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Notiziario Marketpress di Lunedì 17 Gennaio 2005
 
   
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  FIDEURAM INVESTIMENTI: ECONOMIC OUTLOOK  
   
  Milano, 17 gennaio 2005 - Lo scenario macroeconomico nella parte finale dell’anno ha continuato ad essere caratterizzato da una divergenza fra i ritmi di crescita degli Usa e della Cina, che si sono mantenuti elevati, e quelli di Area Euro e Giappone, dove si è confermato un sensibile rallentamento dell’attività economica. Nel caso degli Usa l’elemento di maggiore rilievo, per quanto riguarda i dati diffusi nelle ultime settimane, è probabilmente rappresentato dalla conferma della forza dei consumi anche nei mesi finali dell’anno, mentre un significativo rallentamento appariva probabile vista la notevole accelerazione registrata in Q3. Il nostro scenario per il 2005 continua a prevedere un modesto rallentamento della dinamica dei consumi, ma si devono sottolineare i rischi al rialzo per questa previsione. Un altro rischio significativo è inoltre che il ciclo restrittivo della politica monetaria negli Usa risulti più aggressivo di quanto attualmente scontato da noi e dal mercato: è questo, in particolare, il messaggio evidenziato dalle minute della riunione del Fomc di dicembre, che sembra evidenziare una modifica non trascurabile nella valutazione dei rischi (non dello scenario centrale) relativi all’inflazione da parte della Fed. Non vi sono invece modifiche importanti allo scenario per quanto riguarda Giappone e Area Euro. Per quest’ultima si deve però notare che il miglioramento della fiducia delle imprese nel mese di dicembre ha significativamente ridotto i timori di una pesante correzione dell’attività produttiva (anche se le condizioni della domanda, specialmente in Germania, rimangono alquanto deboli). La crescita dei consumi si è mantenuta molto robusta anche nella parte finale del 2004. Dopo la sensibile e inattesa accelerazione dei consumi privati nel corso del terzo trimestre (5.1% annualizzato, il ritmo più sostenuto dal trimestre finale del 2001), un rallentamento appariva ampiamente scontato per Q4, anche in ragione del significativo aumento del prezzo dei carburanti nella prima parte del trimestre. I dati finora disponibili mostrano però che il tasso di crescita dei consumi si è mantenuto molto elevato anche nei mesi finali dell’anno e la nostra previsione mostra solo una lieve decelerazione (al 4.4%) rispetto al ritmo molto elevato di Q3. I consumi in termini reali infatti sono rimasti invariati nel mese di novembre, ma dopo un notevole aumento nei due mesi precedenti (+0.5% e +0.4% m/m, rispettivamente in settembre e in ottobre). I primi dati relativi al mese di dicembre indicano, inoltre, come probabile un forte incremento dei consumi (la nostra previsione, sempre per il dato in termini reali, è di un aumento m/m dell’1.0%), determinato in larga parte dall’impressionante e inatteso aumento nelle vendite di auto, che hanno raggiunto (con un incremento annualizzato di circa 2 milioni di unità rispetto a novembre) il livello più elevato dall’ottobre del 2001 (quando furono introdotti i super incentivi nel settore). Di particolare rilievo nell’andamento sostenuto dei consumi negli ultimi mesi appare la dinamica molto vivace delle spese per servizi, che in Q4 dovrebbe aver raggiunto, secondo le nostre stime, il tasso di crescita più elevato (quasi il 4%) dalla parte finale del 2000. E’ anche importante notare che nel mese di dicembre si è registrato un notevole miglioramento della fiducia delle famiglie, con l’indice del Conference Board, più sensibile alle condizioni del mercato del lavoro, ai massimi dallo scorso luglio e quello della University of Michigan, più sensibile alle condizioni finanziarie, ai massimi da gennaio. Gli sviluppi più recenti non si muovono quindi nella direzione di corroborare la nostra attesa di una decelerazione dei consumi nel 2005 rispetto al ritmo che ha caratterizzato il 2004 (al 3.3% dal 3.8%) e sottolineano i rischi al rialzo nello scenario di crescita per l’anno appena iniziato. Inattese indicazioni di debolezza dagli investimenti a fine 2004. Gli investimenti in macchinari e attrezzature hanno registrato una crescita molto sostenuta (16% annualizzato in media) nei due trimestri centrali dello scorso anno. Il nostro scenario prevedeva che questi ritmi fossero poi mantenuti in Q4, grazie all’effetto positivo sulle spese d’investimento derivante dalla scadenza, a fine anno, delle agevolazioni fiscali per le imprese. I dati più recenti sugli “shipments” di beni capitali mostrano invece che probabilmente nell’ultimo trimestre dell’anno si è registrata una sensibile decelerazione nella crescita degli investimenti rispetto ai due trimestri precedenti. Gli “shipments” di beni capitali “core” hanno subito una contrazione piuttosto ampia in novembre (-1.8% m/m). In conseguenza di questo andamento la nostra previsione di crescita degli investimenti in macchinari e attrezzature, che pure incorpora un significativo recupero degli “shipments” in dicembre, risulta ora molto contenuta (intorno al 6% annualizzato). Un’ulteriore flessione, con un tasso di crescita negativo, è poi prevista per il primo trimestre di quest’anno (proprio per l’effetto della fine delle agevolazioni fiscali, il cui impatto è però molto arduo da quantificare). Si noti, però, che le indicazioni provenienti dai dati sugli ordini di beni capitali “core” non sono così negative (con la variazione 3m/3m annualizzata che si è mantenuta intorno al 15% in novembre) e la componente degli ordini alle imprese nell’indice Ism ha registrato un forte aumento in dicembre (da 61.5 a 67.4) e si è riportata ai massimi dallo scorso gennaio. Nel complesso, l’andamento recente dei dati sull’attività economica e sulla domanda negli Usa appare in linea con una crescita del Pil in Q4 poco distante da quella del trimestre precedente (la nostra previsione è del 3.7% contro il 4.0% di Q3), mentre per il primo trimestre si conferma la stima di una decelerazione, ma temporanea, sotto il tasso di crescita potenziale dell’economia. I dati sul mercato del lavoro di dicembre confermano nel complesso le indicazioni emerse nel mese precedente: crescita moderata dell’occupazione, ma rallentamento dei redditi da lavoro. L’andamento dell’occupazione negli Usa nel mese di dicembre, con un incremento di 157 mila unità sul mese precedente, è stato leggermente più deludente delle attese di consenso (+175 mila). I dati di ottobre e novembre sono stati rivisti al rialzo, ma nel complesso le correzioni sono state abbastanza limitate. L’andamento dell’occupazione nel mese di dicembre conferma gli aspetti salienti che erano emersi dal dato di novembre (dopo la notevole sorpresa positiva registrata nel mese di ottobre): le condizioni del mercato del lavoro sono caratterizzate da un graduale miglioramento, ma la dinamica dell’occupazione risulta tutt’altro che brillante, particolarmente nel comparto dei servizi privati. Il nostro scenario prevede inoltre che sia improbabile che nel corso del 2005 si registri un’accelerazione nell’aumento dell’occupazione rispetto ai ritmi prevalenti negli ultimi trimestri (la crescita media degli occupati nella seconda metà del 2004 è stata di 168 mila unità e di 186 mila per tutto il 2004). La disaggregazione per settori del dato di dicembre mostra che si è registrato un aumento degli occupati nell’industria, in quanto il comparto manifatturiero è tornato a registrare un modesto aumento degli addetti (+3 mila unità) dopo 3 mesi di contrazione, e nel settore pubblico. In linea con l’andamento del mese di novembre, si è invece registrata una dinamica molto dimessa dell’occupazione nel comparto dei servizi privati (con un incremento di 115 mila unità, il dato più debole degli ultimi tre mesi), su cui ha pesato, in particolare, la contrazione dell’occupazione (-20 mila) nel comparto della distribuzione al dettaglio. Si noti, a tale riguardo, che se si esclude il dato del mese di ottobre, quando si è registrato un sensibile incremento, la crescita media degli addetti nei servizi privati a partire dallo scorso giugno è stata alquanto deludente (95 mila unità). Anche l’andamento dei salari orari e del reddito da lavora conferma, con il dato di dicembre, il rallentamento evidenziato in novembre. I salari orari nominali sono aumentati in dicembre dello 0.1% m/m per il secondo mese consecutivo e la variazione 3m/3m annualizzata di questo indicatore, che aveva raggiunto il 3.2% nello scorso settembre ha ora rallentato al 2.3%. Questo andamento, nonostante un rimbalzo alquanto sensibile delle ore lavorate totali (+0.4 m/m, dopo il -0.2% di novembre), ha determinato una significativa decelerazione dei redditi da lavoro negli ultimi mesi: la proxy fornita dal Burea of Labor Statistics mostra infatti che la crescita 3m/3m annualizzata dei redditi da lavoro è passata dal 6.3% in settembre (il massimo dall’aprile 2000) al 4.7% in dicembre. Ne consegue, a nostro avviso, un andamento del reddito disponibile delle famiglie non compatibile con una crescita dei consumi che si mantenga in linea con quella registrata negli ultimi trimestri (vista anche l’esigenza di un incremento del tasso di risparmio dall’attuale livello, particolarmente depresso). Le minute della riunione di dicembre del Fomc segnalano il rischio di una Fed più aggressiva delle nostre attese nel 2005. L’esito della riunione del Fomc di metà dicembre è stato in linea con le attese, con il quinto rialzo consecutivo dei tassi di 25 pb dallo scorso giugno. I verbali della riunione, diffusi per la prima volta dopo 3 settimane dal meeting e quindi prima della successiva riunione del Fomc, mostrano però che se lo scenario centrale sulle prospettive dell’economia (alquanto confortante per quanto attiene alla crescita) non si è modificato significativamente rispetto alla riunione precedente, sono però mutati in modo sensibile i rischi al rialzo sull’inflazione. Questi ultimi, secondo alcuni esponenti del Fomc, possono essere fatti risalire all’impatto sui prezzi del rincaro delle materie prime, all’effetto del deprezzamento del dollaro e alle conseguenze di un probabile rallentamento della crescita della produttività. E’ interessante notare che alcuni esponenti del Fomc ritengono che l’economia “potrebbe presto operare vicino al potenziale” e che, segnale ancora più allarmante per la Fed, “le aspettative di inflazione potrebbero non essere così ben ancorate come lo erano durante l’estate”. Nel complesso, le indicazioni provenienti dall’ultima riunione del Fomc sembrano evidenziare uno spostamento nella valutazione dei rischi sulle prospettive dell’attività economica e, soprattutto, dell’inflazione, nei prossimi mesi (ad esempio, alcuni membri della Fed ritengono anche che la politica monetaria troppo accomodante si sia riflessa in “signs of potentially excessive risk-taking in financial markets”). Questo atteggiamento appare compatibile con una prosecuzione del ciclo di restrizione della politica monetaria con ritmi meno moderati di quelli attualmente scontati nelle nostre previsioni (che vedono i Fed Funds a 3.25-3.50% a fine anno) e dal mercato. Si tenga però presente che la nostra aspettativa di un rallentamento nell’entità dei rialzi dei tassi a partire dalla metà dell’anno si basa anche su uno scenario di crescita, in particolare per i consumi, che appare meno vivace di quello considerato dalla Fed. La fiducia delle imprese è migliorata a dicembre, ma i dubbi sulla crescita persistono. Nel mese di dicembre la fiducia delle imprese dell’area euro ha cessato di deteriorarsi e ha registrato significativi progressi soprattutto in Germania e in Belgio, dove all’avvio del quarto trimestre si era verificato il deterioramento più marcato. In Germania l’indice Ifo si è addirittura riportato, con il movimento del mese di dicembre, non lontano dai massimi della prima metà del 2004, grazie ad un miglioramento dei giudizi non solo nel settore manifatturiero, ma anche nei settori tradizionalmente più depressi del commercio al dettaglio e all’ingrosso (nei quali però la fiducia è notoriamente molto volatile). Questi progressi nella fiducia hanno trovato riscontro anche nel miglioramento del Pmi manifatturiero dell’area euro, che è salito di un punto a dicembre, con un aumento sia della produzione corrente che dei nuovi ordini. Dopo i quattro cali consecutivi dei mesi precedenti, un ulteriore calo a dicembre avrebbe portato questo importante indicatore congiunturale dell’area euro ad una discesa sotto la soglia di 50. Si allontana così, almeno momentaneamente, il rischio di una significativa contrazione della produzione all’avvio del nuovo anno, ma gli attuali livelli delle aspettative del settore manifatturiero appaiono fragili e difficilmente sostenibili: la tenuta delle domanda estera aiuta infatti a garantire il mantenimento della crescita della produzione manifatturiera dell’area euro intorno all’1.0% t/t, ma le prospettive sia per il tasso di cambio che per il prezzo del petrolio continuano a rappresentare un freno per le aspettative del settore e per le attese di crescita del complesso dell’area. A questo proposito si segnala la marcata contrazione degli ordini al settore manifatturiero tedesco nel mese di novembre (-2.3% m/m), che ha annullato l’aumento del mese precedente (1.0% m/m). Il calo è marcato sia per quanto riguarda gli ordini dall’estero che per gli ordini provenienti dalla domanda interna, di cui si riconferma la debolezza. Dalla domanda interna ancora segnali di debolezza. La domanda interna dell’area euro continua a non mostrare evidenze di un miglioramento più significativo di quel progresso modesto incorporato nelle nostre previsioni da diversi trimestri. Le vendite al dettaglio in Germania, che avevano marcatamente sorpreso al rialzo nel mese di ottobre (1.5% m/m), sono state più che corrette al ribasso con il calo marcato del mese di novembre (-2.0% m/m). Solo in Francia sembra essere in atto, dopo la debolezza di 04Q3, un recupero significativo, ma nel complesso dell’area euro le vendite al dettaglio risultano praticamente stagnanti in 04Q4 rispetto al trimestre precedente (0.2% t/t ann.). La debolezza della domanda interna è confermata anche dalla marcata discesa del Pmi dei servizi dell’area euro, che è in continuo peggioramento dalla seconda metà del 2004 e che nel mese di dicembre è rimasto invariato ai minimi dall’estate del 2003. La ripresa della domanda interna continua infatti ad essere condizionata dalle difficili condizioni del mercato del lavoro dell’area euro, come indicato anche dalle ridotte intenzioni di occupazione delle imprese nelle principali economie dell’area (ad eccezione della Francia). Viene dunque confermata la nostra previsione di crescita per l’area euro che vede nel primo trimestre del 2005 un ulteriore rallentamento della crescita all’1.0% t/t annualizzato, dopo l’1.5% previsto per 04Q4. Germania e Italia si confermano le economie più deboli tra le principali dell’area euro. L’introduzione da gennaio 2005 della quarta parte della riforma del mercato del lavoro in Germania (“Hartz Iv”), sebbene positiva per la competitività delle imprese e la flessibilità del mercato del lavoro tedesco in un’ottica di medio/lungo periodo, dovrebbe comportare nel breve periodo un ulteriore significativo aumento della disoccupazione e ripercuotersi negativamente sulla fiducia dei consumatori. La debolezza del mercato del lavoro tedesco dovrebbe protrarsi almeno a tutta la prima metà del 2005 e continuare a mantenere depresse le decisioni di spesa. Nell’ultimo trimestre del 2004 si è inoltre osservato in Italia un significativo peggioramento dei principali indicatori congiunturali (Pmi e fiducia delle imprese). I tagli fiscali non sembrano avere esercitato un impatto positivo sulla fiducia di imprese e consumatori e la spesa in beni durevoli, che pure ha marcatamente sostento la crescita nel 2004, rischia di rallentare. L’italia si riconferma dunque, insieme con la Germania, l’economia più debole tra le principali dell’area euro. L’economia del Regno Unito conferma la propria solidità. Dopo il rallentamento della crescita di quasi due punti percentuali registrato nel terzo trimestre (la crescita del Pil di Q3 è stata peraltro rivista al rialzo all’1.8% t/t annualizzato dall’iniziale 1.4%, anche se resta evidente il peggioramento rispetto al 3.5% di Q2), i dati di Q4 sono stati uniformemente più forti delle attese. La produzione industriale ha recuperato rispetto al trimestre precedente, mentre le vendite al dettaglio si sono mostrate molto più solide delle attese, rallentando solo gradualmente rispetto ai ritmi della prima metà dell’anno. La fiducia delle imprese si è, inoltre, mantenuta su livelli confortanti, in particolare per quanto riguarda le prospettive nel settore delle vendite al dettaglio. Il rischio principale per l’economia britannica continua ad essere rappresentato da un brusco aggiustamento del mercato immobiliare, che dalla fine dell’estate ha cominciato a presentare chiare evidenze di un deciso rallentamento dei prezzi delle case e di una riduzione dei volumi di contrattazione. L’ottimo stato del mercato del lavoro unitamente alla solidità recentemente mostrata dall’economia del Regno Unito, sia nei confronti dell’aumento del prezzo del petrolio che del forte apprezzamento della sterlina, dovrebbero consentire però un aggiustamento graduale del mercato immobiliare e una reazione ordinata dei consumi privati. La Boe inoltre, avendo avviato da più di un anno il ciclo restrittivo, si trova nella condizione di poter intervenire con una riduzione dei tassi in caso di eccessivo indebolimento della crescita. Alla luce delle contenute pressioni inflazionistiche previste nei prossimi due anni, non è escluso che una ribasso dei tassi possa già verificarsi nella seconda metà del 2005, al fine di accompagnare il previsto rallentamento della crescita. Il Tankan di Q4 segnala un indebolimento della fiducia delle imprese nel manifatturiero che però rivedono al rialzo i piani di investimenti. Le imprese del non manifatturiero, d’altro lato, non ampliano di molto i piani di investimento. Le imprese nel complesso si attendono un deterioramento nella redditività per 05Q1. La revisione al rialzo dei piani di investimento (generalizzata anche se più evidente per le grandi imprese del manifatturiero) nel Tankan di dicembre è il risultato più sorprendente dell’intera survey. Questo appare vero, a maggior ragione, se si associa alla percezione di un deterioramento sia della condizione corrente (di 3 punti) che di quella prospettica (di 7 punti) per le grandi imprese del manifatturiero. Il sentiment di queste ultime appare particolarmente negativo in considerazione della revisione al rialzo sia dei risultati di vendita relativi al primo semestre fiscale che delle stime di vendita per il secondo semestre fiscale. Le grandi imprese del non manifatturiero non vedono invece deteriorarsi la condizione corrente e considerano il deterioramento prospettico molto lieve (un solo punto). Il Tankan segnala poi una condizione molto migliore per le piccole imprese, sia del manifatturiero che del non manifatturiero. Queste ultime hanno visto addirittura un miglioramento delle condizioni di profitto in Q4 (in aumento di 3 punti). Da un’attenta analisi dei piani di investimento si evidenzia che la revisione al rialzo più “genuina” è relativa proprio alle piccole imprese, dato che gran parte delle altre categorie ha posticipato nel secondo semestre fiscale i piani non realizzati nel primo. Parte della revisione al rialzo dei piani è poi attribuibile ad una previsione meno negativa di investimento in terreni (più evidente per il settore delle grandi imprese del manifatturiero). I dati di novembre (produzione e consumi) corroborano lo scenario di un’economia giapponese in fase di rallentamento. I dati relativi agli investimenti in capitale fisso non collimano con le evidenze del Tankan. La produzione industriale di novembre (+1.5% m/m) ha recuperato solo parzialmente il calo del mese precedente (-1.3% m/m), evidentemente in parte attribuibile al terremoto che aveva colpito il Giappone a fine ottobre. È comunque altamente probabile che si assista al secondo trimestre consecutivo di contrazione della produzione. Le componenti che hanno trainato la produzione a novembre sono quelle legate all’export ed all’It. Risulta evidente che in Q4 la maggiore sorpresa è provenuta dal lato della domanda legata all’export (il cui fatturato è cresciuto dell’1.5% rispetto a Q3, contro una crescita della produzione in questo segmento dello 0.3% t/t), export che si è ripreso significativamente in ottobre e novembre (in termini reali, secondo indici ricostruiti dalla Boj, le esportazioni sarebbero cresciute del 4.5% rispetto a Q3). La domanda interna è rimasta invece abbastanza debole in Q4: i dati sui consumi, seppur misti, lasciano intravedere una crescita vicina a quella registrata in Q3 (1% t/t annualizzato nelle nostre previsioni), mentre gli investimenti in macchinari ed attrezzature, alla luce degli “shipments” di beni capitali core (-1.2% rispetto a Q3) non si preannunciano molto brillanti. L’inflazione core giapponese continua ad essere negativa e rimarrà tale anche nel breve periodo. L’indice dei prezzi al consumo nazionale per il mese di novembre è cresciuto dello 0.8% a/a. Una volta escluso l’effetto degli alimentari freschi, però, la crescita del Cpi core è risultata in calo dello 0.2% a/a. Il Cpi di Tokyo del mese di dicembre (0% a/a, core -0.4% a/a) ha inoltre mostrato una forte decelerazione nel prezzo degli alimentari freschi, il cui aumento negli scorsi mesi aveva sostenuto il corso dell’indice headline proprio a causa del maltempo estivo. L’indice core viene mantenuto in territorio negativo da una pluralità di fattori. Anzitutto, il prezzo del riso (alimento non appartenente alla categoria degli alimentari freschi) è in via di moderazione. Inoltre il rientro del prezzo del petrolio tende a deprimere i costi dei suoi derivati. Anche l’apprezzamento della valuta ha un effetto calmierante nei confronti dei prezzi dei prodotti importati. Inoltre influiscono ed influiranno sul Cpi core una serie di misure programmate a partire da fine anno, quali la riduzione dei pedaggi autostradali (da novembre) e delle tariffe telefoniche (da gennaio), la deregolamentazione delle importazioni nel tessile e su alcuni alimenti (da gennaio). Il maremoto in Asia rappresenta una catastrofe umanitaria e ha provocato ingenti danni nelle aree colpite, ma potrebbe non impattare in modo pesante sulla crescita economica dell’area. Indonesia e Tailandia sono le due economie maggiormente colpite dal maremoto (provocato da un terremoto con epicentro nei pressi dell’isola indonesiana di Sumatra) che ha avuto ripercussioni in una vasta area dell’Oceano Indiano. Nonostante gli ingenti danni materiali e la perdita di centinaia di migliaia di vite umane, l’impatto economico dello tsunami è quasi nullo per Indonesia e Malesia e, secondo le stime del Ministro delle Finanze della Tailandia, ammonterebbe solo a mezzo punto percentuale di crescita economica in Tailandia, la regione maggiormente colpita in termini economici. Nelle regioni colpite dallo tsunami, infatti, il settore manifatturiero non è preponderante (neppure gli impianti per la produzione di gas naturale e petrolio, che hanno sede nei pressi dell'epicentro, in Indonesia, sono stati danneggiati): sono la pesca, l’agricultura ed il turismo i settori che maggiormente sono stati danneggiati. Anche il commercio con queste regioni, dunque, non subirà conseguenze (se non per le importazioni legate alla ricostruzione). Di difficile quantificazione resta l’impatto che il turismo potrà avere sui consumi privati anche per la perdita di occupazione legata al turismo; questa considerazione vale in modo particolare per la regione della Tailandia colpita dal maremoto, che conta oltre 1/3 del turismo nazionale (il turismo pesava circa il 6% del Pil tailandese nel 2002, prima che la regione fosse colpita dalla Sars nel 2003). Il turismo, per lo meno in 05Q1, potrebbe calare notevolmente a causa del danneggiamento delle strutture ricettive. Va però preso in considerazione il rischio di epidemie che potrebbero dilagare a causa delle condizioni igieniche venutesi a creare anche per la mancanza di acqua. D’altro canto, proprio il governo tailandese si trova con una posizione fiscale molto favorevole, per cui le opere di ricostruzione e le spese/sovvenzioni pubbliche potranno alleviare l’impatto negativo dello tsunami sul Pil.rtecssstylesrtecssstyles  
     
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