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Notiziario Marketpress di Lunedì 28 Febbraio 2005
 
   
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  FIDEURAM INVESTMENT: MARKET OUTLOOK  
   
  Milano, 28 febbraio 2005 - La diffusione dei dati sul Pil dell’ultimo trimestre del 2004 ha ulteriormente evidenziato il divario nei ritmi di crescita che caratterizza le tre principali aree economiche del mondo. Mentre negli Usa, infatti, il rallentamento della crescita rispetto al trimestre precedente è stato contenuto (ed il dato sarà probabilmente rivisto al rialzo) e le prospettive nella prima parte dell’anno sono per una crescita su ritmi sostenuti, l’andamento dell’attività economica nell’area euro e in Giappone è stato particolarmente deludente. Il tasso di crescita dell’area euro ha subito nella parte finale dello scorso anno un’inattesa ulteriore decelerazione dai ritmi già molto dimessi del terzo trimestre, con una performance molto eterogenea tra le principali economie (con una netta e inattesa contrazione in Germania e Italia e un andamento confortante in Francia e Spagna) e le prospettive per la prima parte del 2005 sono per una prosecuzione della crescita su ritmi molto modesti. In Giappone i dati diffusi nel corso degli ultimi giorni mostrano addirittura che l’economia è entrata a metà 2004 nella quarta recessione a partire dall’inizio degli anni 90. La fase di contrazione dell’attività economica, determinata principalmente dall’andamento deludente dei consumi privati e dell’interscambio commerciale, dovrebbe essersi già conclusa, ma la crescita dovrebbe rimanere stentata anche nella prima parte del 2005 (permane però la nostra visione positiva sullo scenario di medio periodo). Stati Uniti - Crescita del Pil stabile su ritmi elevati. Le indicazioni relative all’andamento dell’attività economica nella prima parte del 2005 confermano lo scenario secondo cui i tassi di crescita negli Usa si stanno mantenendo pressoché in linea con quelli prevalenti in media nella seconda metà del 2004. Nel trimestre corrente, in particolare, si dovrebbe assistere ad un rallentamento della domanda finale interna privata, con una moderazione della crescita sia per i consumi che per gli investimenti. A differenza del quarto trimestre del 2004 si dovrebbe, però, registrare un modesto contributo positivo alla crescita proveniente dal canale estero, che ha invece pesantemente drenato crescita nel trimestre scorso, e la variazione delle scorte dovrebbe fornire una spinta ancora più marcata rispetto al quarto trimestre del 2004. La crescita dei consumi si conferma robusta all’inizio dell’anno. L’andamento delle vendite al dettaglio di gennaio ha confermato che, nonostante un rallentamento rispetto ai ritmi molto sostenuti della seconda parte del 2004, la crescita dei consumi nella parte iniziale dell’anno è rimasta elevata. Le vendite al dettaglio totali hanno risentito della sensibile, ma ampiamente attesa, contrazione delle vendite di auto, facendo registrare una contrazione del -0.3% m/m (la prima flessione dallo scorso agosto). La dinamica delle spese escluse le auto è rimasta però alquanto sostenuta e ha, anzi, accelerato rispetto ai due mesi precedenti. Se, oltre alle auto, si escludono anche le spese per la benzina e per i materiali per costruzioni, le considerazioni appena fatte rimangono valide: le vendite “core”, che sono rilevanti per l’andamento dei consumi nel Pil, sono aumentate in gennaio del +0.6% m/m, facendo registrare il tasso di crescita più elevato degli ultimi tre mesi. Dati discordanti sulle condizioni del mercato del lavoro. La crescita dell’occupazione nel corso degli ultimi mesi non è risultata molto vivace e ha chiaramente rallentato rispetto ai ritmi prevalenti durante lo scorso anno: l’aumento medio degli addetti nei tre mesi fra novembre e gennaio è stato di 137 mila unità, contro una media di 191 nei primi dieci mesi del 2004. Indicazioni molto più confortanti giungono invece dai dati a più alta frequenza relativi ai “jobless claims” che hanno mostrato un evidente miglioramento nel corso delle ultime settimane. L’andamento dei “jobless claims”, unitamente al sensibile miglioramento della percezione delle prospettive occupazionali registrata dalla ricerca sulla fiducia dei consumatori in dicembre e gennaio, evidenzia che, probabilmente, le condizioni del mercato del lavoro non sono deteriorate nella misura indicata dai dati sui “payrolls” e un recupero della crescita occupazionale è ragionevole nell’immediato futuro. Niente sorprese dalla Fed. La testimonianza semestrale di Greenspan di fronte al Congresso di metà febbraio non ha fornito spunti di particolare novità e non ha, pertanto, indotto modifiche nelle nostre aspettative di politica monetaria per il resto dell’anno. La Fed ha presentato stime di crescita per il 2005 e per il 2006 alquanto positive: la proiezione per il 2005 indica che la crescita a/a del Pil nell’ultimo trimestre dell’anno si attesterà fra il 3,75 e il 4%. Per quanto riguarda l’inflazione lo scenario presentato dalla Fed non contempla sostanzialmente nessuna accelerazione nella dinamica dei prezzi nel corso dei prossimi due anni. Nel complesso, la Fed sembra comunicare che, in presenza di una maggiore solidità e sostenibilità della crescita, di tassi reali a breve che rimangono ancora “alquanto bassi” e di una mancata correzione al rialzo dei rendimenti a lunga da quando è iniziato il ciclo restrittivo (fenomeno che appare “un enigma” secondo Greenspan), un aumento graduale dei tassi sui Fed Funds sia necessario, in particolare dal momento che un aumento del risparmio nazionale netto risulta “cruciale per l’aggiustamento” degli squilibri che caratterizzano l’economia Usa. Manteniamo quindi la nostra previsione che una pausa nel processo di rialzo dei tassi da parte della Fed non sia imminente (con i tassi sui Fed Funds a fine anno al 3.75% e un rischio al rialzo su questa previsione). Area euro - La crescita del Pil nel quarto trimestre del 2004 delude decisamente, soprattutto in Germania e Italia. Le prime stime preliminari sulla crescita del Pil dell’area euro nel quarto trimestre ‘04 hanno significativamente deluso al ribasso in tutte le principali economie dell'area, ad eccezione di Francia (3.0% annualizzato) e Spagna (3.5% annualizzato). In Germania, Italia e Paesi Bassi si è addirittura verificata una contrazione del Pil (rispettivamente del -0.8%, -1.2% e -0.4% annualizzato). Aggregando i diversi paesi, la crescita dell’area euro non dovrebbe avere superato un misero 0.6%/0.8% annualizzato, dunque in ulteriore rallentamento rispetto al già modesto 1.1% conseguito nel trimestre precedente, e ben al di sotto della nostra attesa (1.5%). Gli unici dati disaggregati sulla scomposizione del Pil di cui si dispone attualmente (quelli di Francia e Paesi Bassi) mostrano però una ripresa significativa della domanda interna, e, nel caso olandese, un importante contributo negativo da parte delle scorte. Dal momento che nel terzo trimestre si era verificato un forte accumulo di scorte un po’ in tutti i paesi dell’area euro (ma con l’importante eccezione dell’Italia), è probabile che un simile decumulo consistente degli stock di magazzino si sia verificato anche in Germania (per l’Italia la valutazione è resa più incerta proprio dal fatto che nel terzo trimestre ‘04 le scorte si erano già contratte in misura marcata, e per il terzo trimestre consecutivo). A giudicare dai dati sulla produzione industriale, si può sospettare che, almeno nel caso dell’Italia, si sia verificata anche una contrazione marcata degli investimenti. Inoltre, a differenza della Germania, in Italia anche il contributo del canale estero dovrebbe essere stato pesantemente negativo. L’italia pertanto sembra confermare le maggiori difficoltà di ripresa rispetto agli altri paesi dell’area euro. Il ciclo delle scorte potrebbe comportare un avvio più brillante nel 2005. Nel caso in cui le scorte fossero state il principale responsabile dell’andamento negativo della crescita nel quarto trimestre ‘04, le aspettative per il primo trimestre 2005 potrebbero venire innalzate da un'attesa di un probabile riaccumulo dei magazzini, anche in considerazione del miglioramento della fiducia delle imprese nel mese di gennaio e probabilmente anche a febbraio, perlomeno a giudicare dall’ulteriore, forte rialzo dell’indice Zew proprio nel mese di febbraio (l’indice si è riportato sulla media di lungo periodo). Va però considerato che la sorpresa negativa nelle stime preliminari di crescita per il quarto trimestre ‘04 è stata decisamente marcata rispetto alle attese, e questo lascia supporre che non solo le scorte, ma molto probabilmente anche la stessa domanda finale interna (consumi ed investimenti) abbiano ancora una volta deluso al ribasso. Tale dinamica, oltre a comportare un minore "effetto trascinamento" per la crescita del 2005 (che perde per questo motivo un decimale, scendendo all'1.4% dal precedente 1.5%), confermerebbe ancora una volta la fragilità della ripresa in atto nell’area euro, moderando le attese di una mossa anticipata di rialzo dei tassi della Bce prima dell’autunno prossimo. La Bce continua a mantenere un tono piuttosto aggressivo. La conferenza stampa della Bce di inizio febbraio, pur non presentando differenze sostanziali rispetto al mese precedente, è parsa comunque, nel complesso, volere accentuare alcune sfumature in senso più restrittivo, in particolare sottolineando una volta di più le preoccupazione per l’eccesso di liquidità presente nel sistema e i rischi per i prezzi degli assets (sia immobiliari che finanziari). Inoltre anche nelle settimane successive importanti esponenti della Bce hanno inasprito i toni in una serie di interviste, sottolineando come i rischi per la stabilità dei prezzi fossero diventati più forti. Le dinamiche di inflazione restano favorevoli. I dati delle principali economie dell’area euro relativi al mese di gennaio hanno avvalorato la nostra attesa di una discesa dell’inflazione già a partire da inizio anno al 2.1% dal 2.4% di dicembre, ed anzi, sembrerebbero indicare che il dato finale possa scendere ulteriormente al 2.0%. Il risultato è conseguenza non solo di un favorevole effetto base nei prezzi amministrati (che l’anno scorso erano aumentati considerevolmente in gennaio), ma anche di sconti più elevati delle attese per quanto concerne i saldi nel settore dell’abbigliamento. Nel resto dell’anno, sia l’inflazione totale che l’inflazione core dovrebbero continuare a scendere gradualmente e portarsi rispettivamente all’1.8% e all’1.6% (in media) già a partire dal secondo trimestre (a meno di ulteriori shock esogeni). Giappone e Cina Quarta recessione in Giappone dalla fine della bolla speculativa, ma probabilmente già finita. La pubblicazione del Pil del quarto trimestre 2004 e la revisione dei dati dei precedenti trimestri ha mostrato che l’economia giapponese ha registrato la quarta recessione dallo scoppio della bolla speculativa all’inizio degli anni ‘90. Il Pil, infatti, oltre ad essersi contratto nel quarto trimestre del -0.5% annualizzato, è stato anche rivisto in territorio negativo nel terzo trimestre del 2004 (dal +0.2% al -1.1%), dopo che già nel secondo trimestre si era contratto (del -0.8%, secondo i dati rivisti). L’economia giapponese nel 2004 è cresciuta del 2.6%, ma se si analizza l’andamento della crescita nei diversi trimestri si evince una fotografia molto meno confortante. La performance tanto deludente della crescita può essere attribuita sostanzialmente a due fattori: consumi privati e canale estero. I primi risultano in flessione da un semestre. La deludente spesa per consumi nel quarto trimestre (-1.3%) può essere parzialmente ricondotta a diversi fattori temporanei (un forte aumento dei prezzi degli alimentari determinato dai numerosi tifoni che si sono abbattuti sulla regione a settembre, il terremoto di fine ottobre, il clima di fine trimestre meno rigido del solito), ma non si possono trascurare gli effetti che potrebbero aver avuto sul reddito disponibile, oltre ai minori bonus, i maggiori esborsi per contributi e tasse, oltre alla maggiore incertezza riguardo all’andamento delle pensioni. Il Pil del quarto trimestre ha registrato, d’altro lato, il secondo contributo negativo consecutivo del canale estero. Anche per questa voce è difficile attendersi una ripresa nel breve periodo, mentre attese più positive appaiono ragionevoli per la seconda metà del 2005. Sembra dunque plausibile attendersi che nel primo semestre del 2005 i tassi di crescita del Pil saranno piuttosto deboli e sostenuti principalmente dagli investimenti e dalla spesa pubblica (alla luce del primo budget supplementare approvato in tre anni). Il nostro scenario continua a prevedere tassi di crescita più elevati nel secondo semestre dell’anno in corso. Diventano più convincenti le attese di una tenuta degli investimenti nel 2005. Alla luce dei dati ad alta frequenza a nostra disposizione (in particolare gli ultimi due rapporti sugli ordinativi di macchinari), il nostro scenario centrale prevede una tenuta degli investimenti in macchinari ed attrezzature in tutto il 2005 (la nostra previsione per gli investimenti reali non residenziali nel Pil prevede una crescita nel 2005 del 5.6% dal 6.1% registrato nel 2004). I dati sugli ordini di macchinari “core” consentono di anticipare l’andamento degli investimenti in macchinari ed attrezzature. Nel quarto trimestre questi ordini sono cresciuti del 6% t/t superando le previsioni di inizio trimestre formulate dal governo (1.8% t/t). Dalla scomposizione degli ordinativi si evince anche che la crescita nel quarto trimestre è stata piuttosto equilibrata mostrando elevati tassi di crescita sia nel settore manifatturiero (+ 6.4% t/t) che in quello non manifatturiero (+6.3% t/t, crescita sostenuta anche dal necessario adeguamento delle piattaforme informatiche dei segmenti bancario/assicurativo a causa del termine della garanzia sui depositi prevista ad inizio aprile). Le previsioni del Governo per il primo trimestre del 2005 sono ancora molto positive (+9.9% t/t, con una crescita nel manifatturiero del 6.9% t/t e nel non manifatturiero del 10.4% t/t), ad indicare che il temuto rallentamento degli investimenti nel primo semestre del 2005 non dovrebbe materializzarsi. Dopo il G7 si sono ridotte le pressioni per una rivalutazione della valuta cinese: più probabile una mossa a sorpresa? In seguito al nulla di fatto seguito al G7 che si è tenuto ad inizio febbraio, le pressioni per una rivalutazione imminente dello yuan (molto evidenti nei dati relativi all’accumulo di riserve valutarie nel quarto trimestre) sembrano essere, almeno parzialmente, rientrate. I dati a frequenza giornaliera sui “forward” che forniscono un’indicazione dell’ampiezza della rivalutazione attesa dal mercato mostrano ora un probabile apprezzamento nel prossimo anno ben più modesto (2% circa) rispetto a fine dicembre 2004 quando prospettavano una rivalutazione del 6%. Una minore pressione speculativa sul cambio, a nostro avviso, costituisce una delle precondizioni necessarie affinché le autorità di politica economica cinesi possano decidere di muoversi per rivalutare lo yuan. La tenuta della crescita (i dati di gennaio distorti dall’effetto del “nuovo anno cinese” non aiutano a comprendere se l’economia cinese sia entrata nel 2005 con slancio oppure no) ed il rafforzarsi di pressioni inflazionistiche (l’inflazione è prevista in calo nel breve termine, ma per riaccelerare poi nella seconda metà dell’anno) costituirebbero ulteriori condizioni necessarie per questa decisione. Mercati azionari - Segnali di ripresa della spesa per investimento - Gli indici azionari internazionali hanno registrato nell’ultimo mese una leggera performance positiva. Il mercato americano e quello giapponese, dopo la correzione di gennaio, hanno recuperato, attestandosi su livelli vicini a massim di periodo, mentre quello europeo ha proseguito l’andamento brillante di inizio anno. I mercati azionari hanno beneficiato delle conferme provenienti dal versante societario: la conclusione della reporting season americana ed europea hanno ribadito, oltre ad una forte crescita dei profitti (il 2004 si è concluso con un incremento di più del 20% nei mercati principali), la buona redditività delle imprese ed il virtuoso stato di salute de bilanci, evidenziato dal basso livello di indebitamento e dall’ingente liquidità. In un quadro in cui l’apporto alla crescita da parte dei consumi privati appare meno rilevante ed il processo di riduzione dei costi da parte delle imprese sembra volgere al termine, in particolar modo negli Stati Uniti, la capacità di generare utili da parte delle società dipende in maniera cruciale dalla ripresa della spesa per investimento. Secondo una prospettiva storica la spesa per investimenti, nonostante la crescita dell’ultimo anno, appare ancora debole rispetto al ciclo economico. La causa va ricercata nell’avversione al rischio delle imprese che hanno preferito utilizzare la liquidità per la riduzione del debito e la distribuzione di dividendi (e acquisto di azioni proprie) piuttosto che nell’investimento in conto capitale. Il clima, però, si sta evolvendo favorevolmente e cominciano ad arrivare i primi segnali incoraggianti sulla ripresa degli investimenti: i nuovi ordini di beni capitali non legati alla difesa sono cresciuti notevolmente negli Stati Uniti, secondo gli ultimi dati rilasciati dalla Fed e dalle società, pur in presenza della fine dei benefici fiscali; la domanda di credito da parte delle imprese appare in ripresa, come emerge dalle trimestrali delle banche americane, che hanno evidenziato una crescita degli impieghi intorno al 5% nella seconda parte dell’anno scorso, e dai questionari che le banche centrali periodicamente propongono ai principali istituti di credito (Loan Officer opinion survey della Fed e la survey contenuta nel Bollettino mensile della Bce); le attività di fusioni e acquisizioni hanno subito un’accelerazione dopo tre anni di cautela: la crescita del 2004 è stata rilevante, intorno al 50%, e i mesi di dicembre e gennaio sono stati i più vivaci degli ultimi 4 anni; l’acquisto della Gillette da parte della Procter & Gamble e della At&t da parte della Sbc Communications rappresentano i casi più significativi. Rimangono, tuttavia, elementi di incertezza relativi a: aspetti macroeconomici : il ciclo economico europeo e giapponese rimangono in ritardo rispetto a quello americano specie per quanto riguarda la domanda interna, come emerge dai dati preliminari di crescita del Pil nel quarto trimestre 2004: particolarmente deludente l’andamento di Germania, Giappone ed Italia aspetti microeconomici : permane una elevata avversione al rischio delle imprese, come testimoniano le ultime fusioni e acquisizioni orientate esclusivamente al risparmio sui costi e quindi motivate da ragioni di efficienza operativa piuttosto che da investimenti strategici sulla top-line. I segnali di una possibile ripresa della domanda di credito unitamente alla ingente liquidità presente nei bilanci societari indicano, comunque, un notevole potere di spesa da parte delle imprese. Le modalità di impiego di queste risorse finanziarie costituiscono il principale punto di domanda per i prossimi mesi. In proposito, da una indagine effettuata presso un campione di aziende sull’andamento della spesa per investimenti emergono i seguenti punti: in tutte le aree è atteso un risveglio della spesa per investimenti: i piani di spesa previsti appaiono più aggressivi negli Stati Uniti, dove è stimato che il 38% delle società aumenteranno i propri investimenti più del 10%; la liquidità disponibile appare la fonte di finanziamento preferita: il 90% delle società americane e giapponesi e l’80% di quelle europee hanno pianificato l’utilizzo di fondi generati internamente per finanziare i piani di investimento; l’impiego della liquidità disponibile è rivolto principalmente alla spesa per investimento e all’acquisto di azioni proprie (più del 50% in tutte le aree). Lo scenario, che emerge, è quello di un aumento della spesa per investimenti, finanziata principalmente con la liquidità che è stata generata dalle prudenti politiche societarie degli ultimi anni. In conseguenza dei segnali confortanti di inizio anno sulla ripresa degli investimenti siamo portati, quindi, a ritenere che le prospettive sulla sostenibilità della crescita degli utili rimangano sostanzialmente buone, anche se non ai livelli record degli ultimi due anni. Le precedenti considerazioni, unitamente agli alti livelli di dividend yield (1,9% negli Stati Uniti e 2.9% in Europa) e ai bassi livelli di rendimento forniti dalle obbligazioni governative e corporate, ci inducono a confermare l’attuale preferenza per l’investimento azionario. Materials: domanda sostenuta ma scarsi investimenti - Usa - Il comparto dei titoli legati alle materie prime ha archiviato, da inizio anno, una performance solo marginalmente superiore a quella del mercato nel complesso andando però ad amplificarne i movimenti, tanto nella fase di ribasso - le prime settimane dell’anno - quanto nel movimento di ripresa da fine gennaio in avanti. Principalmente degli scarsi investimenti per l’ampliamento della stessa realizzati nel decennio passato. Ciò rende plausibile l’attesa di un inasprimento della strozzatura dal lato dell’offerta e quindi della possibilità per i principal operatori del settore di avere un pricing power sufficiente, al minimo, a scaricare sul prodotto finale i maggiori costi legati all’elevato prezzo del petrolio e quindi a non creare problemi sui margini operativi. Le prospettive di una crescita economica a livello globale ancora su livelli apprezzabili, garantiscono una certa visibilità sull’andamento, almeno nel breve, della domanda di materie prime. A rendere tale tesi ancora più plausibile è il fatto che l’economia cinese, responsabile di buona parte della domanda di materie prime, per quanto probabilmente in rallentamento rispetto ai livelli record degli scorsi trimestri manterrà ritmi ancora molto sostenuti e comunque più che doppi rispetto a quelli delle altre macro-aree. Per contro, il comparto è attualmente in una situazione in cui l’utilizzo della capacità produttiva è su livelli record, a seguito Europa - Il settore dei materials è stato, da inizio anno, uno dei miglior performer del mercato europeo, segnando un rialzo di circa il 9% (indice Msci Europe Materials), superando l’indice Msci Europe di quasi il 4%. Il differenziale di rendimento tra le varie componenti del settore è stato comunque abbastanza marcato, per cui è necessario individuare le diverse tematiche industriali che hanno guidato le performance dei principali sub-comparti Infatti, se nel complesso il settore continua ad essere favorito da un livello di domanda che rimane sostenuto, bisogna considerare che il forte rialzo dei segmenti metals&mining e constructions (13% circa) è stato piuttosto indotto da elementi specifici. I titoli legati alle attività di estrazione e lavorazione dei metalli hanno beneficiato del perdurare di uno scenario favorevole sulle materie prime - con i prezzi delle commodities che continuano a seguire il trend rialzista che ha caratterizzato anche il 2004 – mentre i titoli del settore costruttivo sono stati prevalentemente condizionati da elementi speculativi relativi ad operazioni di fusione ed acquisizione. Il segmento della chimica, invece, pur realizzando performance positive in assoluto (+6% circa) ha sottoperformato l’indice generale di settore, in quanto penalizzato dal rialzo del prezzo del petrolio che viene percepito negativamente in quanto correlato con l’andamento dei costi di produzione. Le prospettive sui materials rimangono generalmente buone, sia in relazione ai processi di ristrutturazione ancora in corso, con attese positive sul fronte del taglio dei costi, sia per quanto riguarda l’elevata generazione di cassa raggiunta mediamente dal comparto, che dovrebbe andare a finanziare nuovi piani d’investimento (settore mining) o apprezzabili politiche di distribuzione di cassa agli azionisti (settore chemicals). Tuttavia, bisogna comunque considerare l’impatto valutario connesso all’esposizione dei fatturati aziendali alle aree americana ed asiatica e l’incertezza sul perdurare dell’attuale pricing power delle aziende chimiche. Telecom: contesto industriale incerto ma potenzialità di crescita in Europa Usa Il settore telecom attualmente evidenzia la peggior performance da inizio anno sia in termini assoluti sia relativamente all’S&p500. Le motivazioni alla base dell’andamento negativo del settore sono in larga parte correlati ad un contesto industriale molto incerto e caratterizzato da possibili evoluzioni negative, confermate anche da una serie di eventi e notizie recenti. In particolare: inoltre, errori in tale fase potrebbero portare ad inutili sprechi di risorse e/o ad una minore attenzione ed incisività nel core business; rimane aperta la possibilità di un deterioramento della posizione finanziaria che, probabilmente, più che compensa l’elevato livello di dividend yield offerto dalle principali società del settore. Nella valutazione delle fusioni recentemente annunciate prevale il carattere difensivo di tali operazioni: dopo l’acquisizione di At&t Wireless da parte di Cingular il settore è stato interessato da una serie di operazioni di fusione che hanno ridefinito sia il comparto wireless (Sprint/nextel) che, soprattutto, la parte wireline. Pur essendo positiva la spinta verso la razionalizzazione del settore, i benefici ottenibili da tali operazioni in termini di sinergie di costo e strategiche rimangono ancora incerti ed, pricing power debole e concorrenza agguerrita: i trend storici di riduzione dei prezzi sulla telefonia fissa e di forte competizione da parte delle società di Tv via cavo, rimangono ancora validi e sono stati confermati dalle informazioni dedotte dalle trimestrali delle principali società cable (Comcast e Time Warner); quadro valutativo poco attraente nonostante la compressione dei multipli: la presenza di un contesto strutturale caratterizzato da fattori negativi di notevole portata ridimensiona completamente l’attrattività dei multipli valutativi e, conseguentemente, la compressione di questi ultimi non può rappresentare una motivazione sufficiente per l’investimento nel settore a meno di ulteriori e consistenti ribassi dei corsi azionari dai livelli attuali. La consistente underperformance del settore potrebbe essere ridimensionata da evoluzioni riferite alla quantificazione delle sinergie (di costo e/o strategiche) ottenibili tramite le operazioni di fusione o relative a modifiche del quadro normativo in senso favorevole alle principali società telefoniche. Europa Dopo essersi contraddistinto tra i migliori settori del listino nell’ultima parte del 2004, il comparto telefonico ha realizzato finora una performance assoluta positiva (oltre il 2%), ma risulta deficitario rispetto all’andamento globale del mercato europeo (-3% circa in relativo). La spiegazione di tale fenomeno va principalmente ricercata proprio nelle prese di profitto che hanno seguito il recente andamento brillante del settore, visto che da inizio anno non si sono verificate variazioni significative nello scenario di riferimento, tali da giustificare un’inversione di tendenza del comparto. All’interno di uno scenario d’investimento in cui si segnala la preferenza per i settori con buona visibilità degli utili e rendimento elevato, il comparto telefonico dovrebbe continuare ad essere favorito dalla combinazione di tre aspetti fondamentali: l’attrattività delle valutazioni, il momento positivo degli utili societari e il processo di impressionante generazione di cassa, che rende sostenibile la crescita sequenziale del dividendo e il rinnovo dei piani aziendali di buy-back. Da un punto di vista industriale, peraltro, il settore si caratterizza per una serie di potenzialità di crescita connesse sia allo sviluppo dei nuovi servizi integrati (cosiddetto triple play: telefonia fissa, mobile, internet), sia ai progressivi piani d’investimento che i principali operatori europei stanno conducendo nei paesi cosiddetti emergenti, dove lo sviluppo dell’offerta telefonica è ad una fase meno matura del ciclo. Mercati obbligazionari Ulteriore appiattimento delle curve dei rendimenti - Dalla fine di gennaio il mercato obbligazionario ha mostrato un andamento volatile e con qualche differenziazione tra le diverse aree geografiche, che si è sviluppato in un contesto di tendenziale appiattimento delle curve dei rendimenti. Sul mercato statunitense i titoli guida con scadenza a due anni hanno registrato un innalzamento dei rendimenti di circa 14 pb mentre sulla scadenza a dieci anni i rendimenti sono rimasti sostanzialmente invariati. In Europa, il movimento di appiattimento della curva dei rendimenti è stato meno evidente con le scadenze a breve termine ed intermedie che segnalano un rialzo dei rendimenti di circa 5 pb e quelle a più lunga scadenza che evidenziano rialzi più contenuti. Negli Stati Uniti l’andamento delineato è stato principalmente il risultato della fermezza della Federal Reserve nel riportare i tassi guida della politica monetaria verso un sentiero di normalizzazione. Tale intenzione, peraltro, è stata ulteriormente confermata nella testimonianza che Greenspan ha recentemente tenuto di fronte al Senato americano. Sebbene l’intervento del governatore della banca centrale americana non abbia riservato particolari novità per gli operatori del mercato obbligazionario, rimane chiara la visione secondo cui gli attuali tassi di riferimento sono eccessivamente bassi se valutati in termini reali. Rimane, tuttavia, aperta la questione di una parte a lungo termine della curva dei rendimenti che mostra valori estremamente bassi se valutati nella prospettiva storica dei precedenti rialzi dei tassi da parte della banca centrale. In parte questo è il risultato di aspettative di inflazione piuttosto tenui da parte degli operatori. Sembra, tuttavia, difficile spiegare il livello dei tassi di interesse negli Stati Uniti senza ipotizzare che una parte sufficientemente ampia di operatori si sta aspettando un rallentamento della crescita economica. Naturalmente concorrono anche fattori di tipo tecnico quali il continuo acquisto di titoli obbligazionari a lungo termine da parte di fondi pensione ed i flussi consistenti in acquisto che continuano a provenire dalle banche centrali asiatiche. Anche in Europa i fattori tecnici hanno sostenuto il mercato, sovrapponendosi ai rilasci dei principali dati macroeconomici che, peraltro, sul fronte della crescita economica non si sono rivelati troppo incoraggianti. Tra questi vanno citati i continui acquisti di titoli a lunga scadenza da parte d’investitori istituzionali, fondi pensione e assicurazioni, che hanno la finalità di assicurarsi rendimenti garantiti a fronte di passività a medio-lunga scadenza. Pur prescindendo da considerazioni sulla congruità degli attuali livelli di rendimento, risulta chiaro che un tale fenomeno non può essere transitorio bensì legato ai processi di ristrutturazione dei sistemi pensionistici nelle maggiori economie occidentali. In Europa permane, comunque, un quadro positivo che la Bce ha tracciato, nelle comunicazioni al mercato, sulle moderate prospettive inflazionistiche, mentre un fattore di preoccupazione è legato alla persistenza di abbondante liquidità. A riprova della forza dei fattori endogeni, si deve sottolineare che il sensibile ritracciamento dell’euro verso il dollaro dai massimi di fine anno intorno a 1,35 all’attuale 1,29 non ha avuto particolare influenza sull’andamento del mercato obbligazionario europeo I titoli inflation linked hanno mostrato una buona performance sia negli Stati Uniti che in Europa. Le break even inflation (differenziale di rendimento tra i rendimenti nominali e i rendimenti reali dei titoli legati all’inflazione) sono aumentate anche in considerazione di fattori tecnici legati alla stagionalità dell’inflazione che, nei prossimi mesi, dovrebbe favorire questi titoli rispetto ai loro corrispettivi nominali. In Giappone il corso dei titoli obbligazionari è risultato molto volatile, guidato da una serie di dati macroeconomici non univoci e spesso contrastanti. Fino a metà mese sono emerse buone indicazioni dagli ordinativi di macchinari e dalla fiducia dei consumatori, che hanno sospinto i rendimenti al rialzo. Tenui tensioni inflazionistiche e, in particolare, dati di crescita particolarmente deludenti hanno recentemente innescato un’inversione di tendenza dei rendimenti. In prospettiva: continuiamo a ritenere che la parte a breve europea offra un buon livello di protezione, appare infatti improbabile un rialzo dei tassi da parte della Bce per i prossimi mesi. Un deciso indebolimento dell’euro sul dollaro modificherebbe tale scenario, ma fattori strutturali manterranno una pressione al ribasso sulla valuta americana; dopo l’ottima performance relativa realizzata dai titoli europei, attualmente, il potenziale di sovra-performance dei titoli lunghi europei rispetto a quelli americani appare molto più limitato; fattori di stagionalità rendono i titoli inflation linked marginalmente attraenti rispetto ai corrispondenti titoli nominali per i prossimi mesi. Questa considerazione vale soprattutto per le obbligazioni americane; prevediamo un proseguimento della fase di appiattimento della curva dei rendimenti americana, sulla scia dei prossimi interventi della Fed. High yield - Corporate - Investment grade Riepilogo - Nel periodo compreso tra gennaio e febbraio le asset class a spread hanno rinnovato una tendenziale forza evidente soprattutto nelle aree a maggior rischio (high yield) e nell’area corporate euro che si conferma ancora molto solida. Rimane invece piuttosto debole l’andamento dei titoli “investment grade” americani sui quali rimane più marcato l’effetto negativo dei maggiori produttori di auto. Quadro - Ancora una volta il quadro di riferimento rimane costruttivo. A seguito di buoni fondamentali, consistente liquidità e tendenziale taglio dei costi, le imprese hanno limitate esigenze di rifinanziamento che incontrano invece investitori alla continua ricerca di extra-rendimento. La ripresa, soprattutto in Usa, dell’attività di fusione ed acquisizione non sta ancora innescando una rincorsa all’indebitamento né fenomeni di crescita esterna in aree non caratteristiche delle aziende coinvolte. Inoltre, le proposte legislative inerenti i fondi pensione americani nonché le riforme sul medesimo fronte al momento in atto in Europa risultano a supporto della domanda di titoli corporate. Prospettive - Le prospettive rimangono positive per la scarsità di imminenti fattori di rischio al momento concepibili. A fronte di ciò, il valore offerto dai livelli correnti di spread è minimo e si traduce in un’asimmetrica posizione di rischio, ovvero offre una remunerazione insufficiente per il rischio implicito nell’asset class.  
     
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