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Notiziario Marketpress di Lunedì 14 Giugno 2010
MANOVRA FINANZIARIA E FATTURA ELETTRONICA  
 
In merito alla notizia che la manovra finanziaria prevede l´obbligo dell´e-fattura sopra i 3.000 euro, Alessandro Perego, responsabile scientifico dell´Osservatorio della School of management.” ha spiegato quanto segue. “In questo periodo si parla moto di fatturazione telematica, spesso confondendola con la fatturazione elettronica. Sono però due concetti diversi, che vanno affrontati distintamente: la fatturazione elettronica, in qualsiasi formato strutturato (ad esempio, protocolli di Electronic data interchange – Edi - anche basati su linguaggi Xml), è uno strumento per creare valore nelle relazioni tra organizzazioni, portando benefici di efficienza (da 5 a 8 euro a fattura), aumentando l’efficacia dei processi e di conseguenza, nel complesso, la competitività del nostro Sistema Paese. Ed è naturalmente anche uno strumento in grado di supportare – attraverso semplici accorgimenti – la tracciabilità di fatture e pagamenti a vantaggio di chi “deve fare i controlli. La fattura telematica, invece, può limitarsi ad essere uno strumento di supporto alla tracciabilità di fatture e pagamenti – e quindi soprattutto un “peso” amministrativo per molte imprese: è dunque importante che, in questa fase, si pongano basi solide affinchè la fattura telematica rappresenti soprattutto un efficace stimolo verso lo sviluppo di relazioni telematiche ed elettroniche tra imprese e verso la Pa”. La norma varata dal governo non prevede quindi lo scambio di fatture fra le aziende ma un normale invio di dati in formato elettronico all´Agenzia delle Entrate. Le modalità dell´invio sono poi ancora da definire. Come osserva Perego potrebbe riguardare pochi dati, magari inviati via fax, oppure imputati in un portale. Più un aggravio di lavoro per le aziende, quindi, che uno stimolo verso l´adozione della fattura elettronica per la quale da due anni si aspetta il varo dei decreti attuativi per quanto riguarda il suo utilizzo nella Pubblica amministrazione  
   
   
GIORNATA DELL’INNOVAZIONE: PER LA PRIMA VOLTA PREMIATO IL MADE IN ITALY SULLA CONVERGENZA TRA IT, TLC E CONTENUTI DIGITALI  
 
La convergenza fra tecnologie informatiche, telecomunicazioni, contenuti multimediali come nuova frontiera dell’innovazione digitale, da cui nascono i nuovi servizi e i nuovi modelli di business. E’ questo il significato della prima edizione del “Premio per l’innovazione nell’Information Communication & Media Technology” (Icmt), promosso da Confindustria, Servizi Innovativi e Tecnologici, nell’ambito del Premio Imprese x Innovazione di Confindustria. Le imprese vincitrici sono state premiate al Quirinale alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, nel corso della cerimonia per la consegna del Premio dei Premi che si tiene ogni anno in occasione della Giornata dell’Innovazione. “L’istituzione del Premio per l’innovazione nell’Icmt vuole rappresentare uno stimolo per la diffusione su larga scala delle tecnologie e servizi digitali, processo che consideriamo cruciale per accelerare la crescita della nostra economia– afferma Stefano Pileri, presidente di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, sottolineando che “la convergenza fra piattaforme tecnologiche e contenuti digitali è risultata un tema su cui si stanno misurando molte nostre imprese. Il successo di questa prima edizione evidenzia come sull’innovazione digitale si stia affermando un nuovo made in Italy tecnologico destinato ad assumere un valore strategico per il Paese e che auspichiamo venga sostenuto e valorizzato attraverso una nuova stagione di politiche per lo sviluppo”. Non è stato facile per la giuria estrarre la rosa dei vincitori. Tutti i progetti candidati, infatti, hanno superato le aspettative, proponendo soluzioni uniche e integrate che si distinguono per l’alto livello di creatività, per i criteri progettuali avanzati in termini di convergenza tecnologica e per costituire un forte stimolo alla competitività del settore dei servizi innovativi e tecnologici, dall’informatica alla comunicazione e marketing, dalle Tlc alla produzione di contenuti digitali, ai servizi integrati per l´ambiente, l´energia, la qualità. La giuria ha assegnato 3 premi e 5 menzioni speciali per l’innovazione nell’Information Communication & Media Technology. I premi, consegnati al Quirinale dal Ministro Brunetta e alla presenza del Capo dello Stato sono: Premio Icmt 2010 convergenza Tlc-driven assegnato a My Doctor@home di Telecom Italia per “la rilevanza sociale dell’applicazione e per l’ampiezza dell’integrazione realizzata sia nella convergenza tecnologica che a livello di servizio”; Premio Icmt 2010 convergenza It-driven, assegnato a Pharos della società Engineering per “l’importante lavoro di sviluppo e sperimentazione, condotto a livello europeo, e per il contenuto di innovazione creativa che porta nel mondo dei contenuti digitali”; Premio Icmt 2010 convergenza Media-driven assegnato a Hyper Media News della Rai per “l’approccio innovativo con cui viene affrontata la convergenza tra differenti tipologie di contenuto e per il contributo ad un settore di rilevanza cruciale qual è quello dell’informazione”. A questi si affiancano le seguenti menzioni speciali: alla best practice Mocas, dell’azienda Aditech di Ancona, per la Sanità Digitale; alla best practice E-health Center, dell’azienda Tesan di Vicenza, per la Telemedicina; alla best practice Uffizi Touch, dell’azienda Centrica di Firenze, per Beni culturali e Turismo; alla best practice Webrep, dell’azienda Drake di Milano, per il Marketing e Comunicazione; alla best practice E-cube, dell’azienda Telecom Italia, per l’Efficienza energetica  
   
   
TELEFONINI: INTERNET +17% IL FATTURATO  
 
Lo scorso 7 giugno 2010 si è svolto presso l’Aula de Carli del Campus Bovisa del Politecnico di Milano il Convegno “Mobile Content & Internet: in gioco nuovi business model”, promosso dall´Osservatorio Mobile Content & Internet della School of Management del Politecnico di Milano (http://www.osservatori.net/ ) in collaborazione con l´Ict Institute e il Mef - Mobile Entertainment Forum. (*) Nel 2009 i ricavi degli operatori di telefonia derivanti dai servizi di telecomunicazione mobile sono diminuiti del 3%, passando in termini assoluti da 21.759 a 21.135 Milioni di Euro, per effetto di dinamiche di segno contrastante. Da un lato, aumentano i servizi di connettività mobile a banda larga relativi sia ai telefonini, il cosiddetto Mobile Internet, che cresce del 17%, sia alle Internet Key e Connect Card per notebook e netbook, che crescono del 26%. Dall’altro lato, diminuiscono i servizi più tradizionali come voce (-4%) e messaggistica sms/mms (-2%), ma anche i servizi più innovativi – e più lontani dal Dna delle Telco – come la vendita di Mobile Content (informazioni, giochi, video, musica, loghi, suonerie, ecc.) e la raccolta pubblicitaria (Mobile Advertising). “Questi numeri - ha dichiarato Filippo Renga, Responsabile Ricerca Mobile Content & Internet della School of Management del Politecnico di Milano - evidenziano chiaramente la strada maestra su cui gli operatori di telefonia mobile stanno puntando: se fino a ieri sembravano voler presidiare direttamente anche l’offerta di contenuti e la gestione della pubblicità sul canale Mobile, oggi preferiscono puntare a generare ricavi dalla Mobile broadband, ed in particolare dalla sua componente più innovativa rappresentata dal Mobile Internet. Si è, infatti, oramai innescato nel mercato del Mobile Internet un circolo virtuoso spinto da diversi fattori: l’introduzione da parte di tutti gli operatori di interessanti piani tariffari Flat (+68% di ricavi da Tariffe Flat nel 2009); i notevoli investimenti in comunicazione verso il mercato; gli accordi tra gli operatori di telefonia e i principali brand del Web (social network, in particolare); la sempre maggiore diffusione di smartphone con una buona capacità di navigazione. Questi fattori spingono un numero crescente di utenti verso il Mobile Internet (abbiamo già superato i 10 milioni di utenti unici al mese), inducendo a loro volta un numero sempre maggiore di Content provider (Web Company, Media Company, ecc.) a sviluppare un’offerta di contenuti ottimizzata per la fruizione in mobilità.” A fronte di questo buon andamento del Mobile Internet, crolla, invece, del 20% la vendita dei contenuti per cellulari per effetto di fenomeni opposti: il declino di alcuni comparti di offerta più tradizionali (come i loghi, le suonerie, i giochi java, i servizi Sms di Infotainment, ecc.), che bruciano nel 2009 oltre 160 milioni di euro; la notevole crescita dei nuovi comparti di offerta abilitati dal paradigma del Mobile Internet e degli Application store, che generano tuttavia ricavi ancora estremamente contenuti in valore assoluto (ben poche decine di milioni di euro). Ma al di là dei piccoli numeri in gioco, il nuovo paradigma del Mobile Internet e degli Application store si sta rivelando un potente laboratorio di innovazione digitale, in cui stanno avvenendo alcune importanti sperimentazioni di nuovi modelli di business: il lancio delle applicazioni a pagamento, le prime forme pay di abbonamento all’utilizzo delle applicazioni, l’uso dell’in-app billing per fare acquistare contenuti o servizi aggiuntivi all’interno delle applicazioni, i primi modelli di offerta freemium su Mobile Internet (basati sui sistemi di billing degli operatori) e la vendita di pubblicità nelle applicazioni. Questi nuovi modelli di business sono abilitati dalle importanti trasformazioni in atto nel mondo degli smartphone, in cui si sono affermate come nuovi protagonisti culturali aziende molto diverse da quelle tradizionali: Apple, in primis, che, con il lancio dell’iPhone, ha dato inizio al nuovo paradigma del Mobile Internet e degli Application store, e Google, che con il sistema operativo Android, ha fatto il suo ingresso “prepotente” nel mondo Mobile. “Siamo convinti - ha concluso Andrea Rangone, Responsabile Scientifico Osservatorio Mobile Content & Internet della School of Management del Politecnico di Milano - che tutte queste innovazioni che stanno avvenendo in ambito Mobile, sia a livello di modelli di business che di soluzioni tecnologiche, condizioneranno pesantemente nei prossimi anni anche il mondo dell’Internet “tradizionale”: basti pensare che, con il lancio dell’iPad, il modello degli Application store viene introdotto anche nel comparto dei notebook e dei netbook, con conseguenze – ne siamo convinti – rivoluzionarie nei prossimi anni. Guardano con particolare attenzione a queste innovazioni le aziende Media che, dopo aver “bruciato” nel 2009 oltre 2 miliardi di euro nei comparti tradizionali (carta stampata, Tv analogica, ecc.), sperano ora di trovare nei nuovi canali digitali nuove fonti di ricavo, sia dalla vendita di contenuti premium che da nuovi formati di pubblicità.” (* ) L’edizione 2010 dell´Osservatorio è stata realizzata in collaborazione con l’Ict Institute e il Mef – Mobile Entertainment Forum e con il supporto di: 3 Italia, Assocsp – Associazione dei Content Service Providers, Buongiorno, comScore, Dada, David2, Doxa, Ericsson, Gfk Retail and Technology Italia, Il Sole 24 Ore, Interactive Media, Gruppo Editoriale L’espresso – Divisione Digitale, Mag Consulenti Associati, mBlox, Neo Network, Neomobile, Qualcomm, Rai, Rcs Digital, Reply, Rti Interactive Media, Seat Pagine Gialle, Shinystat, Sky Italia, T-net Consulting, Technoconsumer, Gruppo Telecom Italia, Ubiquity, Vodafone Italia, Wind Telecomunicazioni  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: CONFERMA VALIDITÀ TARIFFE ROAMING  
 
Il regolamento sul roaming è valido. La Comunità poteva legittimamente imporre, nell´interesse del mercato interno, limiti massimi ai prezzi fatturati dagli operatori di telefonia mobile per le chiamate in roaming. Il Regolamento (Ce) 27 giugno 2007, n. 717, relativo al roaming sulle reti pubbliche di telefonia mobile all´interno della Comunità - che modifica la direttiva 2002/21/Ce - fissa prezzi massimi che possono essere fatturati dagli operatori di telefonia mobile per le chiamate vocali ricevute ed effettuate da un utente al di fuori della loro rete. Il regolamento impone parimenti un tetto massimo per i prezzi di roaming all´ingrosso, vale a dire il prezzo corrisposto dalla rete di appartenenza del consumatore alla rete straniera da questi utilizzata. Il regolamento è stato emanato sulla base dell´art. 95 del Trattato Ce, che consente alla Comunità di adottare misure legislative ai fini del ravvicinamento delle normative degli Stati membri in caso di disparità o di disparità potenziali idonee ad ostacolare la realizzazione o il funzionamento del mercato interno. Il regolamento prevedeva, nel suo testo originale, che la sua vigenza scadesse il 30 giugno 2010. Nel giugno del 2009 il regolamento n. 717/07 è stato modificato da un nuovo Regolamento (Ce) 18 giugno 2009, n. 544. Quattro dei principali operatori di telefonia mobile europei, vale a dire Vodafone, Telefónica O2, T‑mobile e Orange hanno contestato la validità del regolamento sul roaming dinanzi alla High Court of Justice of England and Wales. Il detto giudice ha chiesto alla Corte di giustizia se la Comunità potesse legittimamente adottare il regolamento sulla base dell´art. 95 Ce, e se, fissando prezzi massimi al dettaglio, il legislatore comunitario avesse violato i principi di sussidiarietà e/o di proporzionalità. In primo luogo, la Corte osserva che il regolamento ha effettivamente ad oggetto il miglioramento delle condizioni di funzionamento del mercato interno e che esso poteva essere adottato sul fondamento dell´art. 95 Ce. In tale contesto, la Corte rileva che il livello dei prezzi al dettaglio dei servizi di roaming internazionale, all´epoca dell´adozione del regolamento, era elevato e che il rapporto tra costi e prezzi non era quello che avrebbe dovuto sussistere in mercati pienamente competitivi. Tale elevato livello dei prezzi era stato considerato quale problema persistente da parte dei pubblici poteri nonché delle associazioni di difesa dei consumatori in tutta la Comunità e i tentativi intrapresi per risolvere tale problema sulla base del quadro normativo esistente non avevano prodotto l´effetto di far scendere i prezzi. Inoltre, sugli Stati membri veniva esercitata pressione affinché adottassero misure volte a risolvere il problema. Ciò premesso, il legislatore comunitario si è concretamente trovato di fronte ad una situazione in cui appariva probabile l´adozione di misure nazionali eterogenee volte a far scendere i prezzi al dettaglio, senza influire sui prezzi all´ingrosso. Uno sviluppo di tal genere avrebbe tuttavia potuto causare sensibili distorsioni della concorrenza e perturbare il buon funzionamento del mercato del roaming intracomunitario, il che legittimava l´adozione di un regolamento sulla base dell´art. 95 Ce al fine di tutelare il buon funzionamento del mercato interno. In secondo luogo, per quanto attiene alla proporzionalità del regolamento nella parte in cui non fissa solo tetti massimi per i prezzi all´ingrosso, bensì parimenti per i prezzi al dettaglio, la Corte rileva che i prezzi massimi al dettaglio potrebbero essere considerati idonei e necessari per proteggere i consumatori contro livelli di prezzo elevati. La Corte rammenta che la Commissione ha realizzato, anteriormente alla proposta di regolamento, uno studio esaustivo delle alternative esistenti, valutando l´impatto economico delle varie forme di regolamentazione. Il livello del prezzo medio di una chiamata in roaming nella Comunità all´epoca dell´adozione del regolamento era elevato (1,15 Eur al minuto, vale a dire oltre il quintuplo del costo reale della fornitura del servizio all´ingrosso) e il rapporto tra i costi e i prezzi non era quello che avrebbe dovuto sussistere in mercati pienamente competitivi. La tariffa prevista dal regolamento è nettamente inferiore a tale prezzo medio ed è correlata ai tetti massimi di prezzo all´ingrosso, per far sì che le tariffe al dettaglio riflettano in modo più aderente i costi sopportati dai fornitori. Inoltre, il legislatore comunitario poteva legittimamente ritenere che una regolamentazione dei soli mercati all´ingrosso non avrebbe prodotto lo stesso risultato del regolamento. Una riduzione dei prezzi all´ingrosso non avrebbe necessariamente garantito una diminuzione dei prezzi al dettaglio, atteso che gli operatori non avrebbero subito alcuna pressione concorrenziale, considerato che, per la maggioranza dei consumatori, il roaming non svolge un ruolo decisivo nella scelta dell´operatore. Inoltre, una regolamentazione dei soli prezzi all´ingrosso non avrebbe prodotto effetti diretti ed immediati per i consumatori. La Corte rileva, infine, che le misure adottate rivestono carattere eccezionale, cosa giustificata dalle caratteristiche uniche che contraddistinguono i mercati del roaming. Ciò premesso, un intervento limitato nel tempo su un mercato soggetto alla concorrenza e che consenta di assicurare, nell´immediato, la tutela dei consumatori contro prezzi eccessivi, come quello di cui trattasi, ancorché sia idoneo a produrre conseguenze economiche negative per taluni operatori, si rivela proporzionato rispetto all´obiettivo perseguito. In terzo luogo, la Corte esamina il regolamento con riguardo al principio di sussidiarietà, secondo cui la Comunità può agire solamente qualora gli Stati membri non siano in grado di conseguire lo stesso obiettivo in modo adeguato. La Corte conclude che, alla luce dell´interdipendenza tra i prezzi al dettaglio e i prezzi all´ingrosso, il legislatore comunitario poteva legittimamente ritenere necessario un approccio comune a livello comunitario per garantire il funzionamento armonizzato del mercato interno, consentendo così agli operatori di agire nell´ambito di un unico contesto normativo coerente. (Sentenza della Corte di giustizia Ue nella causa C-58/08 Vodafone e a. / Secretary of State for Business, Enterprise and Regulatory Reform)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: SITO DI IMPORTANZA COMUNITARIA IS ARENAS - SARDEGNA  
 
Il sito sardo «Is Arenas» appartiene alla regione biogeografica mediterranea e si estende per 1 283 ettari nella provincia di Oristano e, precisamente, nei comuni di Cuglieri, di Narbolia e di San Vero Milis. Per la presenza dell’habitat naturale prioritario «2270 Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster», esso è stato proposto come Sic (Sito di Importanza Comunitaria) nel 1995 ed è stato iscritto con la decisione della Commissione 2006/613/Ce nel relativo elenco. Nel 2000, dopo aver preso conoscenza del progetto del complesso turistico e immobiliare previsto tra la società Is Arenas, il Comune di Narbolia e la Regione e consistente nella realizzazione di un campo da golf nonché di un complesso alberghiero e residenziale, la Commissione segnalava all´Italia la violazione della direttiva «habitat». Le autorità nazionali hanno quindi sospeso le procedure di autorizzazione e i lavori di realizzazione del progetto immobiliare, anche se la realizzazione del campo da golf, autorizzata nel 1999 dal Comune di Narbolia, era ormai terminata. Tale Comune ha peraltro in seguito autorizzato il progetto del complesso turistico, in seguito ad una valutazione delle incidenze. Nel 2004, ritenendo che la valutazione delle incidenze non fosse stata correttamente effettuata, la Commissione ha inviato una lettera di diffida complementare. A suo parere, la proposta di ridurre la superficie del sito «Is Arenas», al fine di escluderne le zone del complesso turistico e immobiliare, non poteva essere accettata. Nel 2007, la Commissione, ritenendo che i lavori continuavano sulla base del progetto originario in violazione della direttiva «habitat», inviava una nuova lettera di diffida. La Corte ricorda che, per i siti atti ad essere individuati quali Sic, compresi negli elenchi nazionali trasmessi alla Commissione, gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure di salvaguardia idonee a salvaguardare il loro interesse ecologico e non possono autorizzare interventi che rischiano di comprometterne le caratteristiche ecologiche. Risulta che i lavori hanno avuto inizio nel 2005 ed erano sempre in corso alla data dell’iscrizione del sito nell’elenco dei Sic: la Repubblica italiana non ha quindi adottato, prima della data dell’iscrizione del sito nell’elenco dei Sic, misure di conservazione idonee. Per la situazione successiva all’iscrizione nell’elenco dei Sic (2006), risulta che i lavori per la realizzazione del complesso sono proseguiti oltre il termine di due mesi fissato nel parere motivato complementare del 29 febbraio 2008 e sono stati condotti sulla base del progetto originario. Anche il piano di gestione provvisorio del Sic «Is Arenas», elaborato dalle autorità italiane nel 2006, è stato approvato solo con delibera della Regione Sardegna nell´aprile 2009, dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato complementare. La Repubblica italiana è quindi venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva «habitat» non avendo adottato, prima del 19 luglio 2006, misure idonee a proteggere l’interesse ecologico del sito proposto e, dopo il 19 luglio 2006, misure appropriate al fine di evitare il degrado degli habitat naturali per i quali il sito è stato designato. Sempre sulla direttiva 1992/43/Ce, è attualmente pendente la causa C-2/10, Azienda Agro-zootecnica Franchini s.A.r.l, e Eolica di Altamura s.R.l., contro Regione Puglia, circa il divieto assoluto di installare impianti eolici in siti Sic e Zps (ex direttiva 1992/43/Ce e 1979/409/Ce), previsto dal regolamento regionale della Regione Puglia, in assenza del Piano regolatore degli impianti eolici. Sentenza 10 giugno 2010 nella causa C-491/08 (Siti di importanza comunitaria – Complesso turistico “Is Arenas)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LAVORATORI PART-TIME E CALCOLO DELL´ANZIANITÀ NECESSARIA PER LA PENSIONE  
 
I signori Tiziana Bruno, Massimo Pettini e.A. Fanno parte del personale di volo di cabina della compagnia aerea Alitalia. Lavorano a tempo parziale, secondo la formula denominata «tempo parziale di tipo verticale ciclico». Il dipendente lavora solamente per alcune settimane o per alcuni mesi all’anno, con orario pieno o ridotto. Il tempo parziale di tipo verticale ciclico è la sola modalità di lavoro a tempo parziale prevista dal contratto collettivo. I lavoratori lamentano che l’Inps consideri quali periodi contributivi utili per l’acquisizione dei diritti alla pensione solo i periodi lavorati, escludendo i periodi non lavorati corrispondenti alla loro riduzione d’orario rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili. L’inps afferma che i periodi di contribuzione pertinenti ai fini del calcolo delle prestazioni pensionistiche sono quelli nel corso dei quali i soggetti hanno effettivamente lavorato e che hanno comportato una retribuzione nonché il versamento di contributi, e che tale calcolo è effettuato pro rata temporis. La Corte chiarisce innanzitutto che il calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto ad una pensione come quelle di cui trattasi è disciplinato dalla direttiva 97/81, sull´accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, trasposta in Italia con d.Lgs. 61/2000, anche per quanto riguarda i periodi di attività precedenti alla sua entrata in vigore. Il divieto di discriminazione sancito dall´accordo quadro altro non è che l’espressione specifica del principio generale di uguaglianza, che rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto dell’Unione. Per un lavoratore a tempo pieno, il periodo di tempo preso in considerazione per calcolare l’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione coincide con quello del rapporto di lavoro. Per contro, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, l’anzianità non viene conteggiata sulla stessa base, poiché essa è calcolata sulla sola durata dei periodi effettivamente lavorati, tenuto conto della riduzione degli orari di lavoro (un lavoratore a tempo pieno beneficia, per un periodo d’impiego di dodici mesi consecutivi, di un anno di anzianità mentre ad un lavoratore che abbia optato, secondo la formula del tempo parziale di tipo verticale ciclico, per una riduzione del 25% del suo orario di lavoro, sarà accreditata, per lo stesso periodo, un’anzianità pari al 75% soltanto di quella del suo collega che lavora a tempo pieno). Ne consegue che, sebbene i loro contratti di lavoro abbiano una durata effettiva equivalente, il lavoratore a tempo parziale matura l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione con un ritmo più lento del lavoratore a tempo pieno. Si tratta quindi di una differenza di trattamento basata sul solo motivo del lavoro a tempo parziale. Sia l’Inps che il governo italiano allegano che i lavoratori a tempo pieno e quelli a tempo parziale di tipo verticale ciclico non sono in situazioni comparabili. I lavoratori rientranti in ciascuna di queste categorie acquisiscano rispettivamente solo l’anzianità corrispondente ai periodi effettivamente lavorati. I datori di lavoro versano i contributi previdenziali unicamente sui periodi lavorati e che, quanto ai periodi non lavorati, il diritto italiano riconosce a tutti i lavoratori a tempo parziale la possibilità di riscattare crediti di anzianità su base facoltativa. La Corte ha già avuto occasione di dichiarare che il diritto dell’Unione non osta al calcolo di una pensione effettuato secondo la regola del pro rata temporis in caso di lavoro ad orario ridotto. Infatti, la considerazione della quantità di lavoro effettivamente svolta da un lavoratore a tempo parziale durante la sua carriera, paragonata a quella di un lavoratore che abbia svolto durante tutta la sua carriera la propria attività a tempo pieno, costituisce un criterio obiettivo che consente una riduzione proporzionata delle sue spettanze. Per contro, il principio del pro rata temporis non è applicabile alla determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende esclusivamente dall’anzianità contributiva maturata dal lavoratore. Questa anzianità corrisponde, infatti, alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione stessa. Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno implica quindi che l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati. La differenza di trattamento è ulteriormente accentuata dal fatto che il tempo parziale di tipo verticale ciclico è la sola modalità di tempo parziale offerta al personale di cabina dell’Alitalia, in forza del contratto collettivo. Ne consegue che la normativa italiana tratta i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo pieno comparabili. La giustificazione invocata dall’Inps e dal governo italiano che "il contratto a tempo parziale di tipo verticale ciclico viene considerato come sospeso durante i periodi non lavorati, in quanto non viene pagata alcuna retribuzione, né vengono versati contributi" non risulta, per la Corte, fondata. Infatti, ai sensi dell´accordo, i periodi non lavorati discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla sua sospensione. Il lavoro a tempo parziale non implica un’interruzione dell’impiego. La Corte statuisce quindi che la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive. La Corte ricorda infine che l’accordo quadro persegue la duplice finalità di promuovere il lavoro a tempo parziale e di eliminare le discriminazioni tra i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori a tempo pieno. Esso obbliga gli Stati membri a identificare, esaminare ed eliminare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale. Sentenza del 10 giugno 2010 nelle cause riunite C-395/08 e C-396/08  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: POTREBBERO COSTITUIRE AIUTI DI STATO LE SOVVENZIONI CONCESSE A TIRRENIA TRA IL 1976 ED IL 1980  
 
Le sovvenzioni di cui ha beneficiato Tirrenia dal 1976 al 1980 non ricoprono i presupposti necessari per non essere considerate aiuti di Stato. Spetterà al giudice di rinvio determinare se Tirrenia era in concorrenza con imprese di altri Stati membri e se, pertanto, tali sovvenzioni costituivano aiuti di Stato che incidevano sugli scambi tra Stati membri. Traghetti del Mediterraneo (Tdm) e Tirrenia effettuavano, negli anni ’70, regolari collegamenti via mare tra l’Italia continentale e le isole della Sardegna e della Sicilia. Nel 1981, la Tdm ha citato la Tirrenia in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli al fine di ottenere il risarcimento del danno che essa avrebbe subíto a causa della politica di prezzi bassi praticata Tirrenia negli anni 1976‑1980. Essa sosteneva, in particolare, che la Tirrenia aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato in questione, praticando tariffe notevolmente inferiori al prezzo di costo grazie al conseguimento di sovvenzioni pubbliche la cui legittimità era dubbia alla luce del diritto dell’Unione.la domanda della Tdm è stata respinta (2000) financo dalla Corte di cassazione, la quale ha in particolare rifiutato di adire la Corte di giustizia Ue in via pregiudiziale. Nel 2002, il curatore del fallimento della Tdm, nel frattempo messa in liquidazione, ha convenuto la Repubblica italiana davanti al Tribunale di Genova al fine di ottenere il risarcimento del danno subíto a causa degli errori di interpretazione delle norme dell’Unione di materia di concorrenza e di aiuti di Stato commessi dalla Corte di cassazione. Il Tribunale ha sottoposto alla Corte la domanda di pronuncia pregiudiziale che ha dato origine alla sentenza Traghetti del Mediterraneo (C-173/03, V. Anche Comunicato Stampa), nella quale la Corte ha affermato che Il diritto comunitario ostava ad una legislazione nazionale che escludesse, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado. In seguito a tale pronuncia, il Tribunale ha constatato «la sussistenza dell’illecito commesso dallo Stato Giudice» ed ha ordinato la prosecuzione del giudizio. È a tale stadio della procedura che, interrogandosi sull’interpretazione delle norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato, il Tribunale di Genova ha rinviato nuovamente alla Corte di Giustizia Ue per domandarle in via pregiudiziale se il comportamento tenuto a suo tempo dalla Tirrenia, in conseguenza delle sovvenzioni in questione, abbia falsato o meno il gioco della concorrenza nel mercato comune. In particolare, il Tribunale di Genova si interroga sulla legittimità di aiuti di Stato, concessi a titolo di acconti, in assenza di criteri precisi e stringenti tali da evitare che la corresponsione dell’aiuto possa falsare la concorrenza. Nella sentenza resa quest´oggi la Corte ricorda che un intervento statale non costituisce un aiuto di Stato qualora esso rappresenti la compensazione corrispondente alla contropartita delle prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per assolvere obblighi di servizio pubblico, di modo che tali imprese non traggono, in realtà, un vantaggio finanziario e il suddetto intervento non ha quindi l’effetto di collocarle in una posizione concorrenziale più favorevole rispetto alle imprese concorrenti. Tuttavia, a tal fine, devono ricorrere taluni presupposti. In particolare, l’impresa beneficiaria di una tale compensazione deve essere effettivamente incaricata dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico, i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente e la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico. In seguito la Corte constata che le sovvenzioni erano destinate alla prestazione di servizi di collegamento con le isole italiane maggiori e minori, i quali dovevano assicurare il soddisfacimento delle esigenze connesse con lo sviluppo economico e sociale delle aree interessate e, in particolare, del Mezzogiorno. Le convenzioni stipulate con le imprese beneficiarie dovevano prevedere obblighi riguardanti i collegamenti da garantire, la frequenza di tali collegamenti e i tipi di nave da destinare a ciascuno di questi. Ne consegue che le imprese beneficiarie erano incaricate dell’esecuzione di obblighi di servizio pubblico. Tuttavia tali convenzioni sono state stipulate solo nel mese di luglio 1991. Ne risulta che durante tutto il periodo che va dal 1976 al 1990, le sovvenzioni sono state versate senza che fossero chiaramente definiti gli obblighi di servizio pubblico posti a carico delle imprese beneficiarie, senza che fossero previamente stabiliti, in modo obiettivo e trasparente, i parametri sulla base dei quali era calcolata la compensazione di tali obblighi, e senza garantire che tale compensazione non eccedesse quanto necessario per coprire i costi originati dall’adempimento degli obblighi suddetti. Le convenzioni non ricoprivano dunque nessuno dei presupposti necessari affinché una compensazione per l’adempimento di obblighi di servizio pubblico possa sottrarsi, a motivo dell’assenza di un vantaggio concesso all’impresa interessata, alla qualifica di aiuto di Stato ai sensi del diritto dell’Unione. Inoltre, la Corte rileva che non può escludersi che la Tirrenia fosse in concorrenza con imprese di altri Stati membri sulle linee interne, cosa che spetta al giudice di rinvio verificare. D´altro canto, non si può neppure escludere che la Tirrenia si trovasse in una situazione di concorrenza con tali imprese su linee internazionali e che, mancando una contabilità separata per le sue diverse attività, vi sia stato un rischio che gli introiti ricavati dalla sua attività di cabotaggio beneficiante delle sovvenzioni siano stati utilizzati a vantaggio di attività da essa svolte sulle dette linee internazionali, cosa che spetta, del pari, al giudice del rinvio verificare. La Corte conclude pertanto che delle sovvenzioni corrisposte in virtù di una normativa nazionale che prevede il versamento di acconti prima dell’approvazione di una convenzione, costituiscono aiuti di Stato qualora siano idonee ad incidere sugli scambi tra Stati membri e falsino o minaccino di falsare la concorrenza, cosa che spetta al giudice nazionale verificare. (Sentenza del 10 giugno 2010 nella causa C-140/09)  
   
   
ROMA CAPITALE DEGLI EDITORI EUROPEI: IL 10 E 11 GIUGNO VERTICE DELLA FEDERAZIONE DEGLI EDITORI EUROPEI  
 
Termina la presidenza italiana di Federico Motta; il testimone passa all’Irlanda. Sarà un vertice dell’editoria europea a Roma a concludere formalmente la presidenza italiana della Federazione degli Editori Europei (Fee-fep). Giovedì 10 e venerdì 11 giugno Roma si trasformerà infatti nella capitale dell’editoria europea per l’assemblea generale della Federazione, che rappresenta dal 1967 gli interessi di 26 diverse associazioni nazionali di editori europei presso le istituzioni europee e lo spazio economico europeo. L’appuntamento romano, organizzato dall’Associazione Italiana Editori (Aie), segna per la Fee un serrato momento di dibattito e confronto sui grande temi dell’editoria internazionale (dallo stato del diritto d’autore all’avanzamento del progetto europeo Arrow, da Google Books all’Iva ridotta per gli ebook), ma anche la fine del mandato biennale per Federico Motta, già presidente di Aie e oggi membro del comitato di presidenza dell’Associazione degli editori italiani, che passerà il testimone al collega irlandese Fergal Tobin. Motta è stato il quarto italiano nella storia dell’editoria ad assumere l’incarico di presidente in ambito europeo: “Una grande responsabilità e un grande onore non solo per me ma per tutta l’editoria italiana – ha commentato Motta in vista dell’appuntamento di domani – Due i grandi obiettivi del mio mandato: una posizione determinata di tutela del diritto d’autore e di contenimento del progetto di Google Books, per aprire a soluzioni diverse come il progetto europeo Arrow. E un consolidamento del ruolo della Federazione nei rapporti con il mondo politico e istituzionale di Bruxelles. Il lavoro, su entrambi i fronti, è stato intenso e resta ancora molto lungo ma cominciamo a intravedere i primi risultati”. Il programma della due giorni – I lavori (a porte chiuse), in programma al Tempio di Adriano saranno aperti da Federico Motta giovedì 10 giugno, alle 15, e si concluderanno il giorno dopo con il passaggio di consegne al nuovo presidente, l’irlandese Fergal Tobin. L’editoria europea in cifre – L’editoria libraria costituisce la prima industria culturale in Europa con un giro d’affari di circa 23,75 miliardi di euro (dato 2008). Sono 510mila le novità pubblicate e 135mila gli addetti complessivi del settore  
   
   
AVEDISCO: SI DIMETTONO PRESIDENTE E VICE PRESIDENTE  
 
Sei aziende, che rappresentano oltre il 40% del fatturato del settore associativo, abbandonano l´associazione di categoria della vendita diretta a domicilio. Il presidente e il vice presidente di Avedisco, Luca Pozzoli e Ciro Sinatra, hanno rassegnato le proprie dimissioni, con effetto immediato, dalle rispettive cariche associative. Escono da Avedisco (associazione vendite dirette servizio consumatori) anche le aziende da loro rappresentate, rispettivamente Tupperware Italia (di cui Luca Pozzoli è amministratore delegato) e Vorwerk Folletto (di cui Ciro Sinatra è direttore relazioni istituzionali, affari legali e formazione). Contestualmente, anche Jafra Cosmetics, Lux Italia, Nahrin Italia e Vorwerk Contempora hanno abbandonato Avedisco. La scissione è ancora più clamorosa, per il fatto che le sei aziende che escono dall´associazione rappresentano oltre il 40% del fatturato che esprimevano le associate Avedisco. Avedisco, di cui Tupperware è anche stata socio fondatore nel 1969, è stata fino ad oggi l´unica associazione di categoria italiana della vendita diretta, offrendo un codice etico, una verifica dei comportamenti e garantendo serietà a quella fascia di mercato coperta da aziende che vendono direttamente a casa del consumatore finale, tramite incaricati alla vendita a domicilio e attraverso la formula della vendita "porta a porta" o del "party plan". Ed è proprio su questi valori che è maturata questa decisione: troppo diverse le visioni che le aziende hanno circa le politiche del settore e il rapporto con il consumatore. Una divisione, questa, già presente a livello europeo: alla Fedsa (Federation of European Direct Selling Associations), infatti, nel gennaio 2007 si è aggiunta un´altra associazione: la Dse (direct selling europe). Con la nascita di questo dualismo, per mantenere l´unità dell´associazione italiana Avedisco era uscita dalla Fedsa e in questi due anni ha mantenuto una posizione autonoma. Nel corso dell´assemblea di Avedisco del 19 maggio, però, la maggioranza dei soci ha deciso di rientrare in Fedsa. Da qui la decisione delle sei aziende di ritirare la propria adesione per andare verso la fondazione di un´associazione italiana vicina alle posizione della Dse. "Tupperware e le aziende che con noi hanno lasciato Avedisco hanno una decennale tradizione di qualità, valore ed alti standard di comportamento nelle proprie relazioni con i propri clienti e incaricati alle vendite -spiega Luca Pozzoli, ex presidente di Avedisco-. E proprio al fine di promuovere questi valori nel settore della vendita diretta è nata Dse, un´organizzazione impegnata per alti standard etici di comportamento nelle vendite dirette nell´Unione Europea che ha come membri esclusivamente società di altissima reputazione che si distinguono per implementare pratiche commerciali etiche e sostenibili.. Ci sentiamo fortemente legati agli ideali che ispirano la Dse e vogliamo essere allineati a società che condividono questi valori. Siamo anche convinti che potremo ottenere migliori risultati concentrando i nostri sforzi insieme a Dse e altre società della vendita diretta con la stessa visione"