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Notiziario Marketpress di Lunedì 09 Ottobre 2006
 
   
  TURCO: “E ADESSO UN NUOVO PATTO CON I MEDICI DI FAMIGLIA”

 
   
  Roma, 9 ottobre 2006 - In occasione del 59° Congresso nazionale della Fimmg, in corso a Villasimius in Sardegna, il Ministro della Salute Livia Turco ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Ai medici di famiglia chiedo prima di tutto di costruire insieme un “nuovo patto” che abbia al centro la definitiva affermazione della medicina del territorio. Un patto per il quale chiedo ai medici di famiglia di compiere atti concreti per rendere effettivo il loro coinvolgimento nella grande sfida per costruire il secondo pilastro della sanità. Un secondo pilastro di pari dignità ed eccellenza di quello ospedaliero e che, insieme all’ospedale, dia vita ad una vera integrazione dei servizi socio-sanitari che circondi e soddisfi pienamente il cittadino. E mi riferisco a quella “medicina del cittadino”, che chiamo così perché è la medicina che deve andare “a casa” delle persone e comunque farle sentire “a casa” quando vi si rivolgono. E’ questo il senso della mia proposta di “Casa della salute”, alla quale dobbiamo affidare la gran parte delle risposte assistenziali che ci provengono dai nuovi bisogni dei cittadini e che non possono continuare ad essere direttamente o indirettamente affidate all’ospedale. L’ospedale è e resta indispensabile ma deve fare altro. Deve pensare alle acuzie e all’assistenza specialistica con strutture moderne, adeguate e di giuste dimensioni, ritrovando anche quella misura umana che oggi rischia di andare perduta, se non riusciamo a definirne bene i compiti. Quando parlo di nuovi bisogni mi riferisco infatti a quelle esigenze di continuità assistenziale, di domiciliarizzazione delle cure, di possibilità di visite e controlli in strutture più piccole e coordinate dalla medicina di famiglia. Che non devono più essere indirizzate verso l’ospedale. Ecco, questa è la sfida che voglio lanciare ai medici di famiglia, ma anche alle altre categorie, come gli specialisti ambulatoriali, gli infermieri del territorio e gli stessi farmacisti, che operano nelle nostre città e nei nostri quartieri. Ma è indubbio che il medico di famiglia resta il centro attorno al quale bisogna articolare questo nuovo spazio di tutela e assistenza sanitaria. Prima di tutto perché il rapporto di fiducia medico-cittadino è fondamentale. E poi perché già oggi lo studio del medico di famiglia, soprattutto laddove sono già maturate esperienze di associazione e ampliamento dell’offerta di servizi al suo interno, rappresenta un cardine e un punto di riferimento da cui non possiamo non partire. Ma dobbiamo fare un passo in più. Serve infatti un cambiamento anche culturale e di fiducia verso la possibilità di riaprire il grande “cantiere” della sanità italiana. Senza convinzione non sarà infatti possibile compiere quel balzo definitivo verso un’altra concezione della medicina del territorio. E per questo serve anche un nuovo impegno nella formazione del medico di famiglia, riscoprendo la sua specificità nei percorsi di livello universitario e nelle altre iniziative di aggiornamento e formazione, dove bisognerà far sì che le nuove dinamiche della medicina di famiglia diventino protagoniste. Sia come materia specifica che come docenza da affidare a chi ha vera esperienza sul campo. Tutto ciò anche in vista dell’affermazione di nuove modalità di gestione e organizzazione dei servizi nell’ambito di un reale “Governo clinico territoriale”. La convenzione con la medicina generale contempla già oggi grandi possibilità in questa direzione. Ma, lo affermo convinta, anche una buona convenzione non basterebbe se non ci si crede veramente. Io ci credo e l’ho dimostrato con la prossima istituzione di una Commissione ministeriale per le cure primarie e l’integrazione socio-sanitaria e anche con i fondi stanziati in questa legge finanziaria proprio per sperimentare le nuove Case della Salute. Ora sta ai medici di famiglia e agli altri operatori fare la propria parte. Perché è bene chiarire che tutto ciò non può non passare attraverso una assunzione di responsabilità diretta da parte degli stessi operatori, e in primo luogo dei medici di medicina generale, che faccia percepire al sistema il cambio di marcia proprio a partire dal cambiamento di consapevolezza del loro ruolo”. .  
   
 

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