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Notiziario Marketpress di Mercoledì 06 Ottobre 2004
 
   
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  CAIAZZA MEMORIAL CHALLENGE PREFAZIONE ALLA SEZIONE INVITO  
   
  Udine, 6 ottobre 2004 - La nozione di Giovane Design con cui tanti si riempiono la bocca (le riviste in particolare, ma anche i critici e i “maestri”, normalmente per dichiarare che un “giovane design” non esiste) deve essere in realtà praticata. In un modo innanzitutto: attraverso la promozione. Diceva Gio Ponti nel 1957: “Amatela, l’architettura moderna, nei suoi giovani architetti d’ogni paese, valorosi ed entusiasti: nel suo grembo, con questi giovani, è il futuro” e ancora “amate i buoni architetti moderni, siate tifosi dell’uno o dell’altro: associate il vostro nome alle loro opere che resteranno anche con il vostro nome; e amateli esigentemente, senza indulgenza; e fateli operare”. Sarà sufficiente sostituire in queste profezie pontiane alla parola architetto la parola designer e alla parola architettura la parola design per essere dentro il nostro specifico. In questo fateli operare consiste il segreto della promozione del giovane design. Quando molte occasioni, molte aspettative, molte speranze saranno state date ai “giovani designer”, in particolare italiani (per combattere un indiscutibile svantaggio), allora soltanto potremmo formulare un giudizio sulla situazione del “giovane design”. L’iniziativa della Sezione ad Invito, voluta e promossa da Promosedia all’interno del Concorso Caiazza Memorial Challenge, attraverso la quale ogni anno tre designer provenienti da paesi differenti vengono invitati a progettare una sedia in legno rientra in questa filosofia. Giunti alla seconda edizione, dopo Lorenzo Damiani, Stefan Diez e Renaud Thiry, rispettivamente italiano, tedesco e francese, l’indagine prosegue con Ceschia&mentil, Christophe de la Fontaine, Frey&boge. Italiani i primi, proveniente dal Lussemburgo il secondo, tedeschi i terzi, ma con Patrick Frey di origine sud-coreana. Gaetano Ceschia e Federico Mentil, architetti di formazione e di prevalente pratica professionale, si inseriscono in quella tradizione tipicamente italiana che considera campo di applicazione del progettista l’ambiente umano a 360°. In questo senso quindi il design è da loro visto come parte di un lavoro di progettazione integrale. Una parte che, ben più dell’architettura e dell’urbanistica, consente la sperimentazione tipologica e materica. Per i due giovani veneziani l’innovazione non è tuttavia mai fine a se stessa, ma sempre si confronta con la storia. La sedia pensata per il concorso Caiazza è in questo senso paradigmatica. Innanzitutto il nome, “Kare-ga”, che in dialetto veneziano significa “sedia”: dalla tradizione più umile, mediata dal discorso che Ponti fa sulla Superleggera come “sedia-sedia”, viene infatti desunta l’immagine di una sedia archetipica, riconoscibile da un bambino, una sedia “senza aggettivi” (lo diceva sempre Ponti), senza orpelli, con quattro gambe, sedile e schienale. Su questo schema “anonimo” si inserisce la ricerca sotto la sembianza dei ‘nuovi materiali’. La sedia è infatti composta da due telai in legno aperti e speculari che vengono chiusi dalla seduta e dallo schienale in fibra di carbonio a formare un sistema strutturale estremamente rigido e resistente. Legno e carbonio, nel loro connubio, testimoniano della possibile sinergia tra materiali nuovi e materiali antichi; e la configurazione finale della sedia permette all’utente di abituarsi alla vista e al tatto del nuovo materiale attraverso una forma non scioccante. Inutile ricordare come le prime automobili sembrassero carrozze dotate di motore. Christophe de la Fontaine, scultore prima e poi industrial designer, rappresenta appieno la vitalità del giovane designer europeo: nato in Lussemburgo da una famiglia di origine francese si forma in Germania e quindi viene a vivere in Italia (ove si confronta professionalmente prima con Piero Lissoni e quindi con Patricia Urquiola). Di ciascuno di questi passi, di ciascuno di questi incontri conserva i segni; il loro crogiuolo giustifica la sicurezza e la riuscita del suo progettare. Del giovane designer europeo Christophe presenta poi altre caratteristiche: pur lavorando negli studi di designer già affermati, quindi come assistente, non rinuncia alla propria progettazione e, con essa, transita, come un tempo i pellegrini, nei luoghi del dibattito sul design: dal milanese Salone Satellite, alla Kölnmesse, ove vince, nel 2003, l’Innovation Award, da Kortrjik, per Interieur, a Saint Etienne per la Biennale. Nell’analizzare la sedia presentata al Caiazza Memorial Challenge partiamo anche questa volta dal nome: “Gazelle” ovvero un senso di continuità e di equilibrio quasi magico tra parte portante e parte portata. Le gambe infatti non adottano un distinto linguaggio (strada senza inconvenienti e senza mistero), ma proseguono la configurazione formale del sedile e dello schienale. Ne deriva un oggetto sì mono-materico, ma che rifiuta l’abusato concetto della scocca lignea, per disegnare un reticolo ove il vuoto assume lo stesso valore del pieno. Patrick Frey e Markus Boge, il terzo gruppo invitato a partecipare al concorso Caiazza Memorial Challenge, dimostra, anche attraverso l’impressionante serie di premi vinta in pochi anni di attività, la capacità di discutere le tipologie oggi presenti sul mercato, pur senza rinunciare ad una precisa attenzione verso la funzione. Il loro lavoro è un lavoro di semplificazione e poeticizzazione dell’esistente. Esistente che viene prima portato alla sua essenza e poi riproposto con una significativa progressione. In questo Frey&boge risentono di una formazione al design di stampo tedesco. Formazione che, finalmente, le nuove generazioni riescono a far fruttare, prescindendo, e sfruttando al meglio, quelli che erano stati rigidi vincoli funzionalisti. La sedia di Frey&boge rappresenta questo pensiero. Una normalità ingentilita nelle proporzioni e nelle lavorazioni si trasforma con il colpo d’ala che vuole il retro (non dimentichiamo che sovente il retro è la parte più vista in una sedia) finito in modo differente dal fronte e quindi personalizzato e quindi riconoscibile. Quindi tre oggetti, tre sedie molto diverse attraverso le quali evidenziare quante e quali potenzialità ogni materiale e ogni tipologia abbia ancora oggi a condizione di essere affrontati progettualmente con mente aperta. Ma soprattutto tre differenti poetiche a dimostrare come la strada della globalizzazione che, per misteriosi motivi, molti giudicano unica e ineluttabile sia in realtà semplicemente una delle possibili strade. Su di essa il “giovane design”, come ci dimostrano Ceschia&mentil, de la Fontaine, Frey&boge, ha una ben precisa posizione.
Marco Romanelli Coordinatore della sezione ad invito
 
     
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