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Notiziario Marketpress di Venerdì 26 Marzo 2004
 
   
  Web moda & tendenze  
  SISTEMA MODA ITALIA: IL 2003 TERMINA IN FLESSIONE, MA CRESCE LA PRODUZIONE ESTERA  
   
  L’attività produttiva complessiva del settore abbigliamento-maglieria-calzetteria (Amc) si è mantenuta in flessione anche nell’ultima parte del 2003; tale risultato si è prodotto come sintesi di una leggera accelerazione per la produzione realizzata all’estero (+1,5% circa) e di cedimenti tendenziali ancora superiori al 2% per l’attività realizzata in Italia. Quest’ultima continua a rappresentare oltre i 4/5 dell’offerta com-plessiva. Gli unici impulsi espansivi sono infatti giunti, negli ultimi mesi dello scorso anno, dalla domanda estera (+2,2% l’incremento delle vendite estere, grazie soprattutto all’accelerazione del fatturato extra-ue), mentre il fatturato italiano delle 250 aziende del campione Smi ha continuato a perdere terreno per il settimo trimestre consecutivo. Quasi due anni di flessioni ininterrotte nella produzione domestica hanno lasciato tracce evidenti nei livelli occupazionali del settore Amc che, nella media del 2003, hanno accusato flessioni del -1,7%. Uniche note positive quelle provenienti dalle prime indicazioni sul sell-in per la prossima stagione invernale 2004-2005; queste infatti evidenziano, almeno per i mercati esteri, un ritorno in area positiva (+1,3% a prezzi costanti la previsione formulata dalle aziende ad inizio campagna). Dai mercati esteri, inoltre, già le “code” della campagna estiva avevano visto manifestarsi sensibili miglioramenti: rispetto a previsioni di flessioni di portafoglio dell’ordine del 5%, infatti, i dati definitivi hanno evidenziato cedimenti limitati a meno di 1 punto percentuale. Ovviamente su queste performance e, ancora di più sui risultati dei prossimi mesi, inci-dono significativamente (in negativo) gli effetti del rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro Usa ed alle principali divise asiatiche. Nelle stime per il primo trimestre 2004, ad esempio, le aziende scontano già un nuovo virtuale azzeramento della crescita del fatturato estero. Sul mercato interno, nonostante un certo miglioramento rispetto alle flessioni del -4% con cui è stata archiviata la primavera-estate 2004, dalle prime indicazioni sull’A/i 2004 (-1,1% la stima preliminare per il sell-in a prezzi costanti) non emergono segnali di una inversione di tendenza. Al di la dell’analisi delle deludenti performance congiunturali, la disponibilità dei dati definitivi sul 2003 consente di analizzare l’evoluzione recente della struttura produttiva del comparto Amc. La quota di produzione delocalizzata è risultata, lo scorso anno del 17,2%, 4 punti percentuali in più rispetto al 1999. Nell’ultimo quinquennio, infatti, le aziende italiane hanno sostituito produzione domestica (soprattutto nella componente realizzata internamente, ma anche con riferimento alla subfornitura) con produzione estera, quest’ultima concentrata prevalentemente nei segmenti basic più sensibili a fattori di prezzo. Tuttavia, se si limita l’analisi all’ultimo biennio, quello in cui il settore ha sperimentato la recessione più intensa della propria storia recente, i dati aggregati evidenziano un certo ripensamento delle strategie di allocazione produttiva. Fra il 2002 ed il 2003, infatti, le aziende Amc hanno ridotto dal 18,9% al 17,2% la quota di produzione realizzata all’estero aumentando simmetricamente dal 41% al 42,7% del totale, l’output realizzato direttamente in Italia in aziende di proprietà. Stabile al 40,1% si è infine mantenuta la quota produttiva ascrivibile al conto terzismo nazionale. Nella spiegazione di questi andamenti un ruolo cruciale è stato giocato dalle sempre crescenti richieste di velocità, contenuto moda e servizio dei buyer (sia in Italia che all’estero). In un contesto di mercato riflessivo infatti, è risultata ancora più evidente la necessità di cogliere tempestivamente qualsiasi mutamento nei desiderata del consumatore finale. Si sono quindi moltiplicate, da parte del settore retail, le richieste di Area Centro Studi produzioni in piccoli lotti, con rapidi riassortimenti in stagione. Per rispondere a queste richieste, mantenendo al contempo elevati gli standard qualitativi, le aziende italiane hanno riportato “all’interno” parte delle produzioni precedentemente delocalizzate. La realizzazione di un ciclo di produzione corto infatti presuppone una serie di know-how, specializzazioni produttive e di servizio (es. Logistica) a tutti i livelli della filiera tessile-abbigliamento che è ancora molto difficile trovare al di fuori dei confini nazionali. Queste evidenze empiriche, pur se relative ad ‘piccolo’ campione di aziende di fascia media e alta sembrerebbero suggerire una certa cautela nel definire ‘inarrestabili’ le spinte verso la delocalizzazione produttiva. Infatti, da un lato, pur garantendo sensibili differenziali positivi nel costo unitario dei tradizionali fattori di produzione (in primis il lavoro), le differenze in termini di produttività nell’utilizzo di tali fattori non sono ancora incommensurabili; dall’altro, il crescente contenuto di velocità e servizio richiesto dal mercato finale rendono ancora economicamente efficienti molte produzioni realizzate sul territorio nazionale. Velocità e contenuto di servizio sono infatti quei fattori che, oltre agli aspetti qualitativi (stile e tecnologia), consentono al Made in Italy di continuare differenziarsi dai competitor dei paesi emergenti, evitando, in molti segmenti di mercato, la competizione dal lato dei prezzi.  
     
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