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Notiziario Marketpress di Mercoledì 19 Gennaio 2005
 
   
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  L’ITALIA OGGETTO DI NUMEROSE AZIONI LEGALI DELLA COMMISSIONE PER VIOLAZIONI DELLA NORMATIVA AMBIENTALE  
   
  Bruxelles, 19 gennaio 2005 - La Commissione europea sta portando avanti vari procedimenti di infrazione nei confronti dell’Italia, contestandole di avere violato in 15 casi la normativa ambientale dell’Ue in materia di trattamento delle acque reflue, emissioni industriali, prevenzione degli incidenti industriali, valutazioni di impatto ambientale, conservazione di importanti habitat naturali, protezione di risorse idriche, controllo dell’inquinamento atmosferico, scambio delle quote di emissioni e giardini zoologici. Per dieci di queste violazioni la Commissione ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee. In un altro caso l’Italia ha ricevuto un parere motivato che la invita a rispettare una precedente sentenza della Corte, per evitare di incorrere in gravi sanzioni pecuniarie. Il commissario per l’Ambiente Stavros Dimas ha dichiarato: “Il rispetto della normativa ambientale dell’Unione europea consentirà all’Italia non solo di proteggere la ricchezza della sua biodiversità e delle sue risorse naturali ma anche di offrire ai suoi cittadini il contesto di vita gradevole che meritano. Ritengo preoccupante che l’Italia non abbia ancora attuato la direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento che costituisce una misura chiave per il controllo delle emissioni industriali. Invito le autorità italiane ad impegnarsi ulteriormente per migliorare l’attuazione della normativa in questione.” Parere motivato concernente il rispetto della pronuncia della Corte sulla insufficiente designazione da parte dell’Italia di Zone di Protezione Speciale per gli uccelli Il 20 marzo 2003 la Corte di giustizia delle Comunità europee ha stabilito che, non avendo ancora classificato numerosi territori come zone di protezione speciale (Zps) per la protezione delle specie di uccelli tutelate dalla direttiva “Uccelli selvatici”[1] e delle altre specie migratrici che ritornano regolarmente nel suo territorio, l’Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della suddetta direttiva. La direttiva impone agli Stati membri di designare siti importanti per le specie di uccelli minacciate di estinzione. Nonostante i progressi compiuti nella designazione dei siti e nella comunicazione dei relativi dati, complessivamente la rete presenta ancora alcune gravi carenze. Tali carenze sono più evidenti in Sicilia, Sardegna, Lombardia e Calabria. La Commissione ha pertanto inviato alle autorità italiane un parere motivato ai sensi dell’articolo 228 del trattato, sollecitandole ad adottare gli opportuni provvedimenti. In caso contrario l’Italia potrebbe essere nuovamente deferita alla Corte e incorrere in forti sanzioni pecuniarie. Lettera di costituzione in mora per mancato rispetto della pronuncia della Corte concernente i giardini zoologici Il 10 giugno 2004 la Corte ha riscontrato che l’Italia non aveva recepito nella propria legislazione nazionale una direttiva comunitaria diretta a regolare alcuni aspetti della gestione dei giardini zoologici[2] (C-302/03). Non avendo l’Italia ancora notificato le disposizioni normative necessarie, le è stata inviata una lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 228 del trattato, con la quale è stata invitata a recepire quanto prima la direttiva per non incorrere in forti sanzioni pecuniarie. Decisioni di deferire l’Italia alla Corte di giustizia delle Comunità europee La Commissione ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia per dieci violazioni diverse. La prima riguarda la costruzione della terza linea di un megainceneritore a Brescia; si tratta di uno de più grandi d’Europa, con una capacità di trattamento di circa 700 000 tonnellate l’anno. Sebbene i progetti di questo tipo e di queste dimensioni abbiano un considerevole impatto sull’ambiente e siano quindi soggetti obbligatoriamente ad una valutazione d’impatto ambientale (Via) conformemente alla direttiva comunitaria Via[3], per questo specifico progetto non è stata effettuata nessuna valutazione. Oltre a violare la direttiva Via, il progetto contravviene anche ad una disposizione, relativa alla consultazione del pubblico, della direttiva sull’incenerimento dei rifiuti[4] che prevede condizioni operative particolari e requisiti tecnici rigorosi e stabilisce valori massimi delle emissioni per gli impianti di incenerimento dei rifiuti e di coincenerimento di rifiuti e altri combustibili. La seconda riguarda l’assenza di impianti per il trattamento delle acque reflue in un’agglomerato di comuni della provincia di Varese. Il mancato trattamento delle acque reflue ha provocato il grave inquinamento del fiume Olona, le cui acque vanno riversarsi nell’Adriatico che è un mare sensibile all’eutrofizzazione (eccessivo apporto di sostanze nutritive che determina delle fioriture algali e altri tipi di problemi). Le autorità italiane avrebbero dovuto garantire l’adeguato trattamento delle acque reflue già dalla fine del 1998, ai sensi della direttiva del 1991 concernente il trattamento delle acque reflue[5]. Tre decisioni riguardano la legislazione comunitaria sulla conservazione della natura. La direttiva “Habitat”[6] tutela una serie di animali e di piante rari e minacciati di estinzione, nonché un insieme di habitat tipo mediante il loro inserimento nella rete comunitaria delle zone protette nota come “Natura 2000”. La direttiva impone, tra l’altro, la valutazione, prima della loro realizzazione, di piani e progetti potenzialmente dannosi che possono esercitare un impatto sui siti di Natura 2000. L’italia non ha rispettato queste disposizioni concedendo l'autorizzazione di costruzione malgrado l'esito negativo di tale valutazione, per (i) una strada forestale (“Koferalm”, comune di Campo Tures, Parco naturale Vedrette di Ries-aurina) e (ii) una via ferrata tra Vallelunga e Alpe Stevia (comune di Selva di Val Gardena, nel Parco naturale Puez-odle) entrambe situate nelle Dolomiti, in provincia di Bolzano (Trentino-alto Adige). Tale valutazione non è stata fatta neanche (iii) per la nuova infrastruttura sciistica in fase di costruzione per il campionato mondiale di sci alpino del 2005, a Santa Caterina Valfurva (Sondrio), nel cuore del Parco nazionale dello Stelvio. Questo parco, istituito nel 1935, è uno dei più grandi e dei più antichi parchi naturali italiani con una ricca biodiversità alpina. Così facendo, l’Italia non ha rispettato le disposizioni della direttiva “Habitat” e della direttiva del 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici[7]. La sesta decisione riguarda il mancato rispetto dei requisiti della direttiva Seveso Ii[8]. Tale direttiva, il cui obiettivo è prevenire gli incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose e limitarne le conseguenze per la salute umana e per l’ambiente, sostituisce una precedente direttiva sullo stesso tema (la cosiddetta direttiva “Seveso I”, dal nome della città italiana in cui nel 1976 si è verificato il grave incidente industriale che aveva poi portato all’elaborazione della direttiva), ampliandone il campo di applicazione e prevedendo disposizioni più incisive. La legislazione italiana in materia non è sufficientemente rigorosa. In particolare, la direttiva impone infatti agli Stati membri di vietare l’avvio dell’attività degli impianti nel caso in cui le misure adottate per la prevenzione e la riduzione di incidenti gravi siano nettamente insufficienti, mentre la legislazione italiana lascia alle autorità competenti la facoltà di vietare o meno l’avvio dell’attività. La settima decisione riguarda il mancato rispetto, da parte dell’Italia, di un regolamento dell’Ue che limita (e, a termine, intende sopprimere) l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono[9]. Gli Stati membri devono in particolare indicare in quali zone e in che modo le sostanze che riducono lo strato di ozono (Cfc–clorofluorocarburi, Hcfc–idrobromofluorocarburi, halon e bromurodimetile) sono impiegati e quali provvedimenti siano stati presi per ridurre il loro impiego. L’italia non ha rispettato questo obbligo. L’ottava decisione riguarda la mancata attuazione da parte dell’Italia delle norme della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (direttiva Ippc) in relazione ai nuovi impianti attivati dopo l’entrata in vigore della direttiva, il 30 ottobre 1999. L’italia pertanto non sta attuando la direttiva Ippc[10] che disciplina il funzionamento di un gran numero di grossi impianti industriali agricoli che presentano un elevato potenziale inquinante. Essa istituisce un sistema di autorizzazioni che consente a impianti di questo genere di prevenire e ridurre in modo integrato, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo generato dalle loro attività. La nona decisione riguarda la normativa comunitaria concernente le acque. Come vari altri paesi, anche l’Italia ha omesso di recepire nel proprio ordinamento la direttiva quadro sulle acque[11] che costituisce l’elemento fondamentale della politica comunitaria di protezione delle risorse idriche e il quadro di riferimento per la tutela di tutti i tipi di corpi idrici nel territorio dell’Ue. La direttiva mira, tra l’altro, a proteggere e rafforzare lo stato delle risorse idriche, nonché a promuoverne un uso sostenibile, finalizzato alla protezione a lungo termine delle risorse idriche. Tale direttiva doveva essere recepita negli ordinamenti nazionali degli Stati membri entro il 22 dicembre 2003. L’ultima decisione riguarda il mancato recepimento completo nell’ordinamento italiano della direttiva sullo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra[12]; il termine ultimo per il recepimento di tale direttiva era il 31 dicembre 2003. Pareri motivati notificati all’Italia In tre casi, la Commissione ha inviato all’Italia degli “avvertimenti scritti finali”, detti pareri motivati, destinati a garantire il rispetto delle prescrizioni ambientali comunitarie. In assenza di un’adeguata risposta, la Commissione può decidere di deferire alla Corte i casi elencati qui di seguito. L’italia ha recepito la direttiva sullo scambio di emissioni, tuttavia non ha presentato un piano nazionale di assegnazione completo. Questi piani sono necessari per prevedere il numero di quote di emissioni di gas serra che l’Italia intende assegnare alle sue industrie in modo che queste possano partecipare al sistema comunitario di scambio delle emissioni che sarà avviato nel 2005. Nel luglio 2004 l’Italia ha presentato un piano incompleto che non soddisfaceva i requisiti della direttiva. Il secondo parere motivato riguarda la mancata trasmissione da parte dell’Italia di dati sull’inquinamento atmosferico per il 2002 per quanto riguarda la Calabria. Queste informazioni devono essere fornite ai sensi della direttiva sulla qualità dell’aria ambiente[13]. Il terzo parere motivato concerne un progetto di strada a scorrimento veloce a Imola per il quale è stato deciso che la valutazione di impatto ambientale (Via) era superflua, senza tenere conto dei suoi effetti cumulativi. Il progetto in questione prevede la modifica dell’asse stradale denominato “asse attrezzato” nel centro di Imola. In particolare la decisione di non effettuare una Via per quanto riguarda la parte settentrionale dell’asse attrezzato (1,1 km) è stata adottata senza tenere conto degli effetti cumulativi dell’intero progetto e di un altro progetto correlato riguardante l’ampliamento di un centro commerciale. Procedura nei casi di infrazione L’articolo 226 del trattato conferisce alla Commissione il potere di agire nei confronti di uno Stato membro che non rispetta gli obblighi a lui incombenti. Qualora ritenga che sia stata commessa una violazione del diritto comunitario tale da legittimare l’avvio di una procedura di infrazione, la Commissione invia allo Stato membro interessato una “lettera di costituzione in mora” (primo avvertimento scritto) invitandolo a presentare le sue osservazioni entro un termine preciso, solitamente di due mesi. Alla luce della risposta dello Stato membro (o in assenza di risposta) la Commissione può decidere di inviargli un “parere motivato” (ultimo avvertimento scritto) nel quale espone chiaramente e in via definitiva i motivi per cui ritiene che sia stata commessa una violazione del diritto comunitario ed invita lo Stato membro ad adempiere entro un termine preciso – solitamente di due mesi. Qualora lo Stato membro non si conformi al parere motivato, la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia delle Comunità europee. Qualora la Corte di giustizia stabilisca che si configura una violazione del trattato, lo Stato membro in questione sarà tenuto ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi alla normativa comunitaria. La Commissione, ai sensi dell’articolo 228 del trattato, ha facoltà di procedere contro lo Stato membro che non abbia preso i provvedimenti imposti dalla sentenza della Corte di giustizia, inviando nuovamente a detto Stato membro un primo avvertimento scritto (lettera di costituzione in mora) e quindi un secondo (e ultimo) avvertimento scritto, un parere motivato. Lo stesso articolo consente inoltre alla Commissione di chiedere alla Corte di irrogare allo Stato membro in questione una sanzione pecuniaria.  
     
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