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Notiziario Marketpress di Mercoledì 18 Giugno 2014
 
   
  UNINDUSTRIA COMO: IERI MATTINA L´ASSEMBLEA GENERALE

 
   
  Como, 18 giugno 2014 - Si è tenuta ieri mattina l’Assemblea Generale di Unindustria Como a Villa Erba (Cernobbio). Dopo l’intervento di Francesco Verga, presidente di Unindustria Como, e la consegna degli attestati di benemerenza e medaglie d’oro agli industriali che hanno raggiunto i 50 anni di attività, si è tenuto l’intervento di Marco Fortis, Vice Presidente della Fondazione Edison. A seguire, tavola rotonda moderata da Enrico Mentana con: Roberto Maroni (Presidente Regione Lombardia), Giorgio Squinzi (Presidente di Confindustria), Antonio Tajani (Vice Presidente Commissione Europea e Commissario della D.g. Industria e Imprenditoria), Marco Fortis (Vice Presidente Fondazione Edison). Di seguito il discorso integrale del Presidente Francesco Verga : “ Cari Colleghi, Vice Presidente Tajani, Presidente Squinzi, Autorità, Amici, sono trascorsi solo otto mesi dal nostro appuntamento dello scorso anno, eppure ci pare di percepire un’aria diversa. Un clima, nonostante tutto, positivo. O, almeno, migliore rispetto al 2013. Se ad ottobre quasi ci sforzammo di infondere ottimismo, interpretando un ruolo doveroso per cercare di scardinare quella spirale negativa crisi – sfiducia – crisi, oggi l’impressione è che non sia più necessario un particolare sforzo in tal senso. La sensazione è che, nonostante i problemi siano ancora numerosi, nonostante tante imprese abbiano sofferto e stiano ancora soffrendo, alcune addirittura abbiano chiuso, il clima sia cambiato e vi sia una forte assunzione di responsabilità ed un desiderio di governabilità. Dopo anni di recessione, di austerity, di instabilità, il nostro Paese vuole cogliere quella ripresa che, seppur timidamente, si è affacciata nei primi mesi del 2014. Non sto facendo riferimento alle analisi congiunturali che, pure, affermano questo da diversi mesi. Dopo l’estero, infatti, ha ripreso anche la domanda interna che segna un +1,8% nel marzo 2014 sullo stesso mese dell’anno precedente (Istat, Statistiche congiunturali sull´attività dell´industria, dati diffusi il 20.05.2014). Nulla, a confronto dei dati pre-crisi, ma è comunque un’inversione di tendenza. Mi riferisco al segnale uscito dalle urne nel nostro Paese in occasione delle elezioni europee: un’assunzione di responsabilità accompagnata da una forte apertura di credito. Sia chiaro che non si tratta di un commento politico. Anche perché, forse, bisognerebbe finirla una volta per tutte di dare una connotazione politica o, peggio, partitica, alle elezioni europee. Anzi, dopo aver visitato più volte le istituzioni europee sono giunto alla conclusione che siano l’ambito quanto più tecnico e meno politico vi possa essere. Un ambito che necessita di persone di comprovata preparazione tecnica, giuridica e istituzionale. Caratteristiche indispensabili che dovrebbero obbligatoriamente far parte del curriculum di ogni candidato al Parlamento Europeo. Una riflessione che, a mio avviso, dovrebbero fare le segreterie di tutti i partiti. Comunque, tornando al risultato, quel che importa è che, a differenza di altre nazioni vicine, l’Italia ha votato chiaramente a favore dell’Europa. E gli italiani hanno votato a favore dell’Italia. Non è un gioco di parole e tra poco vedremo perché. I cittadini non sono scesi a compromessi populisti e antieuropeisti. Non hanno ragionato di pancia, com’è accaduto in Francia, ma hanno saputo guardare oltre, con forte senso di responsabilità, pensando alle proprie generazioni, quelle presenti e quelle future, fra le quali annoveriamo quella che mi piace chiamare generazione erasmus. La generazione che ha iniziato il proprio cammino considerando l’Europa, e non solo l’Italia, il luogo dove crescere, studiare, lavorare, muovere i propri passi. La generazione per la quale è normale parlare diverse lingue ed avere amici francesi, spagnoli, danesi, greci, polacchi e portoghesi, che ha trovato nell’Europa opportunità, meritocrazia, meno corruzione, più investimenti nell’istruzione. La generazione che ha conosciuto l’Europa senza confini, senza separazioni, senza muri. Scoprendo, certo, anche un’Europa lenta e burocratica, ancora troppo complessa nelle sue istituzioni, con i loro nomi che ci appaiono tutti uguali, che va semplificata e che si deve raccontare ai suoi cittadini in modo efficace. Alla quale va data un’identità, forse anche un’anima. Un’europa che dev’essere di inclusione, di sviluppo sociale, capace di riproporre i concetti fondanti risalenti al crogiuolo di culture che hanno prodotto i grandi valori della nostra civiltà. Da quella greca, a quella romana, a quella cristiana. Una civiltà che ha messo sempre al centro l’individuo, proteggendolo, concependo le sue libertà fondamentali, nonché quella rete sociale che gli ha permesso di arrivare all’obiettivo di una vita dignitosa. Probabilmente sono queste alcune delle riflessioni che hanno spinto i cittadini verso quell’assunzione di responsabilità cui facevo cenno all’inizio. Ma naturalmente non sono le uniche. Dicevo prima che gli italiani hanno votato a favore dell’Italia. Il nostro Paese, infatti, si trova alla vigilia di due appuntamenti fondamentali. Fra meno di quindici giorni inizierà il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, alla conclusione del quale, inizierà l’anno dell’Expo. Si tratta di due grandi opportunità che l’Italia non può fallire. E’ in gioco l’immagine del nostro Paese. Ma non solo. Affrontare bene questi due momenti cruciali significa anche gettare le basi che permetteranno all’Italia di agganciare in modo efficace e duraturo quella crescita che timidamente sta iniziando a dare i primi segnali. Fondamentali sono, quindi, l’attribuzione di autorevolezza ed il credito aperto nei confronti di colui che rappresenterà l’Italia ai massimi livelli europei e mondiali. Una credibilità riconosciuta anche dai mercati finanziari che hanno certificato la fiducia con un +3,61% (Borsa di Milano, migliore piazza europea il giorno dei risultati elettorali), recuperando completamente quanto perso nei quindici giorni precedenti le elezioni, durante i quali regnava l’incertezza. Con questi presupposti il Presidente del Consiglio Matteo Renzi potrà, quindi, aprire l’agenda europea mettendo all’ordine del giorno idee forti per il rilancio dell’Europa e soprattutto dell’Italia. Idee che abbiano alla base il coraggio per stringere alleanze e creare le condizioni per un rinascimento industriale, perché ci sia più impresa in Italia e più Italia in Europa, come abbiamo voluto evidenziare nel titolo di questa giornata. A proposito di titolo. I più avvezzi alle nuove tecnologie ed ai social network avranno notato che abbiamo inserito i cosiddetti hashtag. Non lo abbiamo fatto solo per dare un sapore di maggiore modernità alla nostra associazione, per renderla un po’ più 2.0 come usa dire oggi. L’obiettivo che ci siamo posti è quello di coinvolgere nel dibattito di oggi più persone possibile. Anche quelle che non possono essere qui. Sfruttando le tecnologie digitali per diffondere le nostre idee, fare cultura, contagiare positivamente la gente e, soprattutto i giovani, con i temi a noi cari. Che sono appunto sintetizzati nel titolo di oggi: #piùimpresainitalia #piùitaliaineuropa. L’idea da accompagnare al nostro slogan è che l’impresa è un luogo positivo dove lavorare. Che abbiamo bisogno di più impresa per crescere. Che per far crescere l’impresa bisogna eliminare gli ostacoli come l’eccessiva burocrazia, il fisco asfissiante, gli alti costi dell’energia, i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, le rigidità del mercato del lavoro, l’eccessivo cuneo fiscale. Vorremmo convincere i giovani che c’è ancora un futuro in questo Paese e che questo futuro fonda le sue basi sull’impresa. Sembra incredibile, ma se è necessario questo sforzo di comunicazione è perché purtroppo notiamo ancora grosse sacche di resistenza nei confronti dell’impresa in generale e di quella industriale in particolare. C’è una visione pregiudiziale che dobbiamo abbattere. Lo ha detto bene il Ministro Guidi all’Assemblea di Confindustria a Roma, pochi giorni fa, e lo voglio ripetere: “dobbiamo dire basta alla dilagante cultura anti-imprenditoriale. Basta alla criminalizzazione del profitto. Solo un imprenditore che fa profitti può investire, crescere e dare occupazione”. Spesso questa visione è sottesa a molte norme di legge, nelle quali vi è sempre l’inversione dell’onere della prova. Siamo stanchi di dover sempre provare di non essere evasori, di non essere inquinatori, di non essere sfruttatori di lavoro nero. Non è ammissibile che il costo di ogni controllo, pur sacrosanto, debba ricadere sull’impresa declinato in termini di tempistiche estenuanti, prove diaboliche, sanzioni eccessive per piccole inesattezze spesso di natura formale. E’ giusto che l’evasore e il disonesto vengano puniti, ma, per favore, non andiamo sempre a cercare il pelo nell’uovo, che spesso non esiste nemmeno. Mi viene in mente il caso di una nota industria alimentare che da Lecco, di Comune in Comune, è arrivata fino alle porte di Como prima di riuscire a trovare un’Amministrazione che le desse la possibilità di costruire un grande e moderno stabilimento dotato delle più innovative tecnologie. Vi sembra possibile che decine di Comuni abbiano rifiutato un’azienda chiudendole la porta in faccia e dando uno schiaffo anche alle decine di concittadini che avrebbero potuto trovare lavoro? Tornando al semestre di presidenza italiana, l’autorevolezza di cui potrà godere Renzi dopo il voto non dovrà essere sprecata. In questi sei mesi dovrà approfittare di tutti i Consigli e le riunioni che presiederà per lanciare le parole d’ordine dell’Europa futura a cominciare da ripresa, occupazione giovanile, industria manifatturiera, liberalizzazioni per energia e telecomunicazioni. Ponendo la questione della crescita, del lavoro, dell’industria, come un problema che riguarda tutta l’Europa. In questo senso credo che l’atto di maggior coraggio di Renzi dovrà essere quello di creare le condizioni per proseguire l’importante lavoro svolto dal Commissario Antonio Tajani – che oggi è qui con noi e lo ringrazio per il suo impegno nei confronti dell’industria – con il suo Industrial Compact. Una svolta importante, quella di Antonio Tajani, che ha portato la Commissione Europea a chiedere esplicitamente un intervento immediato per una rinascita industriale europea, invitando il Consiglio e il Parlamento ad adottare proposte in materia di energia, trasporti, spazio e reti di comunicazione digitali, nonché ad attuare e ad applicare la legislazione sul completamento del mercato interno. Mettendo fine, quindi, alla de-industrializzazione di un continente che si era illuso di poter imboccare senza danni la scorciatoia delle delocalizzazioni rinunciando al manifatturiero, per scoprire ora, dopo la grande crisi, di aver imboccato una strada pericolosissima. Alcuni impulsi la presidenza di turno italiana dovrà darli. Noi auspichiamo, per esempio, un’accelerazione al negoziato Unione Europea – Stati Uniti per creare la più vasta area di libero scambio al mondo. Vi sono ancora numerosi nodi tecnici da sciogliere, ma una spinta in questo senso potrebbe aprire un mercato enorme che oggi è ancora gravato da dazi eccessivi e da un euro fin troppo forte che non agevola l’export verso l’America. Sempre in tema di mercato, l’Italia dovrà lavorare per creare le condizioni per la creazione di un mercato unico dell’energia, rafforzando la rete di distribuzione del gas e dell’elettricità, entrambi ancora eccessivamente costosi, soprattutto per il nostro Paese che ne importa la quasi totalità. Dobbiamo, come ha detto il Presidente Squinzi nel manifesto di Confindustria Per un’Europa della crescita, andare oltre il dogma dell’austerità e definire una nuova governance industriale in grado di sostenere il rilancio dell’economia puntando all’obiettivo del 20% del Pil come quota dell’industria entro il 2020. Difendere il manifatturiero significa difendere il benessere economico delle nazioni. L’equazione è semplice. Maggiore impresa manifatturiera equivale a maggiore innovazione tecnologica, intesa come introduzione di nuovi prodotti o utilizzo di nuove tecnologie che, nel lungo periodo, rappresentano il vero motore della crescita della produttività. Il manifatturiero, infatti, contribuisce più di altri settori alla produzione di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche. Soprattutto le imprese attive in comparti industriali più prossimi alla scienza, infatti, finanziano e gestiscono laboratori di ricerca i cui risultati spesso hanno importanti esternalità positive sull’attività innovativa di altre imprese, sullo sviluppo di altri settori economici e sulla società nel suo complesso. Determinando, così, la nascita di un ecosistema industriale difficilmente delocalizzabile perché fondato sulla interconnessione tra imprese, tra menti, tra persone. In tutto ciò sono convinto che l’Italia possa davvero giocare un ruolo fondamentale. Grazie alla sua imprenditorialità diffusa, a quell’inclinazione psicologica al rischio, al fare impresa come forma di vita prima ancora che come professione, il nostro Paese può, se ben supportato, offrire moltissimo alla causa. Certo, anche da parte nostra, da parte degli imprenditori, è indispensabile un approccio nuovo, anzi, se vogliamo, un ritorno alle origini. A quando si doveva fare tutto o quasi da soli. Non dobbiamo commettere l’errore di attendere dall’alto la soluzione dei problemi. Non esiste e non potrà mai esistere un leader – sia esso politico, scienziato o manager – che possa illuminarci con la sua grande visione. Il mondo in cui viviamo è tremendamente complicato e imprevedibile da rendere inutili, se non pericolose, formule preconfezionate imposte dall’alto. Allora occorre cambiare. Dobbiamo avere un approccio diverso. Le parole chiave sono evoluzione e adattamento. Come in natura. Mettendoci, però, anche una buona dose di coraggio per uscire da percorsi conosciuti ma, ormai a fondo cieco, e introdurre innovazione e creatività quali ingredienti fondamentali dell’agire quotidiano, mettendo anche in conto la possibilità di sbagliare. Ciò non toglie che, se da un lato non dobbiamo attendere soluzioni pianificate e salvifiche, dall’altro credo che abbiamo il diritto – dovere di rimarcare le condizioni indispensabili per poter lavorare, crescere, innovare. Il cuneo fiscale, in primo luogo. Confindustria ha promosso una forte richiesta di riduzione del cuneo fiscale e contributivo, consapevole che maggiore liquidità nelle disponibilità dei lavoratori avrebbe permesso un incremento dei consumi e, quindi, avrebbe avviato il classico circolo virtuoso. Ebbene, se riconosciamo che i primi interventi ci sono stati con la Legge di Stabilità 2014, dobbiamo anche dire che non sono ancora sufficienti. Ben venga il “Fondo per la riduzione della pressione fiscale”, alimentato con le risorse della spending review e del contrasto all’evasione fiscale, ma si tratta di una previsione che deve essere resa più concreta e meno programmatica. Un altro nervo scoperto è quello dell’occupazione. Proprio pochi giorni fa, ai primi di giugno, l’Istat ha comunicato un altro record negativo del nostro Paese. Nel primo trimestre di quest’anno, infatti, la disoccupazione ha raggiunto il 13,6% e, addirittura, quella giovanile ha toccato quota 46%. Si tratta di una vera e propria piaga sociale che necessita di provvedimenti straordinari. L’introduzione del cosiddetto Job Act è sicuramente un ottimo passo avanti verso la tanto agognata flessibilità, che non significa maggiore semplicità nel licenziare ma, soprattutto, nell’assumere. Il capitale umano è la nostra ricchezza più importante e nessun imprenditore si separa a cuor leggero dai propri collaboratori che ha formato. Al contrario, però, una maggiore flessibilità all’ingresso potrebbe avviare un trend positivo con l’obiettivo di diminuire il numero ancora elevato di coloro che sono in cerca di lavoro, a partire dai giovani. La percentuale a due cifre della disoccupazione impone di trovare la strada più breve per dare uno stipendio al maggior numero di persone e se lo strumento è quello della flessibilità che si accompagna al contratto a termine, ben venga, anche perché nelle nostre imprese il 90% dei contratti a termine viene stabilizzato. Quindi, è indispensabile ottimizzare il funzionamento dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, procedere ad una revisione degli ammortizzatori sociali nonché intervenire sulle retribuzioni aziendali collegate alla produttività/efficienza, andando necessariamente a detassare questa parte di reddito. Come potete immaginare per noi questo è un tema fondamentale. Convinti come siamo che si potrà davvero parlare di vera ripresa quando tornerà a crescere l’occupazione. Un tema caro, tanto da portarci lo scorso anno a proporre anche uno strumento per incentivare l’occupazione giovanile, nella consapevolezza che è sulle giovani generazioni che dobbiamo necessariamente investire. Proponemmo un patto generazionale a tre: imprese, giovani e lavoratori prossimi alla pensione. E chiedemmo il supporto al Governatore della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Il quale promise l’intervento regionale a condizione di un effettivo impegno delle tre parti citate. Ebbene, fatte le opportune verifiche, possiamo confermare che in 300 aziende del nostro territorio ci sono le condizioni per il patto generazionale che, lo ricordo, prevede la disponibilità di un lavoratore senior a diminuire le proprie ore di impegno in azienda a vantaggio di un nuovo assunto cui potrebbe fare da tutor. Trecento aziende ed altrettanti lavoratori si sono dichiarati disponibili. Questo significa che se il modello dovesse essere replicato in altre province, anche quelle sensibilmente più grandi della nostra, potremmo assistere ad un fenomeno che comincerebbe a raggiungere una certa efficacia. Come vedete gli strumenti si possono creare. Presidente Squinzi, esportiamo questo modello! E facciamolo sostenere a livello governativo. Accanto alla flessibilità noi vediamo come indispensabile la semplificazione. In tutto. Dalla possibilità di aprire un’azienda in poche settimane, come avviene nel resto d’Europa, alla chiarezza delle norme che regolano ogni passo della vita imprenditoriale. In questo senso apprezziamo lo sforzo della Regione Lombardia che ha creato una task force per la semplificazione coordinata dall’amico Prof. Sapelli, ma non può essere solo un’iniziativa regionale. Ci vuole l’impegno di ogni livello amministrativo, dal piccolo Comune al Governo. Altrimenti continueremo ad essere il Paese meno attrattivo per gli investimenti esteri. E questo non possiamo più permetterlo. Se da un lato, infatti, dobbiamo creare le condizioni migliori per salvare le nostre imprese, dall’altro dobbiamo essere in grado di farne nascere di nuove, magari ad alto contenuto tecnologico. Imprese che valorizzino il capitale umano, la creatività e l’ingegno. Affinché ciò accada, oltre alle condizioni alle quali facevo cenno prima – meno burocrazia, tassazione accettabile, accoglienza istituzionale – è fondamentale creare anche l’humus culturale ideale. Un fattore fondamentale per le imprese ad alto valore aggiunto. Pensiamo per un momento alla Silicon Valley, ma anche ad alcune città evolute dell’India, come Bangalore, o della Cina, come Shanghai o Shenzhen In quelle zone avviene un interscambio continuo tra imprese, università e centri di ricerca. Nuove aziende evolute vengono attratte continuamente perché sanno di poter trovare capitale umano altamente formato e capace di permettere loro quel salto tecnologico di cui hanno necessità per competere su scala mondiale. Unindustria Como ha sempre sostenuto che questa fosse la via maestra. La strada per non far decadere un territorio. Sapere e lavoro. Università e impresa. Per questo l’anno scorso abbiamo sostenuto il progetto del Campus Universitario. Per aumentare l’attrattività dell’università comasca, per rafforzare l’immagine puntando sull’accoglienza e su un’offerta formativa in linea con lo sviluppo tecnologico delle imprese attuali e future. Delle imprese presenti e di quelle che volessero avvicinarsi. Vogliamo considerare il momentaneo arresto del progetto dovuto a scelte diverse della Fondazione Cariplo semplicemente come lo stimolo ad individuare altre forme di finanziamento. D´altronde, se esperienze di questo tipo sono state possibili in province vicine, non vedo perché Como debba essere da meno. Non si tratta di campanilismo, ma di visione. Il nostro territorio ha tutte le caratteristiche per emergere, per far parte di quelle città attrattive ed attraenti, quelle che possono ambire ad entrare a pieno titolo nella “nuova geografia del lavoro”, secondo la fortunata espressione dell’economista Enrico Moretti. E’ chiaro che serve davvero un cambio di passo, cercando da un lato di risolvere i ben noti problemi locali – area ex Ticosa, paratie, stazione San Giovanni, area ex Sant’anna – e dall’altro di individuare le condizioni indispensabili per spiccare il volo. Ne abbiamo individuate alcune, cinque per l’esattezza, cinque punti per far volare Como ed il suo territorio. Primo. Il capitale umano. Lo ha sostenuto anche il Prof. Magatti nell’antologia sui Capitali di Como che ha curato per la Camera di Commercio: “formare persone capaci è, anche nella crisi, il primo luogo dell’investimento sul futuro”. Lavoriamo insieme per attrarre talenti nelle nostre università, creiamo un’accoglienza adeguata per farli restare al termine dei loro studi. Puntiamo ad avere le caratteristiche per diventare una città di creativi: qualità della vita, disponibilità di servizi, iniziative culturali, multifunzionalità. Secondo. Le connessioni. Isolamento significa decadenza. Vanno, quindi, rafforzate le infrastrutture viarie e ferroviarie, abbassando i tempi di percorrenza per unirci sempre di più alla grande area metropolitana di Milano ed ai capoluoghi confinanti, e altrettanto va fatto con le connessioni digitali, ampliando la portata delle reti e la connettività dei piccoli comuni. Terzo. L’impresa. Favorire la permanenza delle aziende e l’insediamento di nuove, magari ad elevata componente hi-tech, è l’unica strada per dare un futuro al nostro territorio. Chiediamoci perché al di là del confine, negli ultimi anni, le imprese ed i posti di lavoro sono aumentati. Forse perché in Svizzera considerano ancora l’impresa come una ricchezza sociale? Allora dobbiamo sostenere l’impresa manifatturiera, il vero traino dell’economia e dell’innovazione, capace di coniugare, in uno stretto legame, benessere, produttività e competitività. Quarto. Il turismo. Accanto al manifatturiero riconosciamo l’importanza del settore turistico per il nostro territorio. Abbiamo un patrimonio di bellezze inestimabili, le abbiamo viste nel suggestivo video iniziale. Addirittura il più importante giornale on line, l’Huffington Post, ha decretato che il lago di Como è in assoluto il più bello del mondo. Il brand lo abbiamo. Dobbiamo lavorare per diffonderlo, supportarlo, confermarne la veridicità. Quinto. Area a burocrazia zero. Il segreto è la semplificazione. Non costa nulla, se non uno sforzo mentale che abitui ogni livello legislativo ad utilizzare un linguaggio comprensibile, a ridurre gli adempimenti burocratici, soprattutto quelli ingiustificati, a stendere riassunti leggibili per normative particolarmente complesse. Cinque punti che possono essere alla nostra portata. Che non comportano maggiori costi, ma un nuovo atteggiamento mentale. Che necessitano uno sforzo corale per volare alto. Per far volare Como in alto. Restando sul nostro territorio, vorrei ringraziare Paolo De Santis, Presidente della Camera di Commercio di Como, che in questi dieci anni ha saputo avviare iniziative importanti, caratterizzate da una visione non comune. Penso a due tra i più importanti progetti, generati da Sviluppo Como, come il Parco Scientifico e Tecnologico Comonext, un vero e proprio tempio dell’innovazione e delle idee, e Como Venture, il supporto finanziario delle imprese innovative. Un esempio dell’importanza di Comonext lo abbiamo potuto apprezzare proprio all’inizio della nostra Assemblea. Il video emozionale sulle bellezze del nostro territorio, realizzato attraverso droni, è il frutto dell’ingegno di una start – up che ha la sua sede a Lomazzo, all’interno del Parco Scientifico e Tecnologico. La scommessa, vinta, è stata anche quella di riuscire a creare il Sistema Como, riuscendo a coinvolgere tutte le componenti economico – sociali del nostro territorio. Uno strumento, indicato come esempio di coesione e gioco di squadra da tutte le altre province lombarde, per cogliere anche la grande sfida di Expo 2015. A fianco della visione, dell’innovazione, della coesione, è indispensabile il supporto del credito. Durante i lunghi anni della crisi il supporto è venuto meno. Conosciamo le ragioni. Rischi elevati, cautela eccessiva, ipersensibilità. Un circuito vizioso quello nel quale ci siamo infilati che è stato deleterio per molte imprese, alle prese con pagamenti che non arrivavano e con la propria banca che di colpo abbassava drasticamente i fidi. Ora devo dire che anche da parte delle banche c’è un mutato atteggiamento. Sempre con cautela, noto il desiderio di riavvicinarsi alle imprese, di aprire nuovamente un dialogo, di prestare quell’attenzione che da tempo, troppo tempo, mancava. Un atteggiamento che passa anche attraverso un dialogo continuo con l’Associazione, con Unindustria, che può davvero rappresentare l’anello di congiunzione tra due mondi che devono necessariamente lavorare insieme, nel reciproco interesse. Anzi nell’interesse di tutto il territorio. Anche in questo caso, come abbiamo fatto sul tema del lavoro, una proposta vogliamo accennarla. Le aziende hanno un problema di sottocapitalizzazione. E se da un lato abbiamo già evidenziato la necessità di un supporto bancario, dall’altro lato dobbiamo avere l’onestà di guardare anche in casa nostra. Mi riferisco, evidentemente, al problema dei pagamenti. In Italia è ancora eccessivamente diffuso il malvezzo di allungare i tempi dei pagamenti nei confronti dei fornitori. Allora cominciamo noi imprenditori a cambiare. Riduciamo tutti, e noi per primi, i termini di pagamento e con essi la necessità di ricorrere in maniera patologica al sistema bancario. Guardiamo con favore ad iniziative come quelle di Assolombarda che recentemente ha istituito, in collaborazione con l’Università Bocconi di Milano, il “Codice Italiano Pagamenti Responsabili”. Un’ iniziativa a cui hanno aderito già 37 imprese, tra le quali colossi come Eni, Vodafone, Bnl, Unicredit e Mediaset, che attraverso una forma di certificazione attesta la passata e, prevedibile, futura correttezza nei pagamenti delle imprese aderenti. Credo sia un modo per iniziare un percorso nuovo, di autodisciplina, capace di portare a risultati migliori rispetto ad una qualsiasi norma di legge generale e astratta. Anche Confindustria si è posta l’obiettivo del cambiamento. E lo ha raggiunto. In tempi ristretti, ha progettato una riforma coraggiosa ed innovativa, la Pesenti, che incide sul profilo organizzativo e sui meccanismi di governance del Sistema, semplificandola in maniera radicale, con una riduzione degli organi e del numero dei loro componenti ed una rifocalizzazione delle funzioni, eliminando ogni appesantimento procedurale interno. Proprio in questi giorni ci accingiamo ad un passaggio fondamentale: l’Assemblea Straordinaria del 19 giugno prossimo, che sarà chiamata ad approvare il nuovo statuto di Confindustria. Abbiamo voluto essere di esempio anticipando il cambiamento su temi nodali, a partire dalla riorganizzazione del sistema, in una logica di valorizzazione delle eccellenze. Siamo giunti al termine di questo mio intervento. Anche perché vogliamo tutti ascoltare i nostri ospiti. Prima, però, permettetemi un ringraziamento sincero agli imprenditori che sono qui oggi e a tanti che non sono riusciti ad esserci. Per il vostro lavoro che, nonostante tutto, continuate a fare con risultati eccellenti. Perché la vostra è davvero un’impresa nel significato più pregnante di questo termine. Tra tutti voi chiamo sul palco per un ringraziamento speciale quattro giovani imprenditori che hanno onorato per 50 anni il lavoro. Chiamo allora sul palco Gerlando Bergaminelli della Bergaminelli Caminetti Srl di Beregazzo con Figliaro, Carlo Cattaneo della Camar Spa di Figino Serenza, Giacomo Ezio Mazzer della Mazzer Materie Plastiche Snc di Ponte Lambro, Enrico Taiana della Taiana Srl di Olgiate Comasco. Grazie a tutti.”  
   
 

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