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Notiziario Marketpress di Lunedì 23 Settembre 2013
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: IL TRIBUNALE ANNULLA LA DECISIONE DELLA COMMISSIONE CHE HA CONSIDERATO AIUTO DI STATO LA REMUNERAZIONE DI POSTE ITALIANE, DA PARTE DEL TESORO, DELLA LIQUIDITÀ RACCOLTA CON I CONTI CORRENTI POSTALI

 
   
  Poste Italiane Spa («Pi») è un’impresa controllata dallo Stato italiano. Essa fornisce il servizio postale universale ed esercita attività bancarie su tutto il territorio italiano. Le attività bancarie non sono comprese nei suoi obblighi di servizio di interesse economico generale. Esse sono gestite da una divisione interamente integrata, Bancoposta, che offre un servizio di conto corrente postale. Dal 2001 in poi, le caratteristiche di tale servizio sono simili a quelle di un comune conto corrente. Inoltre, Pi colloca diversi prodotti finanziari e di investimento, tra cui alcune polizze assicurative emesse da una società da essa controllata al 100%, Poste Vita Spa. Il servizio dei conti correnti postali era essenzialmente disciplinato da una legge del 1917 e sin dal 1945 era previsto l’obbligo di versare su un conto corrente fruttifero, aperto presso la Cassa Depositi e Prestiti, le somme raccolte tramite i conti correnti postali («vincolo d’impiego»). La legge finanziaria 2006 ha previsto che, attraverso una convenzione, il Ministero dell’economia e delle finanze e Pi definissero i parametri di mercato e le modalità di calcolo del tasso di remunerazione che Pi avrebbe percepito per il deposito presso la Tesoreria dello Stato di dette liquidità. La remunerazione annua era calcolata come media ponderata dei rendimenti medi annui dei Buoni del Tesoro Poliennali («Btp») a 30 anni (per l’80% del deposito) e a 10 anni (per il 10% del deposito) e dei Buoni Ordinari del Tesoro («Bot») a 12 mesi (per il 10% del deposito). Gli interessi, in tal modo calcolati per gli anni 2005 e 2006, del 3,9% e del 4,25%, sono stati liquidati alla ricorrente, rispettivamente, nel 2006 e nel 2007. La legge n. 296/2006 ha poi modificato la legge finanziaria 2006 e ha stabilito le somme provenienti dai conti correnti postali appartenenti alla clientela privata dovevano essere investiti in titoli di Stato dell’area euro. Nel dicembre 2005, l’Associazione Bancaria Italiana presentava denuncia alla Commissione contro Pi. A suo parere, il deposito presso la Tesoreria dello Stato delle somme provenienti dai conti correnti postali (tasso d’interesse attivo) apportava alla ricorrente un interesse del 4% circa, mentre Bancoposta remunerava i conti correnti a un tasso dell’1% circa (tasso d’interesse passivo). Il differenziale positivo tra il tasso passivo e il tasso attivo sarebbe superiore rispetto a quello di mercato e rappresenterebbe pertanto un aiuto di Stato. Nel 2006, la Commissione comunicava alla Repubblica italiana la sua decisione di avviare il procedimento di verifica dell’aiuto di Stato. In esso, le autorità italiane hanno sostenuto che il tasso di remunerazione previsto dalla Convenzione era stato fissato in funzione dei parametri di mercato e che esso non attribuiva a Pi alcun vantaggio. Il 16 luglio 2008, con la decisione 2009/178/Ce la Commissione ha concluso che la remunerazione concessa dal Ministero alla ricorrente costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune e ne ha ordinato il recupero. Al fine di stabilire l’esistenza di un vantaggio, la Commissione si è basata su un confronto tra il tasso versato alla ricorrente dal Ministero in virtù della Convenzione («tasso della Convenzione») e il tasso che, a suo parere, sarebbe stato fissato da un mutuatario privato diligente in un’economia di mercato, in condizioni comparabili («tasso del mutuatario privato»). Pi fa valere fondamentalmente l’errore manifesto di valutazione in merito alla fissazione del tasso del mutuatario privato e l’esistenza di un vantaggio e alla valutazione degli investimenti alternativi. Nella sua sentenza odierna, il Tribunale ricorda che nel settore degli aiuti di Stato, sebbene la Commissione goda di un ampio potere discrezionale il cui esercizio implica valutazioni di ordine economico, il giudice dell’Unione è tenuto a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se siano rilevanti per valutare una situazione complessa. Tuttavia, non spetta al giudice dell’Unione, nell’ambito di tale controllo, sostituire la propria valutazione economica a quella della Commissione. La Commissione è tenuta ad effettuare un’analisi completa di tutti gli elementi rilevanti dell’intervento statale controverso e del suo contesto, compresa la situazione dell’impresa beneficiaria e del mutuatario privato esaminando, in particolare, la questione se l’impresa avrebbe potuto procurarsi presso altri investitori fondi che le procurassero gli stessi vantaggi e, eventualmente, a quali condizioni. Nel caso di specie, il Tribunale sottolinea che la fissazione del tasso di interesse non può essere disgiunta dall’imposizione, da parte dello Stato, del vincolo d’impiego. Lo Stato remunera il deposito delle somme provenienti dai conti correnti postali presso la Tesoreria dello Stato e obbliga Pi ad effettuare tale deposito. Il Tribunale esamina allora se la Commissione abbia dimostrato che queste due conseguenze, complessivamente considerate, abbiamo posto Pi in una situazione più vantaggiosa rispetto a quella in cui si sarebbe trovata in assenza di tale intervento. Ritiene che il differenziale positivo tra il tasso della Convenzione e il tasso del mutuatario privato costituisce un indizio di un vantaggio, ma non sia sufficiente per affermarne l’esistenza. Peraltro, il tasso del mutuatario privato nella decisione non è stato calcolato a partire da un’analisi di convenzioni o meccanismi di prestito e non costituisce un vero e proprio «tasso di mercato». La Commissione non ha dimostrato poi che senza un vincolo d’impiego, Pi avrebbe potuto ragionevolmente ottenere sul mercato un tasso superiore a quello previsto dalla Convenzione. La Commissione è quindi incorsa in un errore manifesto di valutazione nel concludere nel senso dell’esistenza di un aiuto di Stato a partire dalla semplice constatazione di un differenziale positivo tra il tasso della Convenzione e il tasso del mutuatario privato. Inoltre, anche la conclusione, secondo la quale le possibilità alternative di investimento, in assenza di vincolo d’impiego, non avrebbero permesso a Pi di conseguire rendimenti simili o superiori al tasso della Convenzione, si fonda su elementi erronei o insufficienti. Di conseguenza, anche l’analisi del rendimento di taluni investimenti alternativi, non dimostra l’esistenza di un vantaggio. Per questi motivi, il Tribunale annulla la decisione 2009/178/Ce della Commissione, del 16 luglio 2008, relativa all’aiuto di Stato cui l’Italia ha dato esecuzione per remunerare i conti correnti di Poste Italiane Spa presso la Tesoreria dello Stato [C 42/06 (ex Nn 52/06)]. (Tribunale, Sentenza nella causa T‑525/08, Poste Italiane Spa / Commissione)  
   
 

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