litoranea di 1. 800 km, nonché 400 km di linee ferrate e 4. 000 km di strade). Al 30 giugno 1939 quasi il 13% della popolazione libica era composta da italiani (108. 419 su 876. 563 abitanti censiti). A Tripoli gli italiani superavano il 37% della popolazione. L´ultima sezione (“La guerra e la fine del colonialismo”) racconta il secondo conflitto mondiale quando ripresero internamenti e deportazioni di libici accusati di collaborare con il nemico. Tripoli fu bombardata 41 volte ed è s tato calcolato che, durante la guerra, la Libia sia stata disseminata da un minimo di 5 a un massimo di 14 milioni di mine anti-uomo e anti-carro (oltre 5 mila le vittime accertate fino ad oggi, con migliaia di mutilati). Il “nostro” colonialismo in Libia, dopo oltre trenta anni di occupazione, termina nel gennaio 1943. E presto viene rimosso ciò questo fenomeno ha determinato: non solo strade e ponti ma anche violenze, distruzioni, mine, lutti. Dal balcone in piazza Venezia, il 5 maggio 1943, Benito Mussolini disse: “Io so, io sento che milioni e milioni di italiani soffrono di un indefinibile male che si chiama male d´Africa. Per guarirne non c´è che un mezzo: tornare. E torneremo!”. .  
   
 

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