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Notiziario Marketpress di Giovedì 05 Giugno 2014
 
   
  TRENTO: RECLUTAMENTO: UN TESTO UNICO PER IL PROGRESSO DELL’UNIVERSITÀ

 
   
  Trento, 5 giugno 2014 - Come modificare gli incentivi all’accademia e cooptare i migliori? Come introdurre incentivi a chi raggiunge il massimo della carriera perché continui a produrre? Come dare prospettive di carriera a chi vorrebbe entrare? Al Festival dell’Economia la comunità accademica si è interrogata su come sia possibile riformare il rapporto di lavoro dei docenti universitari per renderlo più trasparente e flessibile. Il sistema sembra molto vincolato, tuttavia gli spazi di manovra esistono e permettono maggiore autonomia agli atenei. Per l’università italiana si tratta di una sfida: affinare i meccanismi di valutazione per premiare i migliori e convincerli a restare nel nostro Paese. E una proposta: un testo unico per accorpare la normativa in materia di reclutamento, snellire e rendere più trasparenti le procedure, agganciando la competizione internazionale. Liberalizzare, semplificare, indurre le università ad assumersi maggiori responsabilità e a confrontarsi con quanto succede nel resto d’Europa. Ecco le misure che possono tentare di arginare in Italia l’inefficienza e il senso di incertezza che circondano il tema del reclutamento e della valorizzazione del corpo accademico. Una realtà che oggi conta 53mila tra professori e ricercatori, contro i 40mila del 1990, ma che sembra procedere in modo erratico. A tracciare un quadro della situazione nell’incontro promosso da lavoce.Info al Festival dell’Economia sono state oggi alcune voci autorevoli del panorama universitario italiano: Daniele Checchi (Università di Milano, lavoce.Info), Gianni De Fraja (Università di Roma Tor Vergata), Alessandro Arienzo (Università Federico Ii Napoli), Marco Mancini, Capo dipartimento del Miur, oltre a Maria Chiara Carrozza, già ministra dell’Università e rettrice della Scuola Superiore Sant’anna di Pisa. Un riflessione di stringente attualità, vista la decisione, comunicata proprio ieri in tarda serata dal Miur, di rivedere nuovamente le regole per l’Abilitazione scientifica nazionale (Asn), la ‘porta’ di accesso alla docenza universitaria. Un passaggio che nel nostro Paese crea stress e tensioni: «Ad oggi – ha commentato Mancini - sulla prima tornata di abilitazioni ci sono stati 52.888 candidati valutati, di cui il 42% hanno avuto via libera, mentre il 58% sono stati respinti con proporzioni molto variabili a seconda dei settori disciplinari. Che ci sia qualcosa da migliorare lo dimostrano i 3.125 ricorsi depositati ad oggi. Questo sta a dimostrare che il sistema va semplificato» Qualche dato aiuta a inquadrare la questione. In Italia le retribuzioni sono relativamente basse all’ingresso: al momento dell’assunzione, intorno ai 36 anni, un ricercatore guadagna in media 35 mila euro l’anno, un professore associato (che ha in media 48 anni) ne guadagna 45mila mentre un ordinario (che ha in media 50 anni) 60mila. Il carico di lavoro ammonta a circa 1.500 ore, ma non è chiaro come vengano suddivise tra didattica, ricerca e, in alcuni casi, attività amministrativa. E questo è uno dei fattori che determinano la debolezza del sistema. Per quanto riguarda invece la produttività pro capite, il numero degli articoli pubblicati dai ricercatori italiani è comparabile e in alcuni casi è migliore rispetto ad altri Paesi, nonostante la scarsità di sostegno e finanziamenti alla ricerca. Il sistema italiano infatti sopravvive ma a costo di forti polarizzazioni tra molto bravi e poco produttivi. «Per tentare di ridisegnare il sistema e renderlo più produttivo – secondo Checchi - occorrono incentivi e quello più forte con i professori universitari è senz’altro la carriera. Ecco perché i concorsi universitari sono così importanti. Ma le regole sui concorsi cambiano continuamente, impedendo ai singoli di pianificare la propria carriera. Nonostante questa variabilità, l’università in Italia è refrattaria a ogni cambiamento: continua ad andare avanti con regole che l’accademia si dà internamente e che la politica non riesce a cambiare». «Le università – ha spiegato Carrozza - non sono tutte uguali, sia per le dimensioni, sia per il capitale sociale che per le loro potenzialità. Di ciò bisogna tenere conto nel disegnare una legge che però deve andare bene per tutti. Deve essere dinamica e mirare a incoraggiare il sistema a muoversi verso un obiettivo di miglioramento. Anche la quota premiale va vista in questo senso: come un’opportunità per rinnovarsi, non una condanna. Serve un testo unico, con poche regole semplici e chiare, per fare sistema e superare tutte le normative ora esistenti in materia e per riformulare lo stato giuridico dei docenti per renderlo efficiente e attuale. Il sistema di reclutamento deve essere integrato e ispirato a quelli preesistenti a livello internazionale, più trasparente, con parametri verificabili e a disposizione dei cittadini, come quelli introdotti dall’Anvur». Maria Chiara Carrozza ha poi speso qualche parola per lodare l’approccio virtuoso alla gestione e l’autonomia dell’Università di Trento, ateneo che ha conosciuto bene quando è stata coinvolta nella stesura dell’ultimo Statuto: «Quello dell’Università di Trento è un modello a cui si guarda troppo poco».  
   
 

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