Pubblicità | ARCHIVIO | FRASI IMPORTANTI | PICCOLO VOCABOLARIO
 













MARKETPRESS
  Notiziario
  Archivio
  Archivio Storico
  Visite a Marketpress
  Frasi importanti
  Piccolo vocabolario
  Programmi sul web








  LOGIN


Username
 
Password
 
     
   


 
Notiziario Marketpress di Lunedì 11 Luglio 2005
 
   
  Pagina3  
  RADIO 1 RAI: VITTORIO SGARBI AL “CONFESSIONALE DEL COMUNICATTIVO” “COSSIGA È STATA LA RAGIONE PER CUI SONO ENTRATO IN POLITICA” “IN TV NON SOPPORTO NIENTE. NON CI SONO IO PERCHÉ DOVREI SOPPORTARE UNA COSA DA CUI SONO ESCLUSO?”  
   
  Roma, 11 luglio 2005 - Venerdì 8 luglio alle 15.35 su Radio 1 Rai) Vittorio Sgarbi, è stato l’ospite del “Confessionale del Comunicattivo”, laboratorio dei linguaggi della comunicazione ideato e condotto da Igor Righetti. Ecco un estratto dell’intervista realizzata da Igor Righetti. “In politica io in realtà non ho mai cambiato posizione, quella la cambiava Segni: è l’amante ideale perché cambia sempre posizione”; “’Lei è veramente un bell’uomo’” è il complimento che apprezzo di più dalle signore di tutte le età. Mi è facile perché non dubito dell’intelligenza, quindi non ho il dubbio di essere bello e privo di altre virtù”; “Quando voglio compiacermi della mia scrittura o voglio divertirmi leggo gli articoli di Scalfari e cerco gli errori di grammatica”; “Con i problemi che abbiamo con i beni culturali abbiamo speso venti milioni di euro per restituire l’obelisco di Axum, un’inutile spesa di denaro che poteva essere, per gli etiopi e per noi, molto meglio impiegato”. “Io dico sempre “molti amici, molti guanti per paura della rogna”, “Io sono stato il fondatore del reality show: ovunque andavo portavo con me la mia realtà psicologica e umana”, “Mi piace Patty Pravo perché quando nel 1967 ero in collegio lei cantava la mia canzone “Ragazzo triste”; “La trasgressione è l’unico modo che l’arte ha di esistere. Trasgredire, dire qualcosa che prima non c’era. E quindi l’arte nasce dalla trasgressione”; “Io non appartengo a una categoria. Fondo io la mia natura come ogni artista”; “L’artista è fondamentalmente asociale, individualista, egoista, pensa a se stesso. Fa una cosa bene per gli altri perché odia la beneficenza”; “Il mio sogno erotico è il prossimo”. “Sulla mia lapide immaginerei la parola polemista”; “I comici di Zelig non li ho mai guardati. Sono già della televisione post Sgarbi”; “Progetti? Una gran trasmissione televisiva pagata come Bonolis. È la cosa che mi fa più effetto. Bonolis venti milioni di euro all’anno come tre Canaletto”. Che cosa c’è scritto sul biglietto da visita di Sgarbi? Per la verità su quello di un mio buon amico, che si chiama Lino Gavina, c’è scritto sovversivo che è una buona denominazione per chi cerca di non mettere a proprio agio e creare difficoltà nella coscienza di chi lo ascolta. Io non ho mai usato il biglietto da visita, ma se dovessi immaginare la mia lapide, in cui in una sola parola si dice il destino di un uomo, immaginerei polemista. Anche se non so se poi il tempo premierà questa posizione. Certamente, però, questa è quella per la quale io mi sono più distinto. Ha una sua dignità nel senso che è una posizione dialettica non accomodante, non transigente. L’arte è un prodotto della conoscenza o della sensibilità individuale? L’arte è un prodotto senza conoscenza senza dubbio. Se nasce dall’arte e sull’arte, e ogni artista che non sia un naïf ha estro, e se anche un naïf vede immagini da cui le sue si generano, naturalmente non è sufficiente la conoscenza ma occorre una sensibilità distinta e un desiderio di dire qualcosa che prima non è stato detto. E quindi l’arte si manifesta nell’avvertimento di una realtà che ancora non c’è e che l’artista fa capire e fa intendere prima e meglio degli altri. Quindi è una miscela di conoscenza e sensibilità. Un artista insensibile sarebbe lontano dalla natura della verità quindi deve essere sensibile. Che fine ha fatto l’obelisco di Axum? L’obelisco di Axum è un tema più complesso nel senso che dal punto di vista astratto, se uno applica dei principi di legittimità cioè restituire a un Paese un bene che è stato in qualche modo sottratto, anche se va detto che sottratto non vuol dire trafugato perché all’epoca noi eravamo l’impero coloniale e l’amministrazione dei beni culturali dell’Italia si estendeva fino all’Etiopia e quindi è normale che chi amministra possa decidere di trasferire un bene da una parte all’altra. Ma è anche vero che altri Paesi coloniali molto più potenti di noi, come l’Inghilterra, hanno dominato l’India per tanti anni e anche oltre le dominazioni coloniali italiane ma non esiste un solo oggetto indiano che sia stato restituito all’India dal British museum. Non esiste un solo bronzo del Benin che sia stato restituito nonostante la violenza e l’estirpazione di quella civiltà della Guinea. E quindi noi improvvisamente abbiamo scoperto per un Paese che muore di fame, dove c’è la più terribile mortalità infantile, la necessità di dare un segnale di attenzione al Terzo mondo restituendo l’obelisco. Allora operazione inutile, simbolica soltanto, col pericolo che quello di cui mi sono sempre occupato di mettere in discussione la salute del bene. L’obelisco era stato montato non per essere rismontato, stava bene lì, era molto rischioso smontarlo oltre che costoso. Con i problemi che abbiamo con i beni culturali abbiamo speso venti milioni di euro per restituire l’obelisco. Per fare un atto che si poteva fare con una targa commemorativa, con qualche segnale diplomatico di attenzione all’Etiopia. Ora con venti milioni di euro tu potresti far vivere gli istituti di cultura italiani all’estero che invece languono. Ora è evidente che se tu potessi attribuire ai nostri istituti un minimo di autonomia finanziaria potrebbero fare attività significative. E quando uno butta via il denaro per il ponte di Messina, se mai lo faranno, l’obelisco di Axum, che stava benissimo lì, per l’Ara Pacis, che restaurarla poteva costare 800 mila euro e l’architettura sembra una pompa di benzina del Texas dell’architetto Meyer, lume di non si sa quale talento, avranno speso non meno di 30-35 milioni di euro. Buttando via i soldi in questo modo poi ti mancano per le cose utili e ce l’hai per le schifezze. L’obelisco di Axum quindi lo vedo come un’inutile spesa di denaro che poteva essere, per gli etiopi e per noi, molto meglio impiegato. Il salotto televisivo di Bruno Vespa è considerato come la terza Camera. Per quale motivo? I politici sono stati sfrattati dalle altre due? Perché quello che accade in Parlamento, alla Camera e al Senato, è talmente frazionato in precedenti attività di commissioni, diventa poi talmente rituale contingentato di interventi alla Camera, la passione degli interventi c’è soltanto dove c’è conflitto e non dove sono temi magari utili, ma sui quali il dibattito rischia di essere complesso da seguire. Quindi la televisione, in particolare Vespa, sugli argomenti fondamentali e principali del costume e della vita politica rappresenta un palcoscenico in cui i deputati principali possono rappresentare in modo efficace le loro posizioni. È giusto che la televisione sia, non la terza Camera, ma il luogo dove l’attività del Parlamento e del governo viene illustrato. E io, quando da presidente della commissione Cultura mi era chiesto ovviamente di dimettermi dalla trasmissione “Sgarbi quotidiani” e mi ero rifiutato di farlo perché non c’era incompatibilità, avevo fatto questa proposta: non di togliere a me la televisione, ma di attribuirla a tutte le aree politiche un quarto d’ora al giorno in un rapporto tra la percentuale di ogni partito e lo share delle reti. Ma togliere per non mettere niente e per fare quel cesso di televisione che vediamo tutti i giorni è una cosa grottesca. Rai o Mediaset? Prevalentemente la Rai in cui mi invitano con una certa frequenza. E le poche volte che vado a Mediaset, beh lì ovviamente vengo pagato perché è una televisione privata. Però gli inviti sono molto rarefatti e comunque non è più la trasmissione quotidiana che facevo prima. Quella era la soluzione naturale: una trasmissione quotidiana in una rete privata era compatibile con l’attività di un parlamentare. Però che invece abbiano codificato, da un lato per ragioni non definite che non devo più andare a Mediaset e dall’altro che alla Rai quando appaio devo andare gratis, vedo nella televisione un mercato non più reale. Sono diventato una figura occasionale e non quella che sono, utilmente credo per molti, quando andavo in televisione ogni giorno. Sei stato il precursore vivace delle provocazioni televisive come mezzo per aumentare l’ascolto. Per ottenere lo stesso risultato oggi, in tempi di reality, che cosa dovresti fare? Io sono stato credo il fondatore del reality show. Nel senso che, benché non fosse costruito come un luogo dove si trovano sei o sette persone, io però ovunque andavo portavo con me la mia realtà psicologica e umana. Per cui non mi sono mai atteggiato e, anzi, la ragione reale del mio successo è l’estetica tipica della televisione, che ancora non è stata perfettamente compresa, che è l’estetica dell’imprevisto. Te ne do un esempio rispetto al cinema o al teatro che prevedono un testo o una sceneggiatura. Quando ci fu il crollo di Giotto ad Assisi, c’era la tv umbra che stava facendo delle riprese degli affreschi per un documentario. Improvvisamente ha sentito il rumore del crollo, la tv si è girata e ci ha dato quaranta secondi di incredibile visione del crollo, comprese le quattro ombre dei morti che stavano sotto la polvere. Ecco quella funzione di essere come la Cnn sul luogo del delitto e di potere quindi riprendere qualcosa che non puoi sapere che accade, cioè l’imprevisto, è l’estetica della televisione. Come funzionava nel mio caso. Quando io andavo in qualunque talk show, o come si chiamano, in cui ci si attendeva che io avessi un ruolo di critico d’arte o un qualunque altro ruolo, io invece mi infilavo in ragionamenti nei quali in qualche modo spiazzavo il banco. E ciò allora fa venire in mente quello che diceva di Montecitorio il povero senatore Miglio e cioè che era come una sala da gioco. Ebbene la televisione, caso specifico quella di Costanzo, è come il casinò dove vince sempre il banco. Cioè il massimo profitto lo ricava il conduttore. Nel mio caso io spiazzando il conduttore ho derivato una mia persona o personalità riconoscibile nel programma di un altro. Le mie uscite creavano questo effetto di estraneamento, questo effetto di imprevisto che ha determinato la nascita del mio personaggio che non è però un personaggio costruito. È semplicemente l’applicazione radicale del tema dell’imprevisto. Quindi da un lato tu hai il conduttore che vuole portarti dove vuole lui e tu invece lo devii su un punto che interessa a te. Questa è l’estetica della televisione così come io l’ho applicata e la interpreto. Il fascino femminile ti attrae per la tua necessità di avere continue conferme o per l’incognita che rappresenta? Il fascino femminile è una continua verifica di un rapporto infantile in cui uno vede una donna e chiede di essere capito, accettato. Credo che, nella mia interpretazione, molte forme di omosessualità derivino dal trauma infantile di un rapporto difficile con le donne che non si accetta. Se invece tu hai un rapporto iniziale positivo, favorevole, con il mondo femminile, allora questo è ogni volta una verifica che tu fai trovando il modo qualche volta con maggiore qualche volta con minore difficoltà di essere accolto, di essere accettato. Quindi nel mio caso il fascino femminile è semplicemente uno specchio del mio desiderio che si rispecchia in me quindi una simmetria. Le donne che più mi piacciono sono quelle che desiderano me, salvo che non mi piacciano in partenza. Ma il fatto che tu possa rischiare di essere respinto in alcuni momenti, io l’ho pensato ricordando alcuni miei compagni di scuola brutti o sgraziati che hanno avuto rapporti difficili con le donne, e si sono quindi ricoverati nel rapporto con gli uomini. Non so se sia una teoria condivisibile sull’origine dell’omosessualità, ma credo che non sia soltanto naturale. Altrimenti sarebbe come dire che i gay sono tutti brutti… Alcuni si sentono non brutti, ma respinti. Cioè sentono il complesso del brutto anatroccolo, di quello che inadeguato alla grandezza della donna, questa voragine della donna che ti accoglie. Quindi una specie di paura. Credo, poi non lo so perché a me non è capitato per fortuna. Ma ho la sensazione che alcuni miei amici che poi hanno avuto questo destino hanno avuto un rapporto difficile con le donne che è un rapporto che nell’adolescenza ognun di noi rischia di avere. Quindi se lo risolvi poi ti accade come me di averlo sempre molto facile e in altri casi invece ti accorgi di questa difficoltà. Ma è una mia interpretazione, non voglio aprire un dibattito sulle origini dell’omosessualità. L’ho detto perché mi hai chiesto del mio rapporto con il fascino femminile. È una continua verifica, e ogni volta che la verifica si conclude con una accoglienza, cioè con un’accettazione della proposta, uno è soddisfatto, sta meglio. Il rapporto amoroso, erotico, di ammiccamento, di seduzione sono delle conferme che tu sei stato accettato e quindi, in questo senso, è probabile che io ogni volta voglia sperimentare questa condizione per compiacermi di piacere. Qual è il tuo rapporto con la notte? È un rapporto integrale, nel senso che la faccio tutta finché non diventa giorno. E quando è giorno mi addormento, facendo del giorno una seconda notte. Di che cosa hai paura? Di niente. Non ho paura di nulla. Certo normalmente si ha paura di quello che non si conosce. Ma io cerco di conoscerlo così non mi fa più paura. Perché si è rotto il sodalizio con Berlusconi? Ma con Berlusconi non è che si è rotto il sodalizio. Abbiamo avuto dei rapporti prima di lavoro, poi di amicizia, poi è intervenuta la politica nella quale io l’ho anticipato in Parlamento entrando nel ’92. Nel ’94 quando lui ha fatto il suo progetto efficace di creare un polo, quando ce ne era uno solo dando vita così al bipolarismo, attraverso la nascita del suo partito, quello che si aspettava che derivasse non soltanto dalla mia vicinanza a lui, ma da quello che lui poteva realizzare non mi pare si sia verificato. Per cui molti di noi sono stati semplicemente allontanati non essendo abbastanza camerieri. Forse è questa la categoria che lui predilige. E quindi, non essendo la categoria nella quale mi rispecchio, io, Mancuso, Taradash, tante persone capaci, alla fine sono uscite di scena. Però scrivi sul Giornale che è di Paolo Berlusconi, quindi qualcosa è rimasto… Beh sì è l’unico luogo dove non sono stato censurato. Tu miri a diventare ministro dei Beni culturali. In questo caso quali atti faresti subito? Bloccherei innanzitutto il sindaco di Piacenza. Ma sono tanti poi. I beni culturali non sono un tema astratto, non sono un codice, una vicenda di idee. Sono mille casi, uno diverso dall’altro come le donne che non sono un’astrazione. Ecco i beni culturali sono delle donne minacciate e ognuno di loro ha una sua storia, un suo destino e noi dobbiamo occuparci della somma di tutte le unità individuali che rappresentano il patrimonio e non delle teorie pensando che con esse si può risolvere tutto. Le teorie rimangono astratte e i monumenti cadono. Ogni monumento è come un singolo malato che va seguito, per cui occorrono risorse per avere la particolare attenzione che richiede una persona fragile. E non invece pensare che tu hai risolto tutto con un sistema con cui organizzi le cose e pensi che ogni caso possa essere incasellato. Che cosa hai imparato dal picconatore Cossiga? Cossiga è stata la ragione per cui sono entrato in politica. Perché quando nel ’90 ho cominciato a difenderlo mi hanno rimproverato perché l’avevo difeso e mi ricordo che la difesa fu contro la grottesca inchiesta di Casson e io di quindici anni ho anticipato la posizione di Cacciari che si è posto come antagonista Casson, ritenendo la posizione di un magistrato incompatibile con quella di chi deve governare una città. Ma la posizione assunta nel 2005 da Cacciari l’avevo assunta nel ’90 quando Casson aveva preteso di interrogare Cossiga per la questione Gladio, non capendo che la questione Gladio non era la questione di sovversivi pericolosi clandestini, ma era una struttura segreta che era rimasta tale, nonostante siamo in Italia, per determinazione del governo. E quindi Cossiga non era colpevole di aver chiesto che una struttura di polizia non dichiarata fosse una garanzia contro l’eventuale avanzamento o occupazione comunista in Italia da parte della Jugoslavia. Una cosa che può anche essere romanzesca o romanzata non aveva nessun profilo di illegalità eppure Casson aveva aperto l’inchiesta. Io difesi Cossiga e cominciai allora la mia esperienza. Qual è il complimento che più ti ha fatto piacere? Quando incontro le signore per strada e mi dicono che sono bello. Se mi dicono che sono intelligente ci arrivo anch’io ma quando mi dicono che sono bello sono contento. “Lei è veramente un bell’uomo” è il complimento che apprezzo di più. Quando me lo dicono signore di qualunque età sono lusingato. Mi è facile perché non dubito dell’intelligenza, quindi non ho il dubbio di essere bello e privo di altre virtù. Però scegliere quella come la prima piuttosto che l’intelligenza o qualche altra facile risposta mi lusinga parecchio. E la frase più sgarbata, è il caso di dire, che ti sia stata rivolta? Quando tu incontri delle persone e una di queste, in un coro di dieci o venti a cui tu dai la mano dice io la mano non gliela do, perché non te la dà sulla base della presunzione ideologica della sua superiorità. Nel caso delle mie posizioni sui magistrati mi capitava di incontrare qualcuno che non mi dava la mano perché voleva significare la sua distanza da me. Io trovo la mano si dia per dichiarare che ti stai incontrando, quindi è una presa d’atto della conoscenza. Tra l’altro tu non è che gliela dai perché la vuoi dare a lui, ma lo fai per gentilezza. Sì, ma quelli ce l’hanno sempre sudata quindi è meglio lasciar perdere... Io dico sempre “molti amici, molti guanti per paura della rogna”, ma quella è una ragione diversa, di tipo igienico. Quando sono invece di tipo morale sono insopportabili perché il titolare della ragione non ti dà la mano perché pensa che tu sei un infame. E quello è uno stronzo che io mi mangerei vivo. Che cosa pensi dei critici d’arte di quelli radiotelevisivi? Dei critici d’arte penso che alcuni sono bravi e altri meno. Come dicevo prima i monumenti sono ogni monumento, le donne sono ogni donna, i critici d’arte sono ogni critico d’arte. Ce ne sono di bravissimi, forse i più bravi meno noti e meno conosciuti. E i critici televisivi da Achille Campanile ad Aldo Grasso delle figure che si applicano a un mezzo molto labile, ma spesso hanno delle intuizioni efficaci. Mi ricordo uno bravissimo, che si chiamava Placereami, che era il critico del “Piccolo”, lo stesso Aldo Grasso che in un certo momento mi criticava e poi ha smesso di farlo, naturalmente l’ho ringraziato della sua rinnovata indulgenza. Forse sbagliava lui quando mi criticava. Quale personaggio del mondo dello spettacolo apprezzi di più? Patty Pravo. Perché? Perché mi piace molto. Un personaggio un po’ trasgressivo… Mi piaceva quando lo era nel ’67. Io ero in collegio e lei cantava la mia canzone “Ragazzo triste”. Ero triste in collegio e lei cantava la mia canzone. E poi mi piace come persona, mi piace come carattere. Però i personaggi televisivi e i personaggi dello spettacolo di valore sono tanti, mi piace anche la Nannini. Che cos’è per te la trasgressione? La trasgressione è l’unico modo che l’arte ha di esistere. Cioè trasgredire, dire qualcosa che prima non c’era. E quindi l’arte nasce dalla trasgressione. È la forma più alta di trasgressione, come liberazione da regole, da vincoli. Poi naturalmente ci sono invece artisti che prediligono l’accademia, l’ordine e si stringono in una misura prestabilita. Ma le figura più grandi da Michelangelo a Canaletto sono tendenzialmente trasgressive perché indicano un mondo nuovo, un ordine nuovo. Dire è trasgredire. Come per me la creatività è sempre sovversiva… Sì, insomma poi non vuol dire che questo debba essere la rivoluzione in piazza. Vuol dire che nella variazione delle forme tu trasgredisci rispetto alla premessa da cui parti. In sostanza quando mi dicevano “ma lei non è come sono gli altri critici d’arte”. Appunto, io non appartengo a una categoria. Fondo io la mia natura come ogni artista. Beh, tu non ti sei mai omologato… E questo però lo diceva anche Sciascia quando rispondeva a chi lo chiamava intellettuale dicendo che provava un po’ di antipatia per quella parola, dicendo che non si può paragonare a un notaio, ingegnere, farmacista. Che sono categorie i cui comportamenti rendono l’uno simile all’altro. L’intellettuale è tale in quanto è diverso da un altro. Quindi non è una categoria come ingegnere. E allora non esiste la categoria intellettuale. Le categorie creative esistono come emblemi di diversità individuali e non come categorie generali in cui si possa rientrare come appunto nelle corporazioni o nei gruppi sociali. L’artista è fondamentalmente asociale, individualista, egoista, si fa i cazzi suoi, pensa a se stesso. Fa una cosa bene per gli altri perché odia la beneficenza. Il far bene serve a molti per liberarsi dai sensi di colpa, l’artista fa bene per sé e quindi fa bene per tutti. Chi e che cosa non sopporti dell’attuale televisione? Non sopporto niente. Non ci sono io perché dovrei sopportare una cosa da cui sono escluso? Qual è il tuo sogno erotico? Il mio sogno erotico è il prossimo. Che cosa ti fa ridere? Non le barzellette. I comici di Zelig? Non li ho mai guardati. Sono già della televisione post Sgarbi, quindi non li ho guardati. Mi fanno ridere le situazioni impreviste, le coincidenze del destino. Chi è il voltagabbana per te? Questo è molto complesso. Da qualche tempo non porto più la giacca per evitare questa categoria. È uno che fa una cosa per il proprio interesse e questo vale per tutti noi. E come fai a entrare alla Camera senza la giacca? La metto soltanto lì. La metti per l’occasione. Lì sono ligi. E poi s’azzuffano… Credo che in realtà la frase più bella sia quella di Churchill che dice “ci sono alcuni che per il loro partito cambiano idee, io per mantenere le idee cambio partito”. In realtà io non avevo nessuna ragione di abbandonare l’aria dove stavo se essa fosse stata un’aria respirabile. Ma non essendolo uno non è che si fa soffocare per morire sulla barca in cui affondano, non dico che meritano perché nessuno merita di affondare, ma affondano per colpa loro. Io non vorrei essere identificano come voltagabbana ma è una categoria nella quale si identificano quelli che cambiano posizione. Io in realtà non ho mai cambiato posizione, quella la cambiava Segni. Segni è l’amante ideale perché cambia sempre posizione. Tu non sei per il Kamasutra politico… Non lo sono. Chi pensi che dovrebbe cambiare mestiere? Quelli che fanno male il loro mestiere. Quando Raimbaud smette di fare il poeta, era un ottimo poeta e si è messo a fare il contrabbandiere. Ci sono molti che cambiano mestiere facendo bene quello che hanno fatto fin lì. Altri invece che fanno male il loro mestiere continuano a farlo. La larga parte è costituita da persone come queste che continuano a far male quello che hanno sempre fatto male. Più spesso accade che quelli che fanno bene una cosa la interrompano per fare altro, per cui chi cambia mestiere non è forse chi deve cambiarlo, ma chi è insofferente o non ha più voglia di continuare a fare le stesse cose. Però è anche bello che qualcuno lo faccia male. Quando voglio compiacermi della mia scrittura o voglio divertirmi leggo gli articoli di Scalfari e cerco gli errori di grammatica. Quindi quando una fa male il suo mestiere è utile perché tu possa compiacerti di farlo meglio. Che cosa vorresti che dicesse di te l’enciclopedia Treccani? La Treccani non so se si occupa dei vivi. Se lo fa, come ha fatto la Garzantina con me, può semplicemente dire che io sono esistito. D’altra parte la gloria letteraria è la ragione per cui si scrive e non c’è scrittore che non sia vanitoso. L’aveva intuito per primo Hume, poi lo ha ribadito Leopardi. Quando sei piccolo e cominci a scrivere hai un unico desiderio che sembrerebbe non corrispondente al fatto che la scrittura comunque ce l’hai tu: pubblicare. La parola pubblicare è l’ansia più straordinaria di qualunque critico, scrittore che ha bisogno che le sue cose siano comunicate agli altri. Magari poi nessuno le legge. Però in tal modo tu pubblichi il tuo nome, fai sapere che esisti. Così per i cantanti o per gli uomini d’arte, il comunicare, il pubblicare dà un senso alla propria opera. Se uno fosse davvero compiaciuto di quello che fa lo potrebbe fare soltanto per se stesso. Un grande romanziere che è stato Tommaso di Lampedusa ha scritto un libro che non ha visto pubblicato però, probabilmente l’ansia di pubblicare ce l’aveva anche lui. In che modo ti definiresti? Socievole, che è la mia caratteristica principale, gentile, disponibile. Un ragazzo mi ha raccontato in una lettera a Libero che una sera mi ha incontrato per propormi questioni che riguardavano Mantova e io l’ho portato in macchina con me a vedere le questioni. E quindi do immediata udienza. D’altra parte quando ero al ministero avevo abolito l’anticamera. Arrivavano da me tutti quelli che volevano, ognuno si occupava di qualcosa. Stando insieme e non ognuno cinque minuti ma due o tre ore tutti insieme ognuno poteva essere utile all’altro in un campo che non era il suo. E quindi in questo senso devo dire che ho sempre dato prova di estrema disponibilità verso gli altri. Non me la tiro insomma. A chi devi dire grazie? A te che mi hai intervistato, ai miei genitori che mi hanno messo al mondo. Ne ho fatti anch’io di figli ma non con l’idea di continuare la specie. Certo se mi avessero messo al mondo in una favela brasiliana sarei loro meno riconoscente. Hanno avuto il buon senso di mettermi al mondo in condizioni sociali che fossero accettabili. È comunque una forma di intelligenza. Devo dire grazie a mio zio che mi ha insegnato l’amore per la letteratura, a Francesco Arcangeli che mi ha insegnato l’amore per l’arte, a Mario Lanfranchi che mi ha insegnato il piacere del collezionismo. Quale sms vorresti inviare al tuo pubblico? Che ci sono ancora. Per quelli che si fossero distratti dalla mia assenza televisiva ci sono e lotto con voi. Progetti? Fare una gran trasmissione televisiva pagata come Bonolis. È la cosa che mi fa più effetto. Bonolis venti milioni di euro all’anno come tre Canaletto.  
     
  <<BACK