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Notiziario Marketpress di Lunedì 23 Novembre 2009
 
   
  LA DONNA TRENTINA FRA FAMIGLIA E LAVORO FLESSIBILITÀ E SERVIZI ALLA FAMIGLIA I FATTORI CONDIZIONANTI

 
   
  Trento, 23 novembre 2009 - Presentato il 19 novembre a Sociologia il rapporto sulla condizione femminile in Trentino, "Le Donne Trentine Tra Famiglia E Lavoro", risultato di un´indagine effettuata dall´Università degli studi di Trento in collaborazione con l´Opes, l´Osservatorio permanente per l´economia, il lavoro e per la valutazione della domanda sociale, e il Servizio Statistica della Provincia autonoma di Trento. Presenti l´assessore provinciale alla solidarietà internazionale e alla convivenza, Lia Giovanazzi Beltrami, il professor Antonio Schizzerotto, coordinatore della pubblicazione con la dirigente del Servizio statistica Giovanna Fambri, Federica Santangelo e Giovanna Beccalli. Il rapporto cerca di chiarire in particolare perché i tassi di attività femminile in Trentino siano più elevati rispetto al resto del paese, ma inferiori rispetto agli standard europei e a quelli della componente maschile, ed eventualmente come fare per modificare questa situazione. Poco più di una donna trentina su cinque (21,0%) risulta inattiva, anche se la grande maggioranza di queste ultime dichiara di aver compiuto almeno un’esperienza di lavoro. L’abbandono dell’occupazione è avvenuto, in otto casi su dieci, per dimissioni volontarie. I fattori chiave sembrano essere da un lato l´arrivo di un figlio, che induce molte donne ad abbandonare il lavoro, per la difficoltà a conciliarlo con i tempi da dedicare alla famiglia, e dall´altro il titolo di studio (quanto più è elevato tanto più la donna è spinta a investire di più nell´attività lavorativa). I fattori condizionanti per il rientro al lavoro sono invece la flessibilità (non solo in termini di part time ma anche di vicinanza del posto di lavoro all´abitazione e di possibilità di modulare gli orari) e il miglioramenti dei servizi per l´infanzia. Ad aprire i lavoro l´assessore Lia Giovanazzi Beltrami, che si è detta convinta del fatto che, nonostante le tante misure prese in Trentino in favore della famiglia, rimanga ancora un cammino da compiere, e per farlo "bisogna innanzitutto disporre dei dati giusti, mentre constatiamo come quelli fondamentali ancora non sono conosciuti. Perciò le rilevazioni come quella presentata stamani sono importanti. " Il professor Schizzerotto ha ripreso la questione del lavoro femminile, per sottolineare come "la miglior assicurazione per il benessere della comunità, per la prevenzione della povertà e anche per l´equilibrato sviluppo del bambino sia la partecipazione della donna al mercato del lavoro, a patto che sia una partecipazione qualificata. " Giovanna Fambri ha esposto la metodologia della ricerca, uno studio complesso basato su quattro rilevazioni campionarie diverse, due Istat (condotte dal Servizio Statistica della Provincia) e due svolte nell´ambito di Opes. Scheda: La ricerca "Le donne trentine fra famiglia e lavoro" La ricerca è stata svolta su istanza della Presidenza della Provincia autonoma di Trento, al fine di comprendere la posizione che le donne ricoprono all’interno del mercato del lavoro nella provincia di Trento e le motivazioni che le spingono ad allontanarsi dalla sfera lavorativa o a non entrarvi mai. Al fine di approfondire e arricchire la descrizione della realtà femminile in Trentino è stata effettuata una comparazione con il contesto nazionale. Gli interrogativi a cui si è cercato di rispondere erano quindi in sostanza: l’inattività femminile è un problema in Trentino? Qual è il ruolo della flessibilizzazione degli orari di lavoro nel consentire alle donne di conciliare un’occupazione retribuita con gli impegni di cura familiare? Detto altrimenti, il lavoro a tempo parziale, segrega, come alcuni sostengono, le donne in occupazioni a bassa possibilità di carriera e meno remunerative oppure, come ritengono altri, rappresenta una opportunità di conciliazione tra ruoli familiari e professionali? L’inattività è una scelta determinata dalla struttura delle preferenze di alcune donne che, all’avere un’occupazione, preferiscono la vita familiare? Ed ancora: quali sono i motivi di insoddisfazione lavorativa che contribuiscono ad allontanare le donne dal mercato del lavoro? Come vengono ripartiti gli oneri familiari all’interno della coppia? Fino a che punto restano a carico delle donne indipendentemente dalle preferenze o dalla condizione occupazionale? Come e quanto incidono gli eventi del ciclo di vita, quali l’inizio di un’unione e la nascita di un figlio, sulla vita professionale delle donne? Infine, si è cercato di capire quali fattori incentiverebbero le inattive a cercare nuovamente un’occupazione. Per rispondere a tali interrogativi si è fatto ricorso ad una pluralità di fonti statistiche: due indagini locali, quella sulla Condizione femminile e quella sulle Condizioni di vita delle famiglie trentine condotte da Opes in collaborazione con il Servizio Statistica della Provincia; e due rilevazioni nazionali Istat, la Multiscopo sull’Uso del Tempo e la Rilevazione Continua delle Forze di Lavoro. L´indagine ha rilevato innanzitutto come i tassi di attività femminile in Trentino siano più elevati rispetto al resto del paese, ma si attestano a livelli inferiori rispetto agli standard europei e ben al di sotto di quelli relativi alla componente maschile. Osservando il tasso di attività della popolazione tra i 15 e i 64 anni, si nota, infatti, che le donne trentine (con un tasso pari al 58,8% per il 2007) si collocano in una posizione più favorevole rispetto alle italiane (che presentano un tasso di attività pari al 50,7%) ma considerevolmente inferiore sia rispetto agli uomini trentini (77,6%) sia rispetto alla componente femminile dell’Ue-15 (64,8%). Soffermandosi sul campione di donne tra i 25 e i 54 anni (ossia su quello considerato nell’indagine locale sulla condizione femminile), si osserva un tasso di attività pari al 79,0%. All’interno del gruppo delle donne attive, il 92,1% risultano occupate (quasi sempre alle dipendenze), mentre le restanti sono in cerca di occupazione o in congedo lavorativo. Come si è implicitamente accennato sopra, poco più di una donna trentina su cinque (21,0%) risulta inattiva. Da notare, però, che la grande maggioranza di queste ultime dichiara di aver compiuto almeno un’esperienza di lavoro. L’abbandono dell’occupazione è avvenuto, in otto casi su dieci, per dimissioni volontarie. Complessivamente, è emerso come l’istruzione e la presenza di figli piccoli nel nucleo familiare, siano variabili chiave per spiegare lo stato di inattività di molte donne. Da un lato, il possesso di titoli di studio elevati spinge le donne ad investire maggiormente nell’attività lavorativa, dall’altro la presenza di figli pone in luce le difficoltà nel conciliare responsabilità familiari e lavoro remunerato. Nella provincia di Trento, in linea con quanto accaduto in tutti i paesi dell’Oecd (soprattutto in quelli del Nord Europa), si è registrato inoltre un consistente incremento delle occupate con orario ridotto, che nel 2007 ha raggiunto il 36,5% (a livello nazionale tale valore è pari al 27,3%). Molto più che per le donne italiane, per quelle trentine che ne usufruiscono si tratta di una vera e propria scelta e non di un ripiego legato all’impossibilità di trovare valide alternative. I dati mostrano che sono soprattutto le donne con bassi livelli di istruzione e con figli piccoli a scegliere l’orario ridotto. Il part-time risulta, inoltre, essere la “condizione ipotetica ideale” di lavoro per più di due terzi delle donne occupate. Sulla base delle loro personali preferenze (e seguendo la teoria di K. Hakim) è stato possibile distinguere tre idealtipi di donne in Trentino: 1) quelle orientate esclusivamente alla famiglia (10% delle donne) che, per l’appunto, desiderano dedicarsi interamente alla vita familiare; 2) quelle (50%) orientate alla combinazione tra la famiglia e il lavoro; 3) quelle (40%) orientate al lavoro, fortemente determinate a investire nel mondo delle occupazioni. Le analisi condotte smentiscono l’ipotesi secondo cui le scelte lavorative dipendono solo dal sistema delle preferenze personali. In effetti, a parità di queste ultime, altre variabili continuano ad esercitare effetti consistenti sul rischio di essere inattiva, come, ad esempio, la presenza di figli conviventi di età compresa fra zero e sei anni o l’assenza di aiuti per la cura dei figli. Il motivo più consistente di insoddisfazione delle donne che sono uscite dal mercato del lavoro è da ricondurre alle scarse opportunità di carriera (quattro quinti delle ex-occupate trentine afferma di non aver percepito la possibilità di crescita nel proprio ambiente di lavoro). Da notare, ancora, che i livelli medi di soddisfazione nei confronti della propria occupazione svolta risultano decisamente contenuti per ciò che riguarda la flessibilità degli orari di lavoro. Ciò è tanto più vero quanto meno qualificate sono le occupazioni svolte. Sebbene le donne attive dedichino un numero inferiore di ore alla cura della casa e dei figli rispetto alla componente inattiva, il loro carico di lavoro casalingo resta ben al di sopra di quello dei loro partner, anche se gli uomini trentini si dimostrano un po’ più collaborativi rispetto alla media degli italiani. Le donne che transitano dallo stato di attività a quello di inattività lo fanno in prossimità dell’inizio dell’unione coniugale e soprattutto in corrispondenza di una gravidanza e della presenza di figli in età compresa tra 0 e 3 anni. Le donne che con maggiore probabilità rientrano nel mercato del lavoro sono quelle che svolgono occupazioni altamente qualificate e, comunque, con qualificazioni più elevate di quelle connesse al ruolo lavorativo svolto dal coniuge o convivente. Tuttavia, l’assenza di servizi di cura per i figli in età prescolare, in particolare l’assenza di asili nido, può, a parità di altre condizioni, costituire un forte ostacolo all’attività. Più della metà delle donne inattive non mostrano un esplicito desiderio di esercitare un’occupazione. Circa un quinto non ha mai cercato di entrare nel mercato del lavoro, ma rimpiange di non essere occupata. Il restante 22% ha dichiarato di aver tentato invano di trovare un impiego. Sono le donne con i livelli di istruzione più elevati, più giovani e prive di legami di coppia a mostrare un desiderio maggiore di lavorare. Il 33,1% di tutte le casalinghe può essere definita casalinga per scelta, perché non mostra alcun interesse verso il lavoro extra domestico. Il 50,6% comprende le casalinghe sì fortemente orientate verso la cura domestica, ma anche interessate a rientrare nel mercato del lavoro qualora disponessero di condizioni in grado di facilitare la conciliazione tra occupazione e famiglia. Infine, il terzo gruppo di casalinghe è costituito da donne che sono tali per costrizione (16,3%), ovvero da quelle che vivono il loro stato di inattività come vincolo subito e che rientrerebbero immediatamente nel mercato del lavoro se solo avessero situazioni familiari favorevoli. Le analisi evidenziano come siano la flessibilità dell’orario di lavoro e la disponibilità dei servizi di cura per l’infanzia i due principali strumenti in grado di incentivare la partecipazione al mercato del lavoro delle donne inattive, poiché permettono loro di svolgere un’attività remunerata pur continuando ad occuparsi dei compiti inerenti la cura e la gestione della famiglia. .  
   
 

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