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Notiziario Marketpress di Lunedì 14 Febbraio 2005
 
   
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  UN PAPER DI TRE STUDIOSI BOCCONI PUBBLICATO DA POLITICA ECONOMICA - RIGIDITÀ DEL MERCATO DEL LAVORO: È L’OCSE A DISEGNARCI COSÌ, MA SBAGLIA  
   
  Milano, 14 febbraio 2005 - L’indice più usato per le comparazioni internazionali è impreciso e sottostima in modo sostanziale la flessibilità italiana. Rivedendolo l’Italia passa dalle posizioni di coda (23^) a metà classifica (tra la 16^ e la 18^ per le imprese con più di 15 dipendenti, 10^ per le altre). Assomigliamo più a Germania e Svezia che a Grecia e Turchia La base di partenza di ogni dibattito sulla mancanza di flessibilità del mercato del lavoro italiano è l’Indice Ocse sulla rigidità del mercato del lavoro. La stessa discussione che ha portato all’emanazione della legge Biagi è stata avviata per colmare il gap coi paesi più avanzati, percepito dalla lettura di un indice che, nella sua versione del 1999, poneva l’Italia in 23^ posizione su 26 paesi. Ebbene, un lavoro di Maurizio Del Conte, Carlo Devillanova e Silvia Morelli dell’Università Bocconi, pubblicato sull’ultimo numero di Politica Economica, rivista scientifica del Mulino, mostra come i calcoli dell’Ocse per l’Italia siano sostanzialmente sbagliati e la flessibilità del mercato del lavoro sia decisamente superiore. Alla base degli errori vi sarebbe soprattutto un’interpretazione superficiale del dettato normativo in materia. L’indicatore passerebbe così da un valore di 3,4 a uno, calcolato in modo conservativo, di 2,5, facendo salire l’Italia in una posizione compresa tra la 16^ e la 18^, con una flessibilità paragonabile a quella di Germania, Norvegia e Svezia, anziché Grecia, Turchia e Portogallo, che occupano le caselle più vicine all’Italia nella graduatoria ufficiale. Gli autori arrivano alla loro conclusione dopo avere riconsiderato in modo puntuale i 22 indicatori specifici che contribuiscono alla composizione dell’Indice. Il loro lavoro considera le condizioni del 1999, prima, cioè, delle nuove forme di flessibilità introdotte dalla legge Biagi. Un errore rilevante riguarda il calcolo dei costi di licenziamento: l’Ocse inserisce erroneamente nell’entità della liquidazione anche il Tfr, che va invece interpretato come retribuzione differita e che, anzi, ha sempre costituito una fonte di finanziamento a basso costo per l’impresa. Inoltre la cattiva interpretazione della cosiddetta “tutela reale”, che consente al lavoratore illegittimamente licenziato di scegliere tra la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità pari a 15 mensilità, comporta la sovrastima delle difficoltà di licenziamento: l’Ocse non considera né che la norma non è applicabile a tutte le imprese, né che reintegrazione e indennità sono provvedimenti alternativi, che non vanno a sommarsi l’uno con l’altro. Errori minori riguardano la durata massima dei contratti a tempo determinato e i vincoli per il loro rinnovo e la disciplina dei licenziamenti collettivi. In un solo caso (il periodo che intercorre tra licenziamento e sua effettività) l’Ocse sbaglia in senso opposto, considerando la legislazione più flessibile di quanto sia in realtà. Va infine notato che l’Indice Ocse prende in considerazione la sola normativa che riguarda le imprese con più di 15 dipendenti. Gli studiosi dell’Università Bocconi calcolano, invece, anche l’Indice dell’Italia per le sole imprese di dimensioni inferiori, alle quali non si applica lo Statuto dei Lavoratori. Ebbene, per questa parte rilevante dell’economia italiana (vi sono impiagati più del 30% dei lavoratori dipendenti), l’Indice scende al valore di 1,8, che equivale a una 10^ posizione nella graduatoria. Nel 2004 l’Ocse ha rivisto l’Indice, eliminando il Tfr dal calcolo dei costi di licenziamento, ma mantenendo le altre imprecisioni. Dopo avere ricalcolato l’Indice seguendo correttamente le regole dell’Ocse, i tre studiosi, al fine di migliorarne la qualità, suggeriscono comunque alcune modifiche metodologiche: il coinvolgimento di referenti giuridicamente più qualificati a livello nazionale; considerare, accanto alla normativa e ai contratti collettivi, anche la giurisprudenza; eliminare alcune rigidità metodologiche che portano l’Ocse a considerare sempre come elemento di rigidità la regolamentazione di un istituto (mentre, per esempio, la regolamentazione della Cassa Integrazione Guadagni costituisce in realtà un elemento di flessibilità) e ad addizionare meccanicamente gli indicatori base, senza valutarne complementarietà e interdipendenze. L’indice Ocse (1999); 1. Stati Uniti 0,7; 2. Regno Unito 0,9; 3. Nuova Zelanda 0,9; 4. Canada 1,1; 5. Irlanda 1,1; 6. Australia 1,2; 7. Svizzera 1,5; 8. Danimarca 1,5; 9. Ungheria 1,7; 10. Polonia 2,0; 11. Finlandia 2,1; 12. Repubblica Ceca 2,1; 13. Olanda 2,2; 14. Giappone 2,3; 15. Austria 2,3; 16. Belgio 2,5; 17. Corea 2,5; 18. Svezia 2,6; 19 Norvegia 2,6; 20. Germania 2,6; 21. Francia 2,8; 22. Spagna 3,1; 23. Italia 3,5; 24. Grecia 3,5; 25. Turchia 3,5; 26. Portogallo 3,7.  
     
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