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Notiziario Marketpress di Mercoledì 24 Novembre 2004
 
   
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  IN PRIMA NAZIONALE DEBUTTA SUL PALCOSCENICO DEL TEATRO LEONARDO DI MILANO IL MALATO IMMAGINARIO DI MOLIÈRE CON LA COMPAGNIA QUELLI DI GROCK  
   
   Milano, 24 novembre 2004 - Il Malato Immaginario è per noi una sorta di cabaret tragicomico, in cui i vizi dei protagonisti vengono messi alla berlina senza un giudizio morale. Trattandosi di una commedia balletto, la scelta di questo testo si lega coerentemente con la tradizione dei nostri spettacoli - che abbinano parola, gesto e movimento - e rappresenta un'evoluzione necessaria in un percorso che, dopo Caos e altri lavori di forte impatto fisico, scopre la necessità di parlare anche attraverso gestualità differenti, che tengono conto di ciò che il corpo spesso non mostra esplicitamente: il dolore. È un testo brillante, che ha messo in luce i nostri talenti clowneschi, ma che sottende un fondo amaro e tragico, tale da averci permesso anche di evocare il mondo della malattia - vera o fittizia che sia - attraverso quei segni e simboli che caratterizzano il nostro linguaggio teatrale, che spesso non si alimenta in maniera convenzionale, ma spazia altrove e va oltre le parole, cercando di portare il pubblico verso l'emozione e non verso il concetto. Il Malato Immaginario è un'opera sull'ipocrisia e una satira affilata sulla società di ieri come di oggi, affrontata senza la benevolenza di un sorriso, ma con un ghigno e uno sberleffo. Ci siamo serviti delle indicazioni di Molière per dipingere i protagonisti con tratti volutamente e impietosamente caricaturali; oltre che per Argante, il protagonista, che, segnato dalla sua ipocondria, rappresenta già di per sé una macchietta del malato "vero", per quasi tutti gli altri personaggi della commedia ci siamo ispirati al clown in tutte le sue accezioni, sia esso bianco o augusto. Clown inteso, naturalmente, come maschera ed esasperazione di un carattere. Allo stesso modo abbiamo seguito le indicazioni dell'autore per parte la coreografica: non possiamo certo parlare di balletti nel vero senso della parola e neppure era nostra intenzione ripresentare il nostro stile spesso dinamico e frenetico all'interno di una commedia come questa. Le coreografie sono momenti di gioco, spesso ironici e interpretati volutamente non con rigore e pulizia asettica, ma con divertimento. Lo spettacolo - come spesso succede nella tradizione di Quelli di Grock - è una perfetta combinazione di parole e movimento e, anche laddove non ritroviamo una coreografia vera e propria, la scelta registica verte comunque su un lavoro tutt'altro che convenzionale, che mette il corpo al servizio del testo. Anche la musica ed il canto rivestono un ruolo fondamentale: pur non volendo trasformare lo spettacolo in un musical, Gipo Gurrado e Carlo Zerri, che da anni seguono i nostri lavori, hanno costruito una vera e propria drammaturgia musicale, strettamente intrecciata al testo. Non a caso, dunque, fin dall'inizio,si evidenzia la figura di un attore-baritono, che abbiamo deciso di chiamare Monsieur Partout che quasi accompagna il pubblico e lo fa entrare nei deliri di Argante e a volte presenta gli altri personaggi e introduce le situazioni. La scenografia di Carlo Sala ci porta in un'atmosfera di finzione, come finta è la malattia di Argante e come finti sono i rapporti che egli intrattiene con gli altri protagonisti dello spettacolo. La scena è un palcoscenico in cui una serie di sipari svelano e nascondono; un palco su cui le entrate degli attori sono marcatamente delle entrees. Unici veri oggetti importanti sono il letto e la poltrona di Argante, che per lui rappresentano un rifugio, un'isola, una casa, sui quali muoversi e agire. Non sono simbolo di riposo, ma sono il luogo del delirio, del sogno, ed anche una sorta di tana protettiva, nella quale egli si sente al sicuro. La vicenda di Argante ci insegna come molto spesso nella vita le cose non siano quello che sembrano: un malato può essere sano, un nobile può essere un delinquente e una governante può trasformarsi nel paladino difensore della verità, dell'amore e della giustizia. La nostra lettura registica opta per l'attualizzazione della parola universale di Molière, affiancando - come lui stesso volle - al linguaggio verbale quello gestuale e musicale, con l'intento ultimo di parlare una stessa lingua: quella del popolo e della gente comune. Infolink: www.Elfo.org  
     
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