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Notiziario Marketpress di
Martedì 10 Settembre 2013 |
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PER PROTEGGERE IL CUORE DEL PERSONE CON DIABETE NON BASTA ABBASSARE LA GLICEMIA, MA È NECESSARIO AGIRE SU PIÙ FRONTI CONTEMPORANEAMENTE: COLESTEROLO LDL, HDL, TRIGLICERIDI E PRESSIONE ARTERIOSA. SENZA DIMENTICARE PESO CORPOREO, DIETA ED ESERCIZIO FISICO
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Roma, 10 settembre 2013 - Le malattie cardiovascolari
rappresentano la principale causa di morte, disabilità e ricovero ospedaliero
tra i pazienti con diabete mellito di tipo 2: in questi pazienti l’incidenza è
infatti circa il doppio che nella popolazione generale, come già dimostrato
dall’analisi Arno eseguita dalla Società Italiana di Diabetologia (Sid) in
collaborazione con Cineca, e la mortalità dopo un primo infarto nelle persone
con diabete è molto più alta che nella popolazione generale. Questo rischio
così elevato è dovuto in gran parte al fatto che i maggiori fattori di rischio
cardiovascolare (aumento del colesterolo, elevati livelli di trigliceridi,
bassi livelli di colesterolo Hdl ed ipertensione arteriosa) sono più frequenti
e hanno conseguenze più gravi nelle persone con diabete, rispetto a quelle
senza diabete.
Per questo è così importante fare prevenzione primaria
tra le persone con diabete: tutte le linee guida per la riduzione del rischio vascolare
raccomandano, infatti, un controllo ottimale dei valori di glicemia e degli
altri fattori di rischio cardiovascolari (in particolare della pressione
arteriosa e dei livelli di colesterolo). “Purtroppo – commenta la professoressa
Olga Vaccaro, docente di nutrizione presso l’Università Federico Ii di Napoli e
componente del comitato scientifico del centro studi ricerca della Sid e primo
autore dello studio Mind It – nella pratica clinica questi obiettivi vengono
raggiunti solo in una minoranza di pazienti con diabete. Il gap di
implementazione tra le linee guida e la pratica clinica non è un fenomeno
limitato all’Italia e si spiega in larga parte con la complessità della cura
della malattia diabetica che richiede interventi multifattoriali e l’adesione
sia alla terapia farmacologica che ad uno stile di vita sano”.
Ma migliorare è possibile. Lo studio Mind It (Multiple
Intervention in type 2 Diabetes Italy), appena pubblicato online first sulla
rivista Diabetes Care* edita dalla American Diabetes Association, è uno studio
multicentrico, nato da un’idea del gruppo di studio sull’arteriosclerosi della
Società Italiana di Diabetologia. La ricerca appena conclusa ha confrontato una
strategia di trattamento multifattoriale mirata alla correzione ottimale
dell’iperglicemia e degli altri principali fattori di rischio cardiovascolare,
nella pratica clinica abituale, nei pazienti con diabete di tipo 2 senza eventi
cardiovascolari precedenti. L’obiettivo era di valutare la fattibilità di un
trattamento esteso a tutti i fattori di rischio cardiovascolari e quantificare
la sua efficacia nella pratica clinica quotidiana.
Al Mind It hanno partecipato nove centri diabetologici
italiani (Bari, Carrara, La Spezia,
Roma, Pisa, Pavia, Perugia, Piacenza, Torino), che hanno reclutato 1461
pazienti di età compresa tra 50 e 70 anni, con diabete di tipo 2 diagnosticato
da almeno 2 anni e con elevato rischio cardiovascolare definito dalla presenza
di 2 o più fattori di rischio cardiovascolare. Cinque dei centri partecipanti
sono stati casualmente selezionati per applicare il trattamento convenzionale
di questi pazienti, mentre i restanti 4 venivano invitati ad agire secondo
linee guida adottando un approccio multifattoriale. Questo approccio
comprendeva un intervento sugli stili di vita (dieta ed esercizio fisico), sul
controllo glicemico e sul profilo lipidico (non solo il colesterolo Ldl ed i
trigliceridi che hanno effetti favorenti l’arteriosclerosi ma anche le Hdl con
azione anti-aterogena) della pressione arteriosa e del peso corporeo (calo
ponderale del 5%); inoltre prevedeva l’aggiunta di una terapia antiaggregante
con aspirina a basse dosi.
Dopo 2 anni di follow up gli obiettivi terapeutici
sono stati centrati in maniera significativamente maggiore nel gruppo in
trattamento multifattoriale che tra i pazienti sottoposti al trattamento
convenzionale: l’emoglobina glicata è risultata entro i limiti nel 54% dei
pazienti del gruppo di trattamento ‘intensivo’, contro il 22% del gruppo
sottoposto a trattamento convenzionale; gli obiettivi per il colesterolo Ldl
sono stati centrati nel 43% dei pazienti del gruppo ‘intensivo’ contro il 24%
‘convenzionale’; quelli per i trigliceridi nell’82% del gruppo intensivo contro
il 64% del gruppo ‘convenzionale’ , quelli per il colesterolo Hdl nel 95% dei
pazienti del gruppo intensivo e nell’ 82% di quello ‘convenzionale’; infine gli
obiettivi di pressione arteriosa sono stati raggiunti nel 23% dei pazienti del
gruppo ‘intensivo’ contro il 6% del gruppo ‘convenzionale’. Il miglioramento
del compenso glicemico nel gruppo sottoposto a trattamento intensivo non è
stato inoltre accompagnato da un aumento del peso corporeo che anzi risultava
ridotto grazie all’intervento sullo stile di vita.
“Si tratta di ottimi risultati: e tuttavia –
sottolinea la professoressa Vaccaro – anche nel gruppo di trattamento
‘intensivo’ solo una parte dei pazienti,
ma non la totalità, raggiungeva gli obiettivi desiderati di controllo glicemico
e degli altri fattori di rischio, a conferma della complessità del trattamento
di una patologia cronica multifattoriale come il diabete”. In conclusione lo
studio Mind It dimostra che:
• nella
pratica clinica è possibile adottare interventi terapeutici ‘intensivi’ per
promuovere un trattamento ottimale del diabete e dei fattori di rischio
cardiovascolare;
• che
l’intensificazione del trattamento si associa ad un miglior compenso glicemico
e a una potenziale riduzione del rischio di eventi cardiovascolari;
• al contrario
di altri studi, nello studio Mind It il miglioramento del compenso glicemico
non si associava ad un aumento del peso corporeo (probabilmente perché tra gli
obiettivi dell’intervento multifattoriale in questo studio era previsto anche
il controllo del peso corporeo);
• nonostante
gli ottimi risultati ottenuti, la qualità del trattamento, anche al’interno del
gruppo ‘intensivo’, rimane subottimale: dopo due anni di intervento solo un
paziente su due raggiunge l’obiettivo terapeutico per l’emoglobina glicata;
solo 1 su 3 raggiunge valori ottimali di colesterolo e pressione arteriosa;
solo un ristrettissimo numero di pazienti inoltre centrava tutti gli obiettivi.
Tutto ciò suggerisce che ci sono ampi margini di
miglioramento per la prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nel
diabete mellito di tipo 2 e che è possibile nella pratica clinica quotidiana
applicare un protocollo di trattamento intensivo mirato a tutti i fattori di
rischio cardiovascolare, oltre che al compenso glicemico.
Certamente ci sono delle difficoltà, legate in
particolare a problemi organizzativi (spazi insufficienti, personale carente),
ma anche all’inerzia terapeutica e alla scarsa compliance del paziente.
Altri Paesi, alla ricerca di possibili soluzioni al
problema, hanno introdotto ad esempio dei programmi di incentivazione
finanziaria per i medici sulla base dei valori di alcuni indicatori di qualità
per il trattamento del diabete. I risultati sono stati incoraggianti ma,
secondo gli esperti, questa metodologia di lavoro non favorisce né la
motivazione del paziente, né la continuità del trattamento.
Nello studio Mind It il gruppo dei pazienti sottoposti
a trattamento intensivo veniva sottoposto a controlli ambulatoriali
quadrimestrali. Questa periodicità delle visite di controllo, associata
all’applicazione di un protocollo di
trattamento a gradini mirato al raggiungimento degli obiettivi
terapeutici, rappresenta probabilmente il fattore chiave del successo nel
gruppo di trattamento ‘intensivo’ ed è allo steso tempo compatibile con
l’organizzazione della assistenza diabetologica sul territorio nazionale.
“La malattia cardiovascolare – commenta il professor
Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia - continua
a essere un problema maggiore tra le persone con diabete. Precedenti studi e
questa esperienza italiana indicano però che si possono ottenere risultati
importanti se i fattori di rischio cardiovascolare vengono ‘tutti’ aggrediti.
La realtà clinica purtroppo non è sempre adeguata alle evidenze. La Società
Italiana di Diabetologia ha sostenuto questo studio perché era necessario
dimostrare quanto diffusa fosse la cultura di un approccio multifattoriale e
quanto questo fosse possibile nella nostra realtà clinica. I risultati sono
incoraggianti e comunque da ulteriore stimolo affinché Sid continui in questa
sua opera di formazione e sensibilizzazione della diabetologia italiana”.
“Feasibility and
Effectiveness in Clinical Practice of a Multifactorial Intervention for the
Reduction of Cardiovascular Risk in Patients With Type 2 Diabetes - The 2-year
interim analysis of the Mind.it study: a cluster randomized trial”.
Olga Vaccaro, Md, Laura Franzini, Md, Roberto Miccoli,
Md, Franco Cavalot, Md, Diego Ardigò, Md, Massimo Boemi, Md, Pierpaolo De Feo,
Md, Gianpaolo Reboldi, Md, Phd, Msc, Angela Albarosa Rivellese, Md, Mariella
Trovati, Md, Ivana Zavaroni, Md (on behalf of the Mind.it Study Group)
Pubblicato on line first su Diabetes Care il 17 luglio
2013
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