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Notiziario Marketpress di Lunedì 30 Maggio 2005
 
   
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  RADIO 1 RAI: IGNAZIO LA RUSSA AL “CONFESSIONALE DEL COMUNICATTIVO” ( “BATTIATO? LO VOGLIO VEDERE EMIGRARE COME AVEVA PROMESSO” “IN CASO DI MANCATA VITTORIA DI BIANCO DICHIARÒ CHE AVREBBE LASCIATO CATANIA”  
   
   Roma, 30 maggio 2005 - Venerdì 27 maggio su Radio 1 Rai Ignazio La Russa sarà l’ospite del “Confessionale del Comunicattivo”, laboratorio dei linguaggi della comunicazione ideato e condotto da Igor Righetti. Ecco un estratto dell’intervista realizzata da Igor Righetti. Da studente che cosa sognava di fare da grande? Non ci crederà ma pensavo di fare il diplomatico tant’è che stavo per iscrivermi all’università di Losanna con i miei amici iraniani, figli di dignitari dell’allora Scià di Persia, che erano miei amici e insistevano che andassi con loro. Poi mio padre, invece, capì che probabilmente c’era anche una componente ludica in questa scelta e pretese che mi iscrivessi a Milano. Come si sono trasformati nel tempo gli ideali giovanili? Qualche cosa rimane perché senza quello fare politica è veramente impossibile. Io non riesco a capire chi sceglie la politica come professione perché ce ne sono molte di più affascinanti e anche, secondo me, più remunerative. Quando, invece, la politica è passione e amore per le proprie idee, per la capacità di cambiare un po’ le cose allora cambia nel tempo ma consente di proseguire in un percorso. Si sono certo molto trasformate, ma in una trasformazione naturale. Quando non parla di temi politici su che cosa le piace intavolare una conversazione? Dipende dall’interlocutore. La capacità di un buon politico, ma io credo anche di una persona in genere è quella di non essere monocorde. A me piace molto parlare di sport, di calcio in particolare, come la gente comune, ma all’occorrenza non disdegno un buon dibattito culturale o parlare di vini d’annata o, magari e questo mi piace moltissimo, di storia. I suoi capelli e la sua barba esaltano il suo aspetto un po’ luciferino. Le piace apparire cattivo? No, non mi piace anche perché non è stata una scelta ragionata. È stata una scelta istintiva. Io ho il pizzetto da quando avevo sedici anni, con la sola parentesi del periodo in cui ho fatto l’ufficiale dell’esercito in cui il colonnello me lo fece tagliare. Se per caso appaio luciferino, e credo sia vero, è utile perché poi nel confronto personale, nel contatto non televisivo o mediatico, il miglioramento diventa un fatto positivo. Tutti mi dicono “sei molto meglio di quello che sembri”, il che conviene. Che cosa fa quando non si occupa di politica? Adesso cerco di passare più tempo possibile con i miei bambini, un pochino faccio anche l’avvocato, seguo lo sport e leggo. Leggo in tutto il tempo libero che ho. Che cosa in modo particolare? Tutto. In questo momento sto leggendo un libro di Umberto Eco del 2000 che non ero ancora riuscito a leggere, “Baudolino”, che mi piace moltissimo e consiglio di leggerlo. Lei ha un aspetto filiforme. Che rapporto ha con lo sport? Ahimé, un rapporto di ricordi. Ero un grande sportivo e giocavo persino a basket, pur non essendo alto, e a pallavolo. Tutti giochi di squadra. Giocavo soprattutto a calcio, ma anche a tennis, non sono mai stato, invece, un campione né di nuoto né di sci, anche se quest’ultimo lo ho un po’ praticato, però ho interrotto tutto molto presto. È un mio grande cruccio, da almeno vent’anni l’unico sport che faccio è salire e scendere le scale. Crede molto nel gioco di squadra? È la mia prerogativa. Io anche in politica non capisco i solitari. Dicono di lei che le piace la vita notturna. Riconfermerebbe le apparenze luciferine? La vita notturna mi piace perché, ahimé, non ho tempo nella vita diurna. Per uno che lavora fino alle nove e mezzo di sera non c’è un’alternativa se non vuole vivere di solo lavoro. A quell’ora ci sono due alternative, anzi tre: una è andarsene a casa, e non ci penso proprio. Se sono a casa a Milano dove ci sono i miei bambini ci vado volentieri. Se sono a Roma da solo andarmene a casa dopo dodici ore di lavoro è una cosa tristissima. E allora esco con gli amici, vado a cena, qualche volta nei piano bar. Non è vero in discoteca, mi piacciono molto i piano bar. Una volta ogni due mesi, però, sono andato anche in discoteca. La terza ipotesi è quella di qualche collega, che appare un santo, e poi le cose le fa di nascosto andando in luoghi dove nessuno lo vede mai. E quella è la cosa che odio più di tutti. I confronti politici avvengono in pubblico nel salotto di Bruno Vespa. Pensa che la televisione assolva al meglio a questa funzione? Non lo so se assolve al meglio, contribuisce ad assolvere. Far finta che non esista la televisione, voler colpevolizzare un momento comunque di comunicazione generale delle idee politiche con la gente, sarebbe non soltanto un errore, ma sarebbe sbagliato. Io preferisco mille volte una trasparenza che deriva anche dai salotti televisivi all’epoca in cui la politica si faceva nei corridoi in cui si diceva una cosa e poi i partiti di nascosto si accordavano su un’altra. Mille volte meglio adesso. Tv trash, è da eliminare o si deve lasciare al pubblico la possibilità di scegliere? È come i cibi, di tutto un po’ ma senza esagerare. Un po’ di tv trash per chi la vuole e anche per chi fa finta che sia soltanto una schifezza. Anch’io un po’ di tv trash, in piccolissime dosi, la vedo col sorriso sulle labbra. Quando diventa soltanto tv trash, o prevalentemente, allora fa schifo, ma un po’ di tutto non fa mai male. È come un’alimentazione equilibrata. Qual è il suo colore preferito? L’azzurro. Quindi non il nero? No, non ci pensavo da quel punto di vista. No, non è il nero ma anche il nero è un bel colore per carità, in assoluto al di là dei riferimenti politici. Il preferito è l’azzurro che poi è anche l’azzurro di alleanza nazionale. Qual è il personaggio del mondo dello spettacolo che più le piace? Il più amico è Luca Barbareschi che è sottovalutato moltissimo. Però anche il mio amico Fiorello non scherza. Poi ce ne sono tantissimi altri non voglio fare una classifica. E quello meno dotato? Come qualità artistiche non glielo so dire, le posso dire quello che mi è piaciuto meno, soprattutto dal punto di vista etico, morale. Franco Battiato che ho invitato una volta a cantare, pagandolo profumatamente a una festa tricolore e che, dopo il minimo salariale in modo da conservare il compenso, praticamente interruppe quasi, se ne andò via di corsa perché c’era una bandiera italiana di alleanza nazionale e che, invece, recentemente ha cantato sotto le bandiere di Bianco a Catania, del centro-sinistra, dichiarando addirittura che se non avesse vinto Bianco se ne sarebbe andato da Catania. Se ne andrà? Sto aspettando di vedere se davvero lo fa. Se non è mancatore di parole lo voglio vedere emigrare. Segue i programmi radiofonici? La radio è la mia passione, ne ho diretta una, Radio university, per sette anni. E qual era la sua programmazione? Era una radio prevalentemente politica, ma c’era di tutto, musica e spettacolo. Era una delle prime radio libere nel 1976. Con Radio Popolare a Milano furono le prime a rompere il tabù delle radio soltanto nazionali, a creare tutta l’epoca della musica a richiesta. Per inserirci in quel clima che era un po’ leggero, inventammo i quiz politici per indottrinare senza fare cose barbose. Ma politici in senso culturale, o anche fatti storici: li trasformavamo in quiz e diventò una delle trasmissioni cult di Radio university anche se quella principale era il dibattito della domenica che durava sei ore, fin tanto che arrivano le telefonate. E non smettevano mai. Quali esperienze l’hanno più segnata? Io credo che non ci siano esperienze che non segnino. Sicuramente la mia formazione all’estero è stata molto importante per la mia vita. Negli anni Sessanta crescere a contatto con ragazzi di tutto il mondo, per un giovane che si era formato nei primi vent’anni di vita in Sicilia è stata sicuramente una bella esperienza. Mi ha formato poi a Milano l’esperienza degli anni successivi al ’68, gli anni terribili della spranga, dell’odio, della discriminazione politica e culturale contro la destra. E poi mi ha formato la grande avventura parlamentare, cominciata con Pinuccio Tatarella e che ancora dura. Che cosa pensa del mondo dell’informazione italiano? Lo trovo provinciale. Lo trovo sempre più interessato al gossip, al retroscena, ai fatti, che al commento e all’approfondimento. Con molte e lodevoli eccezioni, naturalmente. Per esempio? Biagi, per nominare uno che non è un amico di colore politico, sicuramente è un’eccezione. Di che cosa non può fare a meno? Della mia famiglia, delle mie idee, della mia Inter. Quali qualità si riconosce? La spontaneità e la sincerità. Lei ha parlato di tolleranza. È tollerante? Molto più di quello che appaio, anzi è la colpa che mi danno i miei amici di partito e anche quelli più vicini a me in politica. Dicono che non so mantenere il ricordo di offese ricevute abbastanza a lungo, e forse hanno ragione. Forse a volte è un errore. La tolleranza è un difetto? No, ma in politica può non pagare. Di che cosa ha paura? In questi casi per rendere omaggio al personaggio mediatico che si è formato dovrei dire di nulla. In realtà credo che anch’io ho tutte le paure che abbiamo tutti. La paura è un atto di coraggio, ma anche un atto di paura. Ci vuole coraggio soltanto se si ha un po’ di paura. È fatalista? A volte sì, però soltanto quando le cose si sono già compiute. Prima cerco sempre di capovolgere anche il fato. In che modo coinvolgete i giovani? Credo che lì siamo in difetto. Ma i giovani interessano davvero alla politica e ai politici? Ecco stavo dicendo proprio questo. Credo che la politica, adesso non parlo di me e solo del mio partito, non sia stata in quest’ultimo decennio in grado di capire che per stare insieme con i ragazzi, vicino a loro, per appassionarli alla vita pubblica e alla politica bisogna davvero cambiare registro. Invece la politica diventa sempre di più un qualche cosa per un’élite, è sempre più un motivo per favorire più le clientele che la passione. Lei piace ai giovani forse perché usa il loro linguaggio? Non so se ne è la causa o l’effetto quello che lei dice. Io, probabilmente, ho la fortuna, ma la hanno molti quelli che fanno la politica per passione, di cercare di non sganciarmi dal succedersi delle generazioni. Questo dal un lato rende giovani dall’altro capita soltanto se hai davvero amore per i giovani. Che cosa vede dietro l’angolo? Dietro l’angolo c’è molta confusione. Sta a noi, e con questo rispondo anche alla domanda sul fatalismo, fare che quello che c’è dietro l’angolo assomigli a quello che desideriamo. A me piacerebbe vedere un’Italia in cui i bisogni delle famiglie siano più soddisfatti. Un’italia in cui le persone dello spettacolo, abbiamo parlato di arte, siano premiate per quello che sono e non per le amicizie che hanno. Gli intellettuali che valgano per la capacità che hanno di trasferire idee e non per la funzionalità al potere, i magistrati non soltanto per l’indipendenza, ma anche per l’imparzialità, i giornalisti non soltanto per la capacità che hanno di descrivere i fatti, ma anche per la necessità di non deformarli a loro piacimento. Insomma questo è il sogno nel cassetto, ma si sa il cento per cento non si avrà mai. Lavoriamo in quella direzione. In tutta la nostra chiacchierata non ha detto neppure una volta “diciamolo”. Ma allora è una leggenda metropolitana? Diciamolo, sì.  
     
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