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Notiziario Marketpress di
Giovedì 30 Settembre 2004
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Web alimentazione e benessere |
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CRESCE IL CONSUMO DEI PASTI FUORI CASA |
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Gli italiani tendono a consumare il pranzo al ristorante nelle mense aziendali Si ordina sempre di più il piatto unico o due portate L'inivito di Fipe - Confcommercio all'Istat: rivedere la rilevazione dei prezzi relativi alle spese al ristorante. Addio vecchio bel piatto di lasagne fumanti sulla tavola di mezzogiorno al rientro da scuola o dal lavoro. I ritmi frenetici e concentrati costringono gli italiani a consumare timballi e fettuccine fuori casa, magari nei punti di gastronomia o al ristorante oppure nelle mense scolastiche o aziendali. L'indagine svolta dal centro studi di Fipe - Confcommercio sulla ristorazione collettiva (mense) e quella commerciale (ristoranti e pizzerie) conferma la tendenza degli italiani a consumare sempre più spesso il pasto fuori casa. I consumi alimentari fuori casa nel loro complesso hanno assunto negli ultimi anni un ruolo crescente nell'ambito della domanda generale dei prodotti alimentari. Dal 1988 ad oggi la ripartizione della spesa delle famiglie per il consumo alimentare in casa è scesa dal 75,1% al 69,1% a tutto vantaggio della spesa per i consumi fuori casa la cui variazione è cresciuta dal 24,9% all'attuale 30,9%. E si stima che tra vent'anni le due quote quasi si equivarranno attestandosi a un 46% di spesa per i pasti fuori casa e a un 54% di spesa per i pasti in casa. In pratica, un terzo della spesa per consumi alimentari viene veicolata fuori casa in ristoranti o nelle mense (per stare alle due macrotipologie che fanno capo al variegato mondo del pubblico esercizio). Ma non è solo il luogo dove si consuma il cibo (casa o ristorante) a variare; cambia anche l'importanza data ai pasti. Appena dieci anni fa il 78,2% degli italiani considerava il pranzo il pasto principale della giornata a fronte di un 17,3% di italiani che davano importanza alla cena. Oggi la percentuale che dà rilevanza al pranzo non supera il 70% e quella che dà importanza alla cena si attesa oltre il 30%. Inoltre, all'interno di questi due momenti principali si inseriscono poi altre occasioni di consumo di cibo con spuntini, snack e merende varie. In pratica, per necessità o per scelta, gli italiani tendono ad alimentarsi sempre più fuori dalle pareti domestiche, prediligendo il pasto destrutturato (fatto di piatto unico o al massimo di due portate) al classico ordine di una ventina di anni fa che andava dall'antipasto al dolce. Per questo la Fipe - Confcommercio lancia una invito all'Istat per rivedere la metodologia di rilevazione dei prezzi al ristorante. In particolare si rende necessario passare dalla rilevazione del prezzo di un pasto completo a quello attuale, in modo da allineare la spesa effettivamente sostenuta dal consumatore italiano a quella sostenuta dai cittadini degli altri paesi di Eurolandia come risulta da un confronto sulla tabella allegata formulata con in prezzi rilevati da Hotrec, la federazione europea delle associazioni nazionali di hotel, ristoranti e caffè. In Italia, infatti il volume generato dal cambiamento della domanda del consumatore raggiunge la cifra di 46 miliardi di euro l'anno, di cui il 13% è il prodotto della cosiddetta ristorazione collettiva (mense aziendale, ospedaliere, scolastiche, eccetera) e il restante 87% passa attraverso la ristorazione commerciale (ristoranti, pizzerie). Si stima infatti che ogni giorno siano oltre 11 milioni gli italiani che pranzano fuori casa, di cui 4,4 milioni in mensa e 3,3 milioni al ristorante e altri 3,3 milioni pranzano sul posto di lavoro. Si tratta di un fenomeno in grado di generare un fatturato consolidato del settore pari a 6 miliardi di euro l'anno (2,3 mld presso la ristorazione collettiva e i restanti 3,7 presso quella commerciale). I consumi alimentari fuori casa nel loro complesso hanno assunto negli ultimi anni un ruolo crescente nell'ambito della più generale domanda di prodotti alimentari. Se nel 1988 la ripartizione della spesa delle famiglie tra consumo alimentare in casa e fuori era rispettivamente del 75,1% e del 24,9%, oggi, a distanza di sedici anni, le quote si attestano rispettivamente sul 70,5% e sul 29,5%. Si stima che tra vent'anni le due quote quasi si equivarranno ( 54% in casa e 46% fuori casa). Oggi, allora, quasi un terzo della spesa per consumi alimentari viene veicolata fuori casa in bar e ristoranti o nelle mense, per stare alle tre macro-tipologie che fanno capo al variegato mondo del pubblico esercizio. Questi dati danno immediatamente conto della profonda trasformazione che ha attraversato gli stili alimentari degli italiani e che trovano ulteriore conferma nel diverso equilibrio in cui si posizionano pranzo e cena. Appena dieci anni fa il pasto principale della giornata era il pranzo per il 78,2% degli italiani; la cena per il 17,3%. Oggi la percentuale del pranzo non supera il 70% e quella della cena si attesta oltre il 30%. All'interno di questi due momenti principali ci sono una miriade di occasioni di consumo fatte di spuntini, snack e quant'altro. In definitiva per necessità o per scelta, gli italiani tendono ad alimentarsi sempre di più fuori dalle pareti domestiche. Il volume d'affari generato da tali comportamenti raggiunge la cifra di 46 miliardi di Euro/anno, di cui 6 miliardi (pari al 13% del totale) è il prodotto della cosiddetta « ristorazione collettiva » ( mense aziendali, ospedaliere, scolastiche,ecc.) e i restanti 40 miliardi (87% del totale) passano attraverso la cosiddetta « ristorazione commerciale » ( ristoranti, bar,ecc.). In termini di pasti consumati il numero di quelli « fuori casa » è pari alla bella cifra di 6 miliardi/anno : 3,7 miliardi presso la ristorazione commerciale ( di cui 1 miliardo per "necessità" e 2,7 per "piacere") e i restanti 2,3 presso quella collettiva ). Si stima che ogni giorno siano oltre 11 milioni gli italiani che pranzano fuori casa : 4,4 milioni in mensa (di cui 3 milioni di lavoratori), 3,3 milioni al bar o al ristorante e altrettanti sul posto di lavoro. Un esercito di oltre 75.000 unità locali, di ogni dimensione e tipologia, e di oltre 450.000 lavoratori , La diffusa territoriale, con 1,4 esercizi ogni mille abitanti è tra le più elevate in Europa. Negli ultimi anni l'offerta si è fortemente diversificata in coerenza con l'evoluzione e con il cambiamento del comportamento di consumo. A fianco dei tradizionali ristoranti, che restano la formula di offerta di gran lunga maggioritaria, sono nate nuove tipologie di esercizi caratterizzati da innovativi livelli di servizio. La rappresentazione della ristorazione italiana nella forma di una piramide consente di individuare tre diversi format: 1. Top (si tratta di ristoranti tradizionali che hanno raggiunto buoni livelli di qualità e di notorietà); 2. Tradizionale (è la categoria che ricomprende tutta la ristorazione in cui l'offerta sia per livello di servizio che per la tipologia del food è fortemente tradizionale) 3. Moderna (sono le forme di ristorazione nelle quali si propone un nuovo mix servizio/prodotto) In termini di fatturato risulta prevalente la ristorazione tradizionale (16 mld. Di euro). Sotto il profilo delle occasioni di consumo è, invece, la ristorazione moderna ad avere con 1,4 mld. Di contatti/cliente il primato. Le prospettive del mercato indicano una sostanziale frenata della ristorazione tradizionale e crescita delle forme più informali di ristorazione. Il biennio 2002-2003 è stato negativo per la ristorazione italiana. La flessione è stata, in termini reali, di oltre un punto percentuale. Nel corso del 2004 l'andamento negativo della stagione turistica e la perdurante fase di stagnazione della domanda interna porta a stimare in un — 2% la perdita del comparto Negli ultimi anni la ristorazione ha subito numerosi attacchi sul versante dei prezzi. La prima riflessione che merita di essere fatta riguarda la forte articolazione dell'offerta per livello di prezzo. L'80% della rete, includendo anche la piccola ristorazione in snack bar, presenta livelli di prezzo inferiori ai 25 euro e il 42% al di sotto dei 10 euro. Una recente indagine condotta dall'Hotrec (l'organizzazione europea di settore) evidenzia come la ristorazione italiana goda di un buon posizionamento nella distribuzione per livello di prezzo. Sopra Spagna e Portogallo, ma sotto Francia, Olanda, Danimarca, ecc. Gli ultimi dati disponibili sulla variazione dei prezzi nel comparto danno conto di un tendenziale (ago. 2004/ago. 2003) del +4,5%. La variazione dei prezzi dei ristoranti dà conto di un riallineamento dei listini ai mutati comportamenti di consumo dei clienti. Il pasto destrutturato (max. Due piatti) ha imposto alle imprese un intervento sui prezzi per tenere in equilibrio i costi di gestione. In tale ambito si rende necessario un profondo intervento delle modalità di rilevazione dei prezzi da parte del sistema statistico nazionale. E' opportuno passare dalla rilevazione del prezzo del pasto completo a quello del prodotto oggi effettivamente consumato al ristorante (piatto composto). La ristorazione italiana si trova dinanzi ad un bivio. O assumere una struttura di mercato all'inglese (due segmenti di mercato: alta e moderna/informale) o andare verso un modello alla francese più segmentato dove convivono molteplici formule commerciali (alta ristorazione, ristorazione tradizionale, ristorazione moderna, ecc.). Aumento dei costi di gestione a partire dal lavoro e dalle materie prime per finire alle numerose imposte locali rischiano di mettere in ginocchio un sistema di ristorazione che è un patrimonio del Paese. E' necessario alleggerire le imprese dei tanti adempimenti amministrativi. Occorre riguadagnare terreno nei confronti dei consumatori secondo una logica di filiera. In tale ambito diventa indispensabile che il sistema produttivo assuma comportamenti più virtuosi nei riguardi delle piccole imprese di ristorazione anche in merito alle politiche di prezzo. Ipotizzare blocchi di prezzi al di fuori di una logica di filiera e di mercato è inutile. Il comparto ha bisogno di investire. Occorre garantire migliori condizioni per l'accesso al credito, anche agevolato, alle imprese del settore. Ma è anche necessaria una più forte valorizzazione della ristorazione italiana nell'ambito del sistema turistico nazionale. Da ultimo c'è bisogno di un rilancio del sistema formativo perché diventa sempre più difficile reperire personale qualificato.
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