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Notiziario Marketpress di Venerdì 26 Marzo 2004
 
   
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  NUOVE PARMALAT IN ARRIVO? UN'INDAGINE CINEAS EVIDENZIA COME LE GRANDI AZIENDE ITALIANE, QUOTATE E NON, SIANO, NEI FATTI, POCO PREPARATE A GESTIRE I RISCHI FINANZIARI: MOLTE RESTANO ESPOSTE AI RISCHI DI CAMBIO E DI CREDITO  
   
   Milano, 26 marzo 2004 - Le aziende, anche quelle quotate, hanno ben poche possibilità di difendersi dal comportamento fraudolento del management, e la possibilità che si verifichino nuovi crack è quindi tutt'altro che remota. Il Ddl per la difesa degli investitori oggi alla studio, seppur utile, non basterà a difendere gli azionisti senza un più diffuso senso etico. E' questo quello che pensa la maggioranza delle aziende intervistate da Cineas nell'ambito della ricerca "Risk management e Corporate governance per l'impresa etica". Per il 25% degli intervistati è solo intervenendo sul piano dell'etica che si può rafforzare il nostro sistema economico, così come aumentando i controlli esterni (21%) e interni (19%). La creazione di nuove norme viene considerata condizione risolutoria solo come quarta opzione. "La ricerca che abbiamo realizzato - ha commentato Adolfo Bertani, presidente di Cineas, il consorzio universitario di ingegneria nelle assicurazioni - è stata condotta su una campione di 150 grandi aziende. L'indagine evidenzia come oggi più che mai sia necessario assicurare un equilibrio strutturato tra la proprietà, la gestione e il controllo dell'azienda: queste tre colonne su cui si costruisce la storia di un'impresa devono operare in assenza di conflitti d'interesse e secondo corretti ed equi meccanismi di nomina, remunerazione, funzionamento e trasparenza informativa. In assenza di ciò, come è accaduto per Parmalat, sulla carta possono anche essere disegnate le migliori strategie di Corporate governance o di Risk management, ma nei fatti hanno ben poco significato se non si integra con una reale corporate social responsability dell'azienda". Internai auditing e consiglieri indipendenti, funzioni ancora da scoprire L'indagine realizzata da Cineas evidenzia come solo le aziende quotate (e per altro non tutte) hanno un consiglio d'amministrazione composto anche da membri realmente indipendenti, se per indipendente si deve considerare non solo chi non ha posizione di dirigenza all'interno dell'azienda né ha deleghe operative, ma anche chi non ha analoghe cariche in compagnie di assicurazione, in finanziarie o banche, non è fornitore di servizi professionali o- consulenziali, non è cliente o fornitore in genere e non è parente della proprietà o degli amministratori. Persino un 16% delle aziende quotate in Borsa intervistate si trova nelle condizioni di non avere nemmeno un membro del Cda indipendente, e se si passa alle società non quotate la percentuale sale vertiginosamente al 64%. In una situazione del genere come si potrà scongiurare il rischio di connivenze tra il Cda e il management? Chi garantirà agli azionisti di minoranza che l'azienda sia gestita al meglio delle sue possibili performance? Per questo giustamente alcune aziende, tra cui recentemente Pirelli-telecom, hanno dichiarato di volerne aumentare la presenza a tutela degli azionisti di minoranza.
Presenza di membri indipendenti nel Cda
Risposte in percentuale
Totale Quotata Non Quotata
Si 37,33 78,95 31,30
No 58,00 15,79 64,12
Non so 4,67 5,26 4,58
Nel panorama italiano, poi, l'Internai Audit, ancorché funzione "perno" del sistema di controllo interno, sembra aver da poco trovato un rilievo adeguato alla sua reale importanza. "Come evidenziato nell'indagine - ha sottolineato in merito Emerico Amari, Coordinatore del Corso Cineas in Corporate Financial Risk Management - permangono, tuttavia, ancora delle criticità, quali l'assenza della figura di un Internai Autiditor in alcune società quotate, la collocazione gerarchica non sempre "ortodossa" (con possibili impatti sulla duty segregation), ed un approccio spesso focalizzato sul controllo anziché sul rischio". Il 45% delle aziende intervistate non quotate e il 16% delle aziende quotate non ha infatti nemmeno inserito all'interno della società la figura dell'internal auditing. Quando c'è, è un manager che riporta direttamente all'amministratore delegato o al direttore generale (nel 56% delle quotate e nel 39% delle non quotate) ma potrebbe anche riportare, con evidenti conflitti di interessi, al direttore finanziario o al direttore amministrativo (nel 15% dei casi delle aziende non quotate). I rischi finanziari: temuti più che affrontati In un mondo sempre più complesso e caratterizzato da forti minacce esterne, il sistema economico italiano sembra molto attento alla prevenzione e gestione dei rischi: la quasi totalità delle aziende intervistate (93%) dichiara di avere al proprio interno una figura occupata nella gestione delle polizze assicurative, così come di impiegare figure per la gestione dei rischi operativi o finanziari. Ma la realtà dei fatti dimostra poi che la gestione dei rischi resta per lo più sulla carta: in un caso su due, infatti, il risk manager non prende decisioni in modo autonomo su ciò che concerne i rischi di sua competenza e non partecipa alle decisioni dell'azienda, ma offre semplicemente un parere consulenziale. E soprattutto, non ha una visione globale dei rischi che l'azienda deve affrontare. Solo nel 10% delle aziende intervistate esiste un Enterprise Risk Manager, ovvero un professionista del rischio a 360°. Il risultato? I rischi finanziari restano temuti più che affrontati dalle imprese italiane: il peggiore, in questo periodo di estrema incertezza economica e politica, è, secondo le aziende intervistate, quello legato alle oscillazioni del cambio delle valute, ritenuto decisamente pericoloso dal 47% delle aziende intervistate quotate in Borsa e dal 30% delle non quotate. Per le società non quotate un altro rischio altamente temibile è poi quello di un mancato credito da parte delle banche per il supporto delle attività operative (con il 36% delle risposte): problema che non sembra invece toccare più di tanto le aziende quotate, che evidentemente godono di una liquidità alternativa proveniente dal mercato e forse di una maggior fiducia da parte degli istituti di credito. Le aziende quotate sembrano invece assai più preoccupate da un eccessivo indebitamento nei confronti delle banche (26% delle risposte).
Rischi finanziari più temuti dalle aziende italiane
Risposte in percentuale
Totale Quotata Non Quotata
Rischio di cambio 32,00 47,37 29,77
Rischio investimento 14,00 -15,79 13,74
Rischio di credito 30,67 10,53 33,59
Rischio di indebitamento con le banche 22,00 26,32 21,37
Non risponde 1,33 0,00 1,53
Fonte:cineas
 
     
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