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Notiziario Marketpress di Lunedì 06 Giugno 2005
 
   
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  PREMIO LETTERARIO GIUSEPPE BERTO XVII EDIZIONE UMBERTO CONTARELLO E ANITA RAU BADAMI PROCLAMATI VINCITORI  
   
   Mogliano Veneto, 6 giugno 2005 – Umberto Contarello con Una questione di cuore (Feltrinelli Editore) per la sezione opere prime di narrativa italiana e Anita Rau Badami con Il passo dell'eroe (Marsilio Editori) per la sezione di narrativa straniera tradotta in lingua italiana sono i vincitori della Xvii edizione del Premio Letterario "Giuseppe Berto", la cui cerimonia si è svolta sabato 4 giugno presso la Villa La Marignana Benetton a Mogliano Veneto. Dopo il saluto delle autorità della città di Mogliano Veneto e del Comune di Ricadi, promotrici del premio, e l’intervento di Paolo Maurensig in omaggio a Giuseppe Berto, alla presenza della signora Manuela Berto, della stampa e del pubblico convenuto, sono stati proclamati i vincitori della Xvii edizione del Premio intitolato all’autore del Male oscuro. Presenti per l’occasione il padovano Umberto Contarello e l’indiana Anita Rau Badami, canadese d’adozione, ad entrambi i vincitori è stato pubblicamente consegnato il premio di Euro 7.500,00. Un momento di sentita commozione è stato dedicato alla memoria di Francesco Laversa, Sindaco di Ricadi recentemente scomparso. La sua figura è stata ricordata dalle autorità delle due amministrazioni, in particolare per il ruolo che egli svolse di promotore del Premio nel 1988 e di attivo fautore del gemellaggio e del forte legame che da lungo tempo unisce le due città. I nomi dei due vincitori sono stati prescelti da una rosa di finalisti che lo scorso 20 maggio, presso il Centro Nazionale degli Studi Manzoniani a Milano, la Giuria del Premio Berto – presieduta dal professor Giuseppe Lupo e composta da Goffredo Buccini, Ferdinando Castelli, Paolo Fallai, Giorgio Pullini, Folco Quilici, Marcello Staglieno, Gaetano Tumiati e Giancarlo Vigorelli – aveva selezionato dalle numerose opere pervenute. La cinquina per la sezione storica del Premio e la terna per la sezione straniera erano composte dai seguenti finalisti: Sezione Opere Prime Narrativa italiana: Mirco Belletti, Bianco e nero, L'autore Libri Firenze; Franco Bernini, La prima volta, Einaudi Editore; Umberto Contarello, Una questione di cuore, Feltrinelli Editore; Elisabetta Liguori, Il credito dell'imbianchino, Argo; Pier Carlo Rizzi, L'eredità dello zio Guido, Garzanti . Sezione Narrativa Straniera tradotta in lingua italiana: Marc Durin-valois, Chamelle, Voland Edizioni; Etgar Keret, Io sono lui, Edizioni e/o Anita Rau Badami, Il passo dell'eroe, Marsilio Editori. I Vincitori: Vincitore sezione Opere Prime Narrativa italiana Umberto Contarello “Una questione di cuore” Feltrinelli Editore, 2005, pagg. 120. Il romanzo di Umberto Contarello, Una questione di cuore, narra in prima persona una vicenda di solitudine, ambientata in anni a noi contemporanei e attraverso lo sguardo di un uomo che improvvisamente si ritrova malato. Il territorio del dolore diventa una dimensione accecante, superabile solo in chiave etica: la solidarietà umana è l’unica strada in grado di trasformare il sentimento di morte in cammino ascensionale e di mutare il procedere del tempo, quale vuota espressione di gesti, in un invito alla convivenza. Sperimentando un linguaggio fitto di sfumature ironiche, efficacemente sospeso tra la formula del colloquio e la percezione del quotidiano, Contarello percorre con disinvolta originalità la traiettoria del romanzo di formazione e, con stile maturo, ilare e leggero alla maniera di Calvino, ci consegna un ritratto di una generazione che continua a sentirsi dentro l’orizzonte della giovinezza, figlia di un pensiero debole ma non per questo meno disposta ad accettare con successo la sfida del tempo. Giuseppe Lupo Umberto Contarello è nato a Padova nel 1958; laureato in Lettere e Filosofia presso l'Università di Padova, lavora come sceneggiatore professionista dal 1982. Come autore di varietà televisivo è coautore di Fantastico 8. Come autore di fiction televisiva è cosceneggiatore della Piovra Sette e coautore del soggetto della Piovra Otto. Come sceneggiatore cinematografico, è coautore di soggetto e sceneggiatura di Marrakech Express per la regia di Gabriele Salvatores, finalista al premio Solinas. Coautore di soggetto e sceneggiatura de Il Toro (Leone d'Argento alla Mostra di Venezia), Vesna va veloce e La lingua del santo per la regia di C. Mazzacurati. Cosceneggiatore de Il carniere, sceneggiatura finalista al Premio David di Donatello e Un uomo per bene entrambi per la regia di M. Zaccaro. Autore di soggetto e sceneggiatura di Il metronotte per la regia di F. Calogero, di Luce dei miei occhi per la regia di G. Piccioni. Autore della sceneggiatura de L’aria che respiro, tratto dalla vicenda del Petrolchimico di Porto Marghera. Autore della sceneggiatura di Ovunque sei per la regia di M. Placido, coautore della sceneggiatura de La stella che non c’è, per la regia di Gianni Amelio. Vincitore sezione Narrativa Straniera tradotta in lingua italiana Anita Rau Badami “Il passo dell'eroe” Marsilio Editori, 2005, pagg. 407- traduzione di Fabio Zucchella. Romanzo di notevole spessore letterario, sapientemente strutturato, vivificato da interessanti squarci di attualità sociale e culturale sull’India, striato di pathos e di poesia. Il Premio Berto, che gli è stato assegnato, conferma gli altri prestigiosi premi internazionali da esso conquistati. Anche se Rau Badami vive in Canada, dove insegna alla University of British Columbia, è nata (nel 1961) e cresciuta in India. Conosce pertanto il complesso mondo culturale indiano e, in questo romanzo, lo ritrae con fedeltà, sottolineandone la ricchezza di sentimento e di civiltà, ma anche le contraddizioni e gli aspetti negativi. Nella sua analisi, condotta all’insegna della verità, è facile notare un sottofondo di amore e di comprensione per un mondo che va scomparendo. L’azione del romanzo si svolge in una cittadina dell’India meridionale, sulle rive del Golfo di Bengala. La calura, i monsoni, i cicloni e le piogge torrenziali scandiscono l’anno solare. La gente sopporta tutto con rassegnazione, convinta che tutto è fatalità e volere divino. In una vecchia “Grande Casa”, in stato di decadenza, non lontano dal tempio di Krishna, abita una famiglia di bramani, protagonista del romanzo. È composta di sei persone: la vecchia madre Ammayya, chiusa in un sordo egoismo, attenta a conservare una nobiltà e una tradizione che non reggono più, sdegnosa di tutto e di tutti; suo figlio Sripathi Rao stenta a sostenere la famiglia e si rifugia in occupazioni fasulle; sua moglie Nirmala, donna devota, fedele ed efficiente; i loro tre figli: Arun, attivista del movimento ambientalista; Putti, non più giovane, in perenne attesa di un fidanzato; Maya, intelligente, bella e intraprendente, se ne va in America, abbandona il fidanzato indiano e sposa un americano. Attorno a questi personaggi si muove il piccolo mondo della cittadina con le sue storie, la sua miseria, la sua rassegnazione, e anche la sua insofferenza. Maya, in America, sposandosi contro la volontà dei suoi, rompe un tabù ed è rinnegata dal padre; la sorella Putti sposa, lei bramana, un uomo di casta inferiore, e la nonna muore di crepacuore, i gioielli della vecchia, gelosamente conservati, risultano falsi; la casa nobiliare, allagata e inondata di lordure, è salvata dai nuovi parenti di bassa casta. In tale franare di persone, di tradizioni e di cose, un raggio di vita illumina il grigiore degli sfondi: la presenza della figlia di Maya, affidata a Sripathi alla morte della madre. La bambina simboleggia la vita che continua, libera dal peso di tradizioni che inceppano la convivenza. Il romanzo di Rau Badami offre un’immagine dell’India post-coloniale alla ricerca di un equilibrio tra tradizione e modernità. I suoi personaggi incarnano il dissidio di una società prigioniera di vecchi schemi culturali, che avverte il bisogno di liberarsi da quanto inceppa il cammino della libertà. In questo sfondo dialettico l’Autrice colloca alcuni gravi problemi filosofico-religiosi, soprattutto il problema del male. In uno stile semplice, colorito a amichevole, con Il passo dell’eroe Rau Badami ci suggerisce di non rifugiarci nel passato, ma di guardare avanti per costruire un futuro di libertà. Anita Rau Badami è nata nel 1961 a Rourkela nello stato dell’Orissa in India ed è cresciuta in un ambiente in cui l’inglese era la lingua principale. Dal 1991 vive con la sua famiglia in Canada dove insegna alla University of British Columbia. Best seller in America, tradotto in tutta Europa, Il passo dell'eroe ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Commonwealth Writers' Prize for the Caribbean and Canada e il Marian Engel Award. È stato anche finalista al Kiriyama Pacific Rim Book Prize e all’Orange Fiction Prize, confermando il successo ottenuto dal primo romanzo dell'autrice, Tamarind Mem.
Il Premio Letterario Giuseppe Berto - Xvii Edizione
Il Premio Letterario Giuseppe Berto per un'opera prima di narrativa è nato nel 1988, in occasione del decennale della morte dello scrittore, per volontà della moglie Manuela e delle Amministrazioni delle città che hanno costituito per l’autore i due poli di riferimento importanti della sua esistenza: Mogliano Veneto, la città natale, e Ricadi, in Calabria, luogo eletto a residenza, dove scelse di trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Il Concorso si consolida attorno ad un gruppo di amici ed estimatori dell’uomo, quali i critici Domenico Porzio, Giancarlo Vigorelli, Michel David, Elio Chinol e Cesare De Michelis; gli scrittori Dante Troisi e Gaetano Tumiati, che avevano condiviso con Berto oltre due anni di prigionia nel Texas durante la seconda guerra mondiale. Una commissione formata storicamente da uomini strettamente legati a Giuseppe Berto da vincoli di amicizia, che ne rievocano il ricordo e l’esperienza, ma che nel corso degli anni ha visto l’aggiunta di nuovi membri, anch’essi scrittori. Finalità del Premio è quella di ricordare e riproporre il nome e l'opera di un scrittore che, nonostante i suoi grandi successi (basti citare Il cielo è rosso e Il male oscuro), è stato troppo spesso trascurato da alcuni ambienti letterari a causa del suo straordinario anticonformismo. Uomo e artista di forte temperamento e autonomia, autore di ampio respiro, fu più volte avversato da una certa critica ufficiale, nonostante la sua popolarità, che nel 1964 lo portò a vincere, caso unico, contemporaneamente il Premio Viareggio ed il Campiello con Il male oscuro, studio introspettivo e analitico della depressione. Il Premio che porta il suo nome segnala le opere che emergono per assoluta originalità di forma e di schiettezza di ispirazione. Opere prime, in ogni caso, con la precisa volontà di aiutare e incoraggiare scrittori alla loro prima prova letteraria e lanciarli nel panorama della narrativa nazionale, siano essi giovanissimi (come nella sezione Berto Giovani, rivolta agli studenti) o non più in giovane età. Perché se possibile è il reperimento di un editore, arduo è non venire emarginato tra la folla di scrittori più o meno famosi. Problematica che Giuseppe Berto ben conosceva, come anche i diversi ostacoli che si presentano lungo la strada della pubblicazione e della visibilità. Il Premio è stato quindi concepito per mantenere fede alla volontà di Berto, che si è sempre battuto a favore dei giovani di talento, e garantire quindi una sorta di patente di valore e di affermazione: non basta, infatti, essere pubblicati una prima volta, bisogna essere riconosciuti. In questa direzione si colloca quindi la scelta di aumentare, in occasione della Xvii edizione, il valore economico del premio, innalzato per ognuna delle due sezioni da 5.000 a 7.500 euro: un ulteriore segno della forte volontà da parte degli organizzatori del Premio di mantenere viva la vocazione intrinseca di incoraggiamento e fattivo supporto rivolto agli scrittori che muovono i primi passi nel mondo letterario. Che il Premio sia, finora, riuscito pienamente nell’intento, mettendo in luce giovani narratori che si sono in seguito affermati clamorosamente, lo dimostrano in tutta evidenza i nomi dei vincitori delle edizioni tenute fino ad oggi, tra i quali: Paola Capriolo con La grande Eulalia (1988), Michele Mari con Di bestia in bestia (1989), Luca Doninelli con I due fratelli (1990), Sandro Onofri con Luce del nord (1991), Paolo Maurensig con La variante di Lüneburg (1993), Helena Janeczek con Lezioni di Tenebra (1999), Giuseppe Lupo con L’americano di Celenne (2001), Giorgio Todde con Lo stato delle anime (2002) e Antonia Arslan con La masseria delle allodole (2004). Altro elemento distintivo è senz’altro lo “spirito gemellare” del Premio, che ha fatto sì che due località distanti geograficamente e culturalmente si unissero sinergicamente per tale iniziativa, sostenendo completamente l’onere della sua realizzazione, facendola vivere, crescere e apprezzare non solo nei territori legati al celebre concittadino, ma anche a livello nazionale. Il forte connubio storico-geografico e la consacrazione di personalità in formazione sono le due peculiari caratteristiche che rendono il Premio Berto unico nel panorama italiano. Cresce il Premio Berto, di edizione in edizione, riscontrando un interesse sempre più evidente da parte delle case editrici e degli autori stessi. Ben oltre il centinaio sono nel 2005 i lavori proposti alla giuria per la sezione storica, presieduta da Giuseppe Lupo, e composta da Goffredo Buccini, Ferdinando Castelli, Paolo Fallai, Giorgio Pullini, Folco Quilici, Marcello Staglieno, Gaetano Tumiati e Giancarlo Vigorelli. Dalla prima edizione nel 1988, che registrò venti libri concorrenti (tra i quali si evidenziarono nomi rivelatisi promettenti scrittori), il Premio è cresciuto notevolmente in questi anni, consolidando la propria notorietà. Ciò che emerge quale tratto distintivo, costante nel corso delle diciassette edizioni, è la dignità e la serietà del Premio, che per scelta non è vincolato agli arbitrii del mondo editoriale. Esso è contraddistinto innanzitutto dalla competenza dei membri della giuria, di cui ricordiamo, tra i critici e letterati che si sono succeduti nel corso delle edizioni, figure di rilievo quali David Maria Turoldo e Michele Prisco. A conferma dell’attento lavoro di selezione, i vincitori eletti dal Premio Berto si sono in molti casi affermati nel panorama letterario nazionale anche attraverso l’assegnazione di successivi premi letterari. E’ evidente quindi la conoscenza, la diffusione e l’apprezzamento da parte dell’editoria nazionale per questo Concorso letterario, attraverso una costante crescita di partecipazione ormai non solo quantitativamente rilevante, ma anche qualitativamente qualificata. Vincitori e cinquine selezionate di volta in volta appartengono sì al gotha editoriale italiano, ma spesso testimoniano anche il coraggio dei piccoli editori ad investire sul futuro della narrativa come genere letterario, dando voce a validi autori altrimenti ignorati. “La crescita del Premio è indice del buon lavoro svolto dalle giurie – evidenzia il Presidente della Giuria – che ha permesso al Concorso di diventare un importante punto di riferimento per editori ed addetti ai lavori ed una sorta di patente per giovani scrittori. Questo, non solo per il ricco ingaggio, ma perché ha proposto nomi che hanno fatto strada nel panorama letterario”. “Relativamente all’età media dei partecipanti”, aggiunge Giuseppe Lupo, “quest’anno si aggira intorno ai quaranta, cinquant’anni, a significare che si arriva al primo libro, almeno con le case editrici più importanti, ad un’età matura. A differenza della precedente edizione, in cui avevano partecipato autori che spaziavano da un’età giovanissima – adolescenti o poco più, alle prese con le loro prime esperienze letterarie – a persone di una certa età, talvolta anche professionisti del settore. La sperimentazione è l’elemento che accomuna le opere pervenute; ciò dimostra come ci sia la voglia, nel panorama letterario italiano, di uscire da schemi comuni per rinnovarsi e proporsi sotto le vesti di “nuovi” scrittori. Da notare – sottolinea infine il Presidente della commissione – che molti dei libri più interessanti di questa edizione sono scritti da autori che hanno avuto o hanno esperienze nel campo della sceneggiatura cinematografica, con inequivocabili riflessi nello stile”.
 
     
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