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Notiziario Marketpress di Martedì 14 Luglio 2009
 
   
  CONVEGNO: “COME ALLARGARE LA BANDA”

 
   
  Roma, 14 luglio 2009 - Lo sviluppo della banda larga è uno degli obiettivi cardine che un’economia moderna dovrebbe incentivare e realizzare. Nonostante questo, però, le infrastrutture di comunicazione elettronica di nuova generazione (Next Generation Networks, Ngn) stentano a decollare. Questo forte ritardo è particolarmente avvertito in Italia. Da più parti si è invocato un intervento pubblico forte, utile a supportare gli investimenti necessari a rendere realtà l’avvento delle reti a banda larga (2 Mb/s, idonee a consentire l’abbattimento del digital divide) ed ultralarga (Uwb idonea a determinare tassi di crescita significativi del Pil). A gennaio 2009, il tasso di penetrazione della banda larga in Italia si attestava, secondo i dati della Commissione Europea, al 19%, contro una media comunitaria del 22,9% e contro livelli sensibilmente superiori degli altri più competitivi paesi europei (es. Uk 28,4%; Francia 27,7%; Germania 27,5%). A questo si aggiunge una scarsa diffusione tra gli italiani dell’utilizzo dei servizi fruibili tramite internet: elemento da attribuire principalmente alla scarsa percezione che i cittadini hanno delle potenzialità del broadband e allo scarso grado di informatizzazione della popolazione. A fronte di questa situazione di arretratezza, l’autorità politica non può deve intervenire con forza. Paesi che partono da situazioni ancor più preoccupanti della nostra hanno intrapreso di recente piani molto coraggiosi che hanno come obiettivo lo sviluppo della banda ultra-larga. Tra tutti merita particolare attenzione la Grecia che, partendo da un tasso di penetrazione Broadband di appena il 13%, ha di recente varato un piano di intervento, molto articolato, sulla banda ultra-larga (stanziando 2. 1 mld di Euro – 2010/2017, tripartiti tra Stato, privati e prestiti provenienti dalla Banca Europea per gli investimenti). In Italia, ad oggi, risultano stanziati 800 mln di Euro (fondi Fas, il cui impegno è vaglio del Cipe), 264 mln di Euro (già adibiti per il progetto banda larga) e 188 mln di Euro (fondi Fesr). Per quanto questo investimento costituisca una buona base di partenza per lo sviluppo della banda larga, passaggio ritenuto essenziale nel processo di evoluzione delle reti (quantificate complessivamente per collegamenti tra 2Mb e 20Mb entro il 2012 in circa 1. 4 mld di Euro), il Governo attraverso il Piano Romani non ha fornito ad oggi risposte concrete circa la provvista necessaria da stanziare per la banda ultra-larga. Sul punto è auspicabile decisamente una maggiore incisività da parte del Governo. Quello dello sviluppo della banda larga ed ultralarga, peraltro, è un tema quanto mai attuale, e questo non solo per gli “addetti ai lavori”, ma per l’intero Sistema-paese. Poter contare su infrastrutture, sia di rete fissa che mobile, che permettano un accesso ad internet ad alta velocità, rende infatti accessibili beni e servizi ad alto valore aggiunto ai consumatori, alle imprese, alla pubblica amministrazione, capaci di ingenerare un circolo virtuoso di produzione e diffusione della conoscenza, componente essenziale per la crescita del Paese. Come sostenuto da Paolo Romani, Viceministro alle Comunicazioni, seguendo gli studi Ocse che identificano in 1,45 il moltiplicatore congiunto del settore comunicazione sull´intera economia, un investimento in banda larga di circa 1,5 mld di euro genererebbe un incremento del Pil pari a 2 mld. Ma i ritorni positivi generati dalla diffusione della banda larga sono misurabili anche in altri ambiti. Ad esempio, attraverso la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, si potrebbero nettamente migliorare i servizi essenziali per la vita del cittadino, come ad esempio sanità, educazione e formazione, la giustizia. Nel primo caso un’ipotesi virtuosa di applicazione della tecnologia potrebbe, ad esempio, essere quello della cartella clinica digitale, strumento che permetterebbe di raggiungere una maggiore efficienza del servizio sanitario, grazie ad una fruizione completa e sempre aggiornata dei dati clinici e della storia medica del paziente; oppure quello della telemedicina, che potrebbe trovare applicazione specialmente nelle aree rurali o scarsamente servite dal Servizio Sanitario Nazionale, anche attraverso servizi di teleassistenza di seconda generazione, come quelli già offerti in Inghilterra, ossia sistemi che oltre a contattare automaticamente i soccorsi competenti, attraverso l’utilizzo di sensori, possono registrare e trasmettere i parametri del soggetto che li indossa, agevolando così un soccorso più tempestivo e mirato . L’applicazione delle tecnologie digitali in questi settori è utile non solo per i benefici in favore dei cittadini-utenti, ma anche per l’intero sistema economico. È stato infatti stimato che la domanda generata da investimenti nel settore della Pa, si attesterà su 250 milioni di euro annui per la scuola, 400 milioni annui per la sanità e 60 per la giustizia. Inoltre, attraverso la dematerializzazione della Pa (ossia la sostituzione dei supporti cartacei con quelli digitali), sarà possibile ottenere un risparmio di spese pari circa al 3% del Pil, dato che diventa ancora più interessante se si considera che circa il 40% del tempo degli impiegati pubblici è dedicato alla sola gestione dei documenti. La digitalizzazione della Pa è poi un elemento essenziale anche per la semplificazione del rapporto che questa ha con i cittadini, che attraverso servizi quali il certificato elettronico potrebbero risparmiare tempo ed energie, e con le imprese, ad esempio tramite la notevole deflazione dell’onere burocratico che queste sopportano. Lo studio I-com mette in mostra che uno degli ostacoli principali alla realizzazione delle Ngn è quello dell’entità degli investimenti e dei soggetti che dovranno impegnare questa provvista. In Italia si stima che una rete in fibra possa sfiorare un costo di 10 miliardi di euro, mentre in Francia l’investimento potrebbe ammontare a circa 8 miliardi di euro, ma questo solo per una rete che copra le 10 maggiori città (circa il 40% della popolazione), mentre per coprire la restante parte l’investimento potrebbe ammontare a circa 30 miliardi di euro. Il costo di realizzazione varia poi notevolmente a seconda che si tratti di aree densamente o scarsamente popolate, e questo fa sicuramente riflettere se si considera che l’Italia è un paese di piccoli comuni, dove solo il 15,1% della popolazione vive nelle grandi città. La preoccupazione maggiore è quindi che la banda larga sarà un servizio accessibile solo a pochi, poiché gli operatori privati si concentreranno solamente nelle aree più remunerative, e quindi in quelle più densamente popolate, aumentando il già preoccupante grado di digital divide, sia infrastrutturale che sociale. Semplicemente sulla base di queste considerazioni è quindi comprensibile come il fare affidamento sui soli sforzi degli operatori privati abbia, in un simile contesto, poco senso. Se a questo si aggiunge poi una valutazione sistemica delle condizioni attuali dell’economia globale, appare chiaro perché in numerosi Stati, Italia compresa, ci sia una sempre crescente attenzione e partecipazione dei decisori pubblici alla questione della banda larga e ultralarga. Per lo Stato, l’investimento nella nuova rete presenta dei profili di grande interesse. La rete, infatti, possiede un alto valore strategico per l’intero Sistema-paese, sia in termini di maggiore competitività, specie a livello internazionale, di maggior coesione sociale, di driver per veicolare investimenti (anche internazionali) e per generare spillover positivi su più comparti industriali. L’investimento nell’infrastruttura di rete, quindi, più che un investimento con risvolti puramente finanziari, rappresenta, dal punto di vista dell’operatore pubblico, un’opportunità di sviluppo per l’intero Sistema-paese. Tuttavia, se da parte di più voci l’intervento pubblico diretto è stato indicato come la panacea per tutti i mali del settore Tlc, non bisogna però limitarsi a vederne solamente lati positivi e benefici, ma è necessaria una visione di insieme, che non manchi di considerare alcuni elementi essenziali, come la compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato, ed il fatto che l’intervento pubblico seppur necessario, specie in presenza di un ciclo economico recessivo, deve essere ponderato e neutrale al fine di non spiazzare gli investimenti privati già posti in essere e di non distorcere la concorrenza. È poi necessario specificare che, proprio a tutela della concorrenza che si svilupperà sul mercato, è fondamentale che gli interventi pubblici siano fortemente ancorati ai principi di Network e Service Neutrality: non è infatti immaginabile che reti costruite mediante un intervento pubblico non siano interoperabili e quindi non accessibili dalla totalità degli attori del mercato. Corollario del ragionamento è rappresentato dalla necessità di implementare ed incentivare reti a tutti gli effetti aperte. L’intervento pubblico in questo contesto può configurarsi sia in modo diretto che indiretto. Nelle forme di intervento diretto rientrano ovviamente le politiche a carattere finanziario, e quindi quelle di sostegno diretto all’offerta, come la partecipazione economica, anche attraverso schemi di collaborazione pubblico-privata (Partenariato Pubblico-privato (Ppp) o Project Financing), che possono vedere direttamente coinvolto lo Stato centrale oppure esplicarsi attraverso l’azione degli enti locali, e prevedere sia finanziamenti nazionali che comunitari. Nella seconda categoria, quella dell’intervento pubblico indiretto, rientrano invece una pluralità di interventi, come la semplificazione amministrativa (che rappresenta un incentivo alla realizzazione della rete, dato che può comprimere notevolmente l’administrative burden ed i costi di transazione che gli operatori devono sostenere in aggiunta al costo della rete, un esempio concreto di simili interventi è dato dalla Legge 133/2008); la digitalizzazione della pubblica amministrazione (che non solo creerebbe un nuovo ed imponente cliente, ma renderebbe la banda larga e ultra larga uno strumento necessario per il cittadino che si deve relazionare con la Pa, agendo quindi anche come politica di sostegno alla domanda), sgravi fiscali o anche interventi normativi e regolamentari (come ad esempio in Francia, dove la Loi 776 de modernisation de l’économie del 2008, oltre ad attuare una notevole semplificazione amministrativa, ha previsto l’obbligatorietà dell’installazione della fibra in tutte le nuove costruzioni). L’intervento pubblico indiretto dovrà essere realizzato attraverso una serie di azioni complementari, in buona parte già previste da disposizioni esistenti, sia sul lato della domanda pubblica e privata di servizi a banda larga, per incentivare l’uso dei nuovi servizi disponibili, sia dal lato dell’offerta di tali servizi, anche con strumenti di politica industriale come gli aiuti alle imprese, al fine di favorire lo sviluppo di un contesto di mercato suscettibile di incentivare la realizzazione delle reti broadband. Ma l’intervento pubblico può assumere anche sfumature differenti, ed una di queste è rappresentata dalla possibilità di estendere gli obblighi di servizio universale alla banda larga. In un contesto in cui le comunicazioni elettroniche rivestono un ruolo essenziale non solo nella vita economica, ma anche sociale e culturale del Paese, è infatti necessario interrogarsi sul “se” e sul “come” debbano essere modificati i contenuti di tali obblighi a livello europeo e nazionale in relazione all’evoluzione tecnologica, chiedendosi anche se una nozione evolutiva di servizio universale possa essere uno strumento utile per accelerare lo sviluppo di infrastrutture di nuova generazione, o se tale compito vada lasciato ad altri strumenti politici dell’Ue o alle normative nazionali. Ruolo essenziale all’interno del processo di sviluppo della banda larga è poi rivestito dalla regolazione. La scelta del Regolatore potrebbe infatti orientarsi tra un tipo di regolazione che sia più pro-concorrenziale (heavy-handed regulation), e che permetterebbe il raggiungimento di un più alto tasso di concorrenza sul mercato, ma che rischierebbe di determinare un livello sub-ottimale di investimenti; ed un tipo di regolazione che sia invece pro-investimenti (light-handed regulation), che tutelerebbe maggiormente gli investimenti e la loro remunerazione, ma potrebbe implicare rischi di foreclosure e di leverage dominance. Ruolo fondamentale in questo contesto è quello del Regolatore comunitario, che con i lavori sulla Bozza di Raccomandazione sulle Ngan sta cominciando a delineare le prime linee guida in materia. Dal punto di vista regolatorio notevole importanza riveste poi la scelta della tipologia di concorrenza che si vorrà creare, ossia facility o service based, e se si vorrà continuare ad adottare il classico modello del ladder of investment per favorire gli investimenti in infrastrutture. Guardando agli stati stranieri, i Regolatori si stanno mostrando molto attenti alle problematiche connesse alla realizzazione delle reti in fibra, concentrandosi essenzialmente sulla necessità di accesso alle infrastrutture, specie di quelle già esistenti e nella disponibilità dell’incumbent, come avvenuto in molti paesi comunitari, e sulla condivisione di queste, specie nella parte terminale del cablaggio verticale (l’esempio è quello di Francia e Spagna, dove è stata prevista in questo caso una regolazione puramente simmetrica). L’atteggiamento dei Regolatori è comunque progressivo, attento agli sviluppi concreti e alle esigenze degli operatori, e rivolto allo sviluppo di una facility based competition. L’istituto per la competitività (I-com) è un’associazione fondata nel 2005 da un gruppo di studiosi, professionisti e manager, per promuovere temi e analisi sulla competitività in chiave innovativa, all’interno del quadro politico-economico europeo ed internazionale. L’i-com si propone di influenzare il dibattito pubblico sul futuro del sistema Italia, sulla base di una competenza multidisciplinare, rafforzata da un comitato scientifico di alto profilo, e grazie a una varietà di strumenti di analisi e divulgazione. .  
   
 

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