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Notiziario Marketpress di Mercoledì 03 Settembre 2014
 
   
  LA SCUOLA NON DEVE CAMBIARE PERCHÉ ARRIVA IL DIGITALE MA PERCHÉ È CAMBIATO IL MONDO

 
   
   Milano, 3 settembre 2014 - Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una profonda crisi economica e contemporaneamente da una potente innovazione. Mentre toccavamo con mano la fragilità del mondo della finanza e quanto essa condizioni la vita di tutti, ci è stata data la possibilità di disporre di potenti strumenti per accedere ad informazioni e a nuovi servizi. Siamo così entrati contemporaneamente nell’era dell’incertezza e, grazie al “digital”, in quella che è stata definita l’era del cittadino-consuamatore. L’intreccio tra crisi e innovazione ha aperto una complessa e difficile fase di trasformazione piena di rischi ma anche di opportunità. I modelli di business di molti settori tradizionali sono messi in discussione, mentre nascono nuovi settori, nuove aziende, nuovi mestieri e anche nuovi modelli di consumo come quelli della sharing economy. Con Internet delle cose (Iot) e le stampanti 3d si parla di una nuova rivoluzione industriale. Nessun essere vivente ha vissuto una fase così complessa e così globale nella quale è difficile fare scelte e prevedere il futuro anche a breve. Non è quindi un caso che si continui a dire che il mondo sta cambiando. È stato coniato il termine “nativi digitali” (Alessandro Baricco li ha chiamati ”barbari”) per indicare le nuove generazioni che a seguito dello sviluppo di internet e dei social media stanno vivendo un cambiamento profondo di linguaggio e relazioni. L’italia deve ritrovare una sua strada per rilanciare la crescita e ridurre drasticamente la disoccupazione, in particolare quella giovanile. Per questo bisogna capire la profondità dei cambiamenti in corso e saper riprogettare. Uno dei punti fondamentali è proprio il rapporto con l’innovazione. Benché nel corso della storia alcune delle principali innovazioni siano dovute ad italiani, il nostro Paese non aiuta e non valorizza l’innovazione e gli innovatori. È in questo contesto che esce il libro di Vittorio Campione, Sebastiano Bagnara, Simone Pozzi, Elena Mosa e Leonardo Tosi. Che aprono riproponendo la definizione di Bruno Munari: “La scuola serve a preparare individui capaci di affrontare il mondo del prossimo futuro”. A questo bisogna però aggiungere quanto osservato più recentemente da Ken Robinson: “I governi stanno cercando di capire come fare per istruire i ragazzi affinché possano avere un loro ruolo nell’economia del 21° secolo. Come facciamo visto che non siamo in grado di prevedere come sarà l’economia già la prossima settimana come i recenti problemi hanno dimostrato?”. Gli autori rispondono in modo articolato e documentato a questa domanda. Proponendo un percorso che da un valore positivo all’innovazione e che mette in discussione la distinzione tra sapere pratico e sapere teorico. Propongono una “nuova” scuola in grado di dare un decisivo contributo al cambiamento più complessivo di cui ha bisogno il nostro Paese. Una scuola nella quale la figura dei docenti è centrale ma non come depositari del sapere, ma come abili navigatori in grado di guidare i giovani alla scoperta e alla comprensione con spirito critico delle tante fonti di cui oggi possiamo disporre. Un significativo e determinante cambio di ruolo che va rapidamente organizzato con un piano di formazione che valorizzi il il docente come attore rilevante della più complessiva trasformazione di cui il Paese ha bisogno. Importante il ruolo che viene dato alle tecnologie. Gli autori contrastano innanzitutto l’idea che la diffusione delle tecnologie possa impoverire la tradizione culturale italiana. Al contrario, spiegano e documentano come grazie alle nuove tecnologie si possa rivalutare la manualità e il saper fare e quindi il Made in Italy e i mestieri d’arte. Le tecnologie non vanno introdotte per essere al passo con i tempi, ma perché in caso contrario tutti i percorsi educativi saranno destinati all’inefficacia. Uno dei principali valori di questo libro è che spiega bene che non bisogna innovare la scuola perché c’è il digital, ma perché il mondo sta cambiando. Il digital può dare un contributo di grandissimo valore al miglioramento dell’apprendimento. E questo viene ben spiegato partendo dai risultati di molti anni di studio sull’apprendimento per poi riconoscere al “digital” la capacità di applicarli. Il digital può aiutarci a realizzare la scuola adatta ai nuovi tempi. Particolarmente interessante l’osservazione che il mondo digitale può simulare le proprietà del mondo fisico, liberandoci al contempo da alcuni vincoli degli oggetti fisici, prima di tutto dai rischi connessi alla manipolazione degli oggetti reali. Ken Robinson ha giustamente sottolineato come la scuola che conosciamo sia stata progettata e realizzata 400 anni fa per rispondere alle esigenze di allora. Oggi, dicono gli autori, occorre far sì che i lavoratori possano essere dotati, oltre che di un’elevata competenza professionale, anche di autonomia e capacità di decisione. Occorre che siano in grado di governare la complessità e l’incertezza. Viene giustamente segnalata la preoccupazione dell’Europa a proposito del documentato ritardo sull’innovazione digitale. Bruxelles segnala la mancanza degli skill necessari e l’assoluta importanza di una estesa alfabetizzazione. Di valore anche la rassegna panoramica sulle principali tendenze in atto a livello internazionale sul tema dell’innovazione legata all’introduzione delle tecnologie per la didattica da cui si ricava innanzitutto che il processo di innovazione è molto sviluppato e che i percorsi di effettiva innovazione sono stati realizzati solo dove l’uso delle tecnologie è stato abbinato a un ripensamento delle pratiche di insegnamento. Importante anche la rimessa in discussione dell’ambiente di apprendimento che vede il superamento della classica aula scolastica. Il libro è quindi un importante contributo di pensiero ma anche di azione per molti attori. Innanzitutto per coloro che nella scuola lavorano con passione e di cui molti sono già attori del cambiamento. Per i genitori che hanno più di tutti l’ansia per il futuro dei loro figli e vogliono giustamente una scuola che li aiuti a realizzarsi sviluppando i loro diversi talenti. Per le leadership studentesche che possono giocare un ruolo positivo in questa trasformazione. Per il governo che deve confermare senza esitazione e a tutto tondo l’innovazione della scuola tra le priorità per il rilancio del Paese. Il libro rafforza la scelta della leadership politica che ha giustamente segnalato una forte attenzione alla scuola a partire dalle infrastrutture. Per le forze sociali (mondo dell’impresa e dell’artigianato, ma anche sindacati) che devono condividere con il Governo questa priorità perché è condizione necessaria per le profonde e necessarie trasformazioni del settore industriale e dei servizi, per l’innovazione del Made in Italy e una nuova valorizzazione dei mestieri d’arte che sono un valore del nostro Paese. Per la filiera Ict e del digital che devono capire che la scuola è per loro un mercato che se affrontato con intelligenza e qualche investimento può dare risultati economici e di immagine di grande valore. Ciò che questo libro propone è in grado di entusiasmare più generazioni di insegnanti perché il digital negli ultimi anni si è dato l’obiettivo di diventare “analogico” e cioè di proporci una customer experience riconosciuta dai nostri sensi, riducendo così le barriere al suo utilizzo. È questo a la principale ragione del suo successo. I 700.000 insegnanti, i 7,3 milioni di studenti e le famiglie direttamente coinvolte non lasciano dubbi sull’alto valore politico del tema “scuola”. Una condizione necessaria e un punto critico. La condizione necessaria, giustamente indicata nel libro, è che tutte le scuole dispongano della banda larga, o più precisamente dei byte necessari consegnati in classe al singolo studente. Il “video” sarà uno strumento indispensabile di apprendimento e a nessuno studente dovrà essere impedito di poter vedere la più bella lezione disponibile in rete su qualsiasi argomento al costo di pochi centesimi. Un esempio per tutti la Divina Commedia di Roberto Benigni. Il punto critico è l’arco di tempo in cui saremo in grado di innovare la scuola italiana. Per entrambi ci vuole un piano. L’innovazione della scuola, come tante innovazioni nel nostro Paese è in atto per merito di persone intelligenti ma che rischiano di essere sotto massa critica e di non fare sistema. Visto che questa non è un’innovazione come le altre i tempi lunghi rischiano di creare vere e proprie discriminazioni di opportunità difficilmente accettabili socialmente e politicamente. Un libro quindi che esce nel momento giusto con i contenuti giusti. Tempismo non casuale tenuto conto dell’esperienza degli autori.  
   
 

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