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2004 anno 7°  

NOTIZIARIO
MARKETPRESS

WEB GIURIDICA
ED
ECONOMICA

contributi di
GIOVANNI SCOTTI

e mail  scottigio@tin.it

LUNEDI'
26  GENNAIO 2004

pagina 6

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classificazione delle attività economiche: Nuova tabella

Sulla Gazzetta ufficiale n. 301 del 30 dicembre 2003 è stato pubblicato il provvedimento del 23 dicembre 2003 del direttore dell'Agenzia delle entrate, che è entrato in vigore lo scorso 1° gennaio 2004. Il provvedimento approva la tabella, denominata Atecofin 2004, nella quale sono indicati tutti i codici-attività che i contribuenti dovranno indicare in atti e dichiarazioni da presentare all'Agenzia delle entrate dal 1° gennaio 2004.

Decreti Legislativi n. 231/01 e n. 201/03: Responsabilità amministrativa/penale delle imprese
Il Decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 ha regolamentato, per la prima volta nel nostro ordinamento, la responsabilità amministrativa/penale delle imprese (sia delle società, sia delle associazioni prive di personalità giuridica) per i reati di corruzione, concussione, indebita percezione di erogazioni pubbliche, truffa ai danni dello Stato o di altro ente pubblico, frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico e reati societari, commessi da amministratori, dirigenti, dipendenti nell’interesse o a vantaggio delle stesse. Dall’ambito di operatività del provvedimento restano esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti non economici e quelli che svolgono funzioni di rilevanza costituzionale come i partiti politici e i sindacati. Il Dr. Alessandro Delle Cese commercialista e consulente aziendale, ci ha chiarito che il Decreto legislativo n. 201/03, oltre a specificare quali sono i modelli organizzativi che consentono l’esonero della responsabilità, “fornisce anche le indicazioni necessarie alla stesura dei codici aziendali di comportamento, concludendo così l’iter legislativo, iniziato nel 2000, che regolamenta, definitivamente, la disciplina della responsabilità amministrativa delle società e delle associazioni”. Lo stesso Delle Cese sottolinea che “la responsabilità degli enti, che costituisce una vera e propria rivoluzione per il nostro sistema giuridico, formalmente definita amministrativa, di fatto, è penale. La responsabilità dell’ente è accertata con le regole del processo penale dallo stesso giudice competente a giudicare i reati dai quali la responsabilità delle imprese dipende”. Lo stesso giudice penale, che indaga sulla condotta di un amministratore che ha pagato ad una pubblica amministrazione una somma non dovuta per ottenere un appalto, aprirà un’ulteriore indagine parallela anche sull’impresa per accertare se la corruzione sia stata commessa a vantaggio o comunque nell’interesse della stessa. L’indagine servirà ad accertare se il fatto corruttivo sia riconducibile al solo amministratore, che ha agito nel suo esclusivo interesse, oppure se sussiste una “colpa organizzata” per cui l’amministratore ha attuato un disegno aziendale operando nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Decreti Legislativi n. 231/01 e n. 201/03: LE SANZIONI relative alla Responsabilità amministrativa/penale delle imprese
In caso di condanna, una volta acclarata la “colpa organizzata”, per cui l’amministratore ha attuato un disegno aziendale operando nell’interesse o a vantaggio dell’ente, questo potrà subire pesanti sanzioni che potranno essere evitate dimostrando di aver adottato modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati di corruzione, concussione e truffa da parte dei propri amministratori, dirigenti e dipendenti. Particolarmente afflittiva per un’impresa è la possibile interdizione dall’esercizio dell’attività che, però, potrà essere applicata solo se il giudice ritiene inadeguate le altre misure. La prosecuzione dell’attività potrà avvenire sotto la direzione di un commissario giudiziale, per lo stesso periodo di durata della misura se l’impresa svolge un servizio di pubblica necessità, dalla cui interruzione deriverebbe grave pregiudizio alla collettività, e se vi siano gravi ripercussioni sull’occupazione. Il profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività sarà in ogni caso confiscato. La prescrizione delle sanzioni amministrative è quinquennale e comincia a decorrere dal giorno di consumazione del reato. Il Dr. Alessandro Delle Cese, commercialista e consulente aziendale, ci ha ricordato che le misure interdittive non si applicano, o se già applicate in via cautelare sono revocate se, prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado, sussistano le seguenti tre condizioni: l’ente ha risarcito integralmente il danno o ha eliminato le conseguenze pericolose del reato, ovvero si è efficacemente adoperato in tal senso, l’ente ha eliminato le proprie carenze organizzative adottando modelli idonei a prevenire i reati della specie di quello commesso, l ’ente ha messo a disposizione il profitto per la relativa confisca. Con l’inversione dell’onere della prova, non spetta all’accusa provare l’esistenza di una “colpa organizzata”, ma spetta all’impresa dimostrare la sua estraneità ai fatti, provando la sussistenza di tutti i requisiti indicati dal provvedimento in esame:  
a) l’organo dirigente, prima della commissione del fatto illecito, ha adottato modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire il rischio della commissione di reati della specie di quello verificatosi;
b) ha affidato ad un organismo, dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, il compito di vigilare sul funzionamento, sull’osservanza nonché sull’aggiornamento degli stessi, compiti che negli enti di piccole dimensioni possono però essere svolti dallo stesso organo dirigente;
c) l’autore del reato ha eluso fraudolentemente i suddetti modelli;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo deputato al controllo della loro applicazione ed osservanza.
L’ente non risponde per i reati posti in essere dai subordinati quando è in grado di dimostrare che:
sono stati impiegati modelli idonei di prevenzione che permettano, in relazione alla natura e alle dimensioni dell’organizzazione, nonché alle caratteristiche dell’attività svolta, di compiere quest’ultima nel rispetto della legge e di eliminare le situazioni a rischio; l’attuazione dei modelli prevede una verifica periodica e l’eventuale loro modifica qualora siano scoperte violazioni significative, oppure in caso di cambiamenti nell’organizzazione o nell’attività; i modelli prevedono un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto di tali misure. In base all’art. 6, comma 2, i modelli organizzativi e gestionali (adottati dalle singole imprese sulla base dei codici di comportamento deliberati dalle associazioni di categoria e comunicati al Ministero della Giustizia, che, entro trenta giorni dalla comunicazione dei codici, potrà formulare eventuali osservazioni circa la loro idoneità) devono:
a) individuare attività nel cui ambito possono essere commessi reati (c.d. aree a rischio);
b) indicare specifici protocolli per programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di recupero e gestione delle risorse finanziarie destinate all’attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato alla vigilanza e all’osservanza del funzionamento dei modelli;
e) introdurre un adeguato sistema disciplinare per sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Il giudice non potrà limitarsi alla verifica dell’adozione o meno da parte dell’ente dei modelli organizzativi e di gestione ma dovrà soprattutto verificare in concreto se i modelli astrattamente costruiti siano stati ben attuati. Ferma restando l’ampia discrezionalità del giudice in materia, l’adozione di tali modelli, pur non essendo obbligatoria, costituisce l’unica via percorribile dalle imprese che non intendono incorrere in pesanti sanzioni che potrebbero addirittura, come detto, comportare l’interdizione dell’attività.

Decreti Legislativi n. 231/01 e n. 201/03: LINEE GUIDA DELLA CONFINDUSTRIA
La Confindustria ha varato le proprie Linee Guida, contenenti indicazioni e misure idonee a rispondere alle esigenze delineate dalla disciplina contenuta nei due provvedimenti. Lo schema delineato per la costruzione dei modelli prevede:
a) l’identificazione dei rischi in relazione ai reati che possono essere commessi: ossia l’analisi del contesto aziendale per evidenziare in quale settore/area di attività e secondo quali modalità si possono evidenziare eventi pregiudizievoli;
b) il progetto di un sistema di controllo preventivo: ossia la valutazione del sistema esistente all’interno dell’ente ed eventualmente il suo adeguamento, in termini di capacità di contrastare efficacemente i rischi identificati. Per la costruzione di un adeguato sistema di controllo preventivo è assolutamente determinante definire il rischio accettabile. E’ accettabile il rischio quando i controlli aggiuntivi costano più della risorsa da proteggere;
c) l’adozione di un codice etico e di un sistema di sanzioni disciplinari applicabili in caso di mancato rispetto delle misure previste dal modello;
d) l’individuazione di criteri per la scelta di un organismo di controllo, interno all’impresa, dotato delle funzioni necessarie (autonomia, indipendenza e professionalità), che dovrà vigilare sull’efficacia, sull’adeguatezza e sull’applicazione e rispetto del modello.
Le linee elaborate dalla Confindustria contengono anche indicazioni per adeguare i modelli alle esigenze delle Piccole e Medie Imprese per le quali le funzioni di vigilanza deputate all’organismo di controllo possono essere svolte dallo stesso organo dirigente che nell’assolvimento di tale compito potrà avvalersi di professionisti esterni ai quali affidare periodiche verifiche sull’efficacia e rispetto del modello. Le indicazioni fornite dalla Confindustria debbono essere poi adattate da ogni singola impresa: ogni modello organizzativo è efficace nella misura in cui tiene conto delle caratteristiche proprie dell’impresa cui si applica. Secondo il
Dr. Alessandro Delle Cese commercialista e consulente aziendale, “la soluzione più semplice dovrebbe consistere nella predisposizione da parte di ciascuna impresa del proprio modello di organizzazione e gestione alla luce delle proprie concrete caratteristiche, che possono essere simili, ma non identiche, a quelle delle imprese appartenenti alla medesima categoria”. La redazione del modello organizzativo e gestionale, infatti, non può prescindere dalla storia dell’ente, dalle sue dimensioni, dal contesto/settore economico, o ancora, dalla sfera geografica nella quale essa opera. Adottato il modello organizzativo e gestionale, che non è comunque obbligatorio, in caso di commissione di reato, sussistono notevoli benefici per le imprese: riduzione della sanzione pecuniaria, non applicazione della misura interdittiva, sospensione delle misure cautelari.

Codice della Strada: circolare giubbotti e bretelle retro-riflettenti
Per chi volesse essere sicuro di ciò che si appresta ad acquistare, segnaliamo che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha emanato la circolare esplicativa del Decreto ministeriale 30 dicembre 2003, recante le caratteristiche tecniche dei giubbotti e delle bretelle retro-riflettenti ad alta visibilità, che devono essere indossati dai conducenti dei veicoli, immatricolati in Italia, ai sensi dell'art. 162, comma 4-ter, del Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
La circolare, che potrà essere consultata nel sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, fornisce indicazioni in merito alle specifiche tecniche dell'indumento ad alta visibilità nonché informazioni sugli di organismi di controllo autorizzati dal Ministero delle Attività Produttive. Il singolo acquirente deve verificare che sul prodotto commercializzato sia apposta la marcatura CE di cui all'art. 12 del Decreto legislativo n. 475/92, attestante ala conformità alle disposizioni in vigore.

Codice della Strada: cronotachigrafo elettronico
Sulla Gazzetta ufficiale del 2 gennaio 2004, n. 1, è stato pubblicato il Decreto 31 ottobre 2003, n. 361 con il quale il Ministero delle Attività Produttive ha diramato le disposizioni applicative del Regolamento (CE) n. 2135/98 sul cronotachigrafo elettronico, che dovrebbe entrare in uso sui veicoli che saranno immessi in circolazione per la prima volta a partire dal mese di agosto del 2004. Lo stesso Ministero delle Attività Produttive sarà l'Autorità preposta al rilascio della scheda di omologazione dell'apparecchio e dei suoi componenti, prevista dal Regolamento (CE) n. 1360/02, nel quale sono riportate le specifiche tecniche del nuovo apparato. Il rilascio delle quattro carte tachigrafiche (rispettivamente del conducente, di controllo, dell'officina e dell'azienda) è demandato alle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, che hanno anche il compito di tenere appositi registri ed eserciteranno i poteri di accertamento e vigilanza sulla materia.

Gestione separata INPS dei parasubordinati: rimborso dei contributi
Il Comitato amministratore della Gestione separata Inps dei "parasubordinati" ha chiarito che coloro, che nel periodo 1996-2001 non hanno raggiunto il diritto alla pensione nella gestione separata, hanno diritto al rimborso dei contributi versati. Il Ministero del Lavoro, a sua volta, con lettera del 4 dicembre scorso seguito della Conferenza dei servizi con il Ministero dell'Economia, ha comunicato l'Inps può procedere alla restituzione dei contributi a domanda degli interessati.

Legge n. 215/92: sostegno imprenditoria femminile: concessione contributi c/capitale
L’art. 4, comma 85 della Legge 24 dicembre 2003, n. 350, la cosiddetta Legge Finanziaria 2004, dispone l'esclusione del solo 5° bando della Legge n. 215/92 (chiuso il 15 aprile 2003) dall'applicazione dell'art. 72 della Legge n. 289/02 (Legge Finanziaria 2003), in base al quale gli importi delle agevolazioni da concedere sotto forma di contributo nella spesa vengono trasformati per la metà sotto forma di contributo nella spesa e, per l'altra metà, sotto forma di finanziamento a tasso agevolato. Con la disposizione in esame è fatta salva, limitatamente al solo V bando, la tipologia di agevolazione nella forma di "contributo in conto capitale". Per i prossimi bandi della Legge n. 215 saranno applicate le disposizioni previste dall’art. 72 della Legge n. 289/02.

MOBBING: INCOSTITUZIONALITA' DELLA LEGGE REGIONE LAZIO
Con la sentenza n. 359, depositata il 19 dicembre 2003, la Corte costituzionale ha accolto il ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della legge della Regione Lazio 11 luglio 2002, n. 16, intitolata "Disposizioni per prevenire e contrastare il mobbing nei luoghi di lavoro". La Presidenza del Consiglio aveva contestato l'invasività e l'illegittimità costituzionale di tale legge, per violazione dell'art. 117, commi 2, lett. l) e g) e 3, Cost., nel testo modificato dalla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. I giudici della Consulta, esaminata nel merito la questione, hanno rilevato che, pur in assenza nel nostro ordinamento giuridico di una disciplina a livello di normazione primaria avente ad oggetto specifico il mobbing, i giudici sono stati chiamati più volte a pronunciarsi in controversie in cui tale fenomeno entrava a volte come fonte della pretesa al risarcimento del danno biologico – per patologie, soprattutto psichiche, che si affermavano causate da comportamenti vessatori e persecutori subiti nell'ambiente di lavoro da parte del datore di lavoro o di uno o più colleghi – a volte come elemento di valutazione di atti risolutivi del rapporto di lavoro, la cui qualificazione si faceva dipendere dall'accertamento di determinate condotte integranti il fenomeno in questione. La giurisprudenza ha, prevalentemente, ricondotto le concrete fattispecie di mobbing nella previsione dell'art. 2087 c.c., che è stato inteso come fonte di responsabilità anche contrattuale del datore di lavoro. La disciplina del mobbing, valutata nella sua complessità e sotto il profilo della regolazione degli effetti sul rapporto di lavoro, rientra nell'ordinamento civile (art. 117, comma 2, lettera l, Cost.) e, comunque, non può non mirare a salvaguardare sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti fondamentali del lavoratore (artt. 2 e 3, comma 1, Cost.). Per quanto riguarda l'incidenza che gli atti vessatori possono avere sulla salute fisica (malattie psicosomatiche) e psichica del lavoratore (disturbi dell'umore, patologie gravi), la disciplina che tali conseguenze considera rientra nella tutela e sicurezza del lavoro nonché nella tutela della salute, cui la prima si ricollega, quale che sia l'ampiezza che le si debba attribuire (art. 117, comma 3, Cost.). Alla luce di tali premesse, la Corte costituzionale ha ritenuto la legge regionale censurata costituzionalmente illegittima, in quanto fondata sul presupposto secondo cui le Regioni, in assenza di una specifica disciplina di un determinato fenomeno emergente nella vita sociale, abbiano in via provvisoria poteri illimitati di legiferare. Premesso che il legislatore regionale ha ritenuto di poter fornire autonomamente la nozione giuridica di un fenomeno che non è ignorato nel nostro ordinamento statale (pur non essendo ancora emerso come oggetto di una disciplina specifica) tuttavia, precisano i giudici, ciò non esclude che le Regioni possano intervenire, con propri atti normativi, anche con misure di sostegno idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi profili e a prevenirlo o limitarlo nelle sue conseguenze. Deve, viceversa, ritenersi certamente precluso alle Regioni – secondo la Corte - di intervenire, in ambiti di potestà normativa concorrente, dettando norme che vanno ad incidere sul terreno dei principi fondamentali, che è quanto si è verificato nel caso di specie. Sul punto non è stata, dunque, accolta la posizione espressa dalla Regione Lazio secondo cui "principi fondamentali" sono da intendere non certamente quei principi che andrebbe ad individuare in futuro lo Stato legiferando in materia – perché essi integrerebbero semmai una "disciplina generale", non richiamata dall'art. 117 Cost. – bensì quei principi che contraddistinguono l'ordinamento giuridico statale in quanto tale. In conclusione, per la Consulta , la legge regionale impugnata, contenendo nell'art. 2 una definizione generale del fenomeno mobbing che costituisce il fondamento di tutte le altre singole disposizioni, è evidentemente viziata da illegittimità costituzionale. Siffatta illegittimità si riverbera, dalla citata norma definitoria, sull'intero testo legislativo.

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