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Notiziario Marketpress di Lunedì 18 Settembre 2000
 
   
  CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA: PROSPETTIVE DELLŽECONOMIA ITALIANA. LŽEVOLUZIONE DEI SETTORI INDUSTRIALI

 
   
  Roma, 18 settembre 2000 - EŽ stato presentato di recente il rapporto periodico del Centro Studi Confindustria su "Prospettive dellŽeconomia italiana: lŽevoluzione dei settori industriali". Insieme al Presidente Antonio DŽamato, Enrico Bondi e Giampaolo Galli, rispettivamente Consigliere incaricato e Direttore del Centro Studi, hanno partecipato al dibattito il Ragioniere Generale dello Stato, Andrea Monorchio, il Presidente della Borsa Italiana, Angelo Tantazzi e Giulio Tremonti, Professore ordinario di diritto tributario presso lŽUniversità di Pavia. In sintesi il Pil nel 2000 si assesterà attorno al 3%, 2,8% nel 2001 e 2,6% nel 2002. Il divario tra LŽitalia e lŽarea dellŽeuro si riduce ma rimane cospicuo per via dei gap competitivi che ancora gravano sul Paese. Per quanto rigaurda lŽinflazione è previsto un tasso del 2,5% nel 2000. LŽobiettivo programmato per il 2001 (1,7%) può essere raggiunto se le dinamiche salariali si manterranno coerenti con lŽobiettivo della stabilità dei prezzi. In merito al livello dellŽ occupazione si manterrà attorno al 1,1% per questŽanno e nel 2001. LŽaumento è lievemente più sensibile al Centro-sud del Paese; al Nord difficoltà a reperire manodopera. Per quanto riguarda i conti pubblici sono in miglioramento, ma con lŽaumento della spesa per le Regioni, non è scontato che il disavanzo rimanga entro lŽobiettivo dellŽ1,3% concordato con lŽUe. Non è chiaro su quali basi di fatto si fondi lŽattuale dibattito sul cosiddetto dividendo fiscale. Per lŽarea dellŽeuro lŽanno in corso, malgrado il rialzo del petrolio, si presenta come uno dei migliori da molto tempo sotto il profilo sia della crescita che dovrebbe collocarsi attorno al 3,5%, sia dellŽoccupazione ( il tasso di disoccupazione dovrebbe continuare a scendere collocandosi attorno al 9% dal 10,1% del 1999). Gran parte della crescita è però dovuta a fattori esterni non facilmente ripetibili: la straordinaria performance americana, la rapida ripresa dei paesi asiatici colpiti dalle crisi del 1998, il deprezzamento dellŽeuro. Pur tenendo conto di una probabile accelerazione della domanda interna, lŽesaurirsi di alcuni di tali fattori favorevoli, gli aumenti ampi e persistenti del prezzo del petrolio, i prevedibili ulteriori rialzi dei tassi dŽinteresse inducono a prevedere una decelerazione della crescita dellŽarea dellŽeuro al 3,2 nel 2001 e al 2,8 nel 2002. LŽinflazione dovrebbe attestarsi al 2,2% nella media dellŽanno per poi scendere gradualmente allŽ1,8% nel 2001. Questa proiezione sconta le ipotesi che il prezzo del petrolio rimanga intorno ai trenta dollari a fine anno per scendere fino al 28 dollari nel 2001 e che lŽeuro risalga gradualmente fino alla parità con il dollaro, in corrispondenza dei rialzi dei tassi di interesse europei e del rallentamento dellŽeconomia americana. Il Prodotto interno lordo dovrebbe crescere questŽanno del 3%. Come nel resto dŽEuropa e per le stesse ragioni, la crescita dovrebbe diminuire nei prossimi anni, al 2,8% nel 2001 e al 2,6% nel 2002. Il divario di crescita tra lŽItalia e il resto dŽEuropa si riduce rispetto agli anni passati, ma rimane cospicuo per via dei molti gap competitivi (infrastrutture, pubblica amministrazione, ricerca, costi fiscali e contributivi, rigidità del lavoro) che gravano sul nostro Paese. EŽ sufficiente ricordare che ancora nel 1999, lŽItalia è cresciuta un punto in meno della media dellŽEuro11 (1,4% contro 2,4%) ed ha perso quote di mercato. Le nostre esportazioni sono diminuite dello 0,4% in volume, mentre sono cresciute del 4,4% le esportazioni dellŽEuro11 e del 5,2% le esportazioni mondiali. I dati relativi ai primi mesi di questŽanno indicano che si è al momento arrestata la perdita di quote, anche per via della svalutazione dellŽeuro. Rimaniamo però in ritardo per quanto riguarda la crescita economica. Nel primo semestre dellŽanno, i dati della produzione industriale registrano un divario di 1,2 punti a sfavore dellŽItalia (4,6% contro 5,8%). Nella media dellŽanno lŽinflazione dovrebbe attestarsi al 2,5%, un valore di poco più elevato rispetto a quello previsto dal governo nellŽultimo Dpef (2,3%). Per il 2001, date le ipotesi internazionali di cui si è detto per lŽinflazione europea, dovrebbe registrarsi una riduzione al 2%. Questa previsione, per lŽItalia come per lŽEuropa, si regge sullŽipotesi che nei rinnovi contrattuali prevalga la consapevolezza che eventuali richieste di recupero della "tassa petrolifera" non farebbero che rendere più lunga e costosa la riduzione dellŽinflazione. LŽobiettivo dŽinflazione programmata per il 2001 (1,7%) è ambizioso, ma non impossibile, in funzione degli andamenti delle retribuzioni e dellŽintensità dei processi di liberalizzazione. LŽoccupazione dovrebbe crescere dellŽ1,1%, come nel 1999, dando luogo ad una riduzione del tasso di disoccupazione dallŽ11,4% del 1999 allŽ11%. Nei dati più recenti diminuisce il peso dei lavori a tempo determinato, crescono il part-time e le assunzioni a tempo indeterminato. La crescita dellŽoccupazione è più consistente al Centro (+2,1%) e nel Mezzogiorno (+1,6%) che nel Nord del Paese (+1,2%), dove le imprese hanno difficoltà a reperire manodopera. In Italia, come nel resto dŽEuropa, il miglioramento dei conti pubblici rispetto allŽanno scorso è in gran parte dovuto al ciclo economico e alla riduzione dellŽonere per interessi, oltre che al gettito straordinario connesso alle plusvalenze di borsa dellŽanno scorso. Il gettito fiscale è superiore alle previsioni ma a fronte di questo aumento vi sono maggiori spese specie da parte delle Regioni. Non è scontato il mantenimento del disavanzo entro lŽobiettivo dellŽ1,3% concordato con lŽUe . Malgrado la forte crescita dellŽeconomia, il peso dello Stato in rapporto al reddito nazionale rimarrà questŽanno allŽincirca invariato. Le entrate dovrebbero rimanere in prossimità del 47% del Pil; le spese al netto degli interessi attorno al 42%. Ci sarà il dividendo fiscale? Per quanto riguarda lŽItalia il rapporto sottolinea che nel dibattito corrente la questione del dividendo è assai male impostata, perché le decisioni che si prenderanno in finanziaria incidono sui conti del 2001 e degli anni successivi. A questo fine, gli andamenti del gettito e del fabbisogno degli ultimi mesi di questŽanno sono scarsamente rilevanti se non in quanto forniscono parziali indicazioni riguardo agli anni successivi. Occorre dunque valutare le tendenze di fondo del bilancio pubblico che nei prossimi anni sarà comunque gravato dallŽaumento dei tassi di interesse e dagli effetti dellŽinvecchiamento della popolazione. Le indicazioni che emergono dai dati di questŽanno non sono comunque incoraggianti perché allŽaumento delle entrate ha corrisposto un aumento ancora più forte delle spese al netto degli interessi. Ciò è dovuto allŽaumento delle spese regionali, ma anche a quelle dello Stato. Secondo il progetto di assestamento del bilancio dello Stato, le spese di competenza al netto degli interessi dovrebbero aumentare questŽanno del 8,7% rispetto al 1999, a fronte di aumenti delle entrate del 7,5%. Non si è dunque ancora avviata quella riduzione dellŽincidenza sul Pil della spesa pubblica che è la condizione necessaria per poter ridurre stabilmente la pressione fiscale. Peraltro lŽaumento delle entrate è in gran parte dovuto al gettito straordinario dellŽimposta sulle plusvalenze e al buon andamento del ciclo economico. Sulla base di questi dati e di quelli relativi al fabbisogno dello Stato e delle Regioni, il Csc giunge alla conclusione che i conti di questŽanno sono in linea o leggermente peggiori rispetto allŽobiettivo dellŽ1,3% del Pil concordato con lŽUnione Europea per lŽaggregato dellŽindebitamento delle pubbliche amministrazioni. Non è dunque chiaro su quali basi di fatto si fondi lŽattuale dibattito sul dividendo fiscale. Qualora il Governo pervenga, come probabile, a conclusioni diverse oppure attui effettivi tagli di spesa, i margini di manovra dovrebbero essere utilizzati per ridurre il debito e per investire in competitività. LŽorientamento dellŽUnione Europea (espresso da ultimo in un comunicato del Consiglio dellŽEuro11 del 16 luglio 2000) è che il dividendo dovrebbe essere destinato prevalentemente alla riduzione del debito. LŽargomento è che ha poco senso stimolare la domanda in un momento in cui la crescita è molto forte. EŽ meglio ridurre il debito e far spazio a politiche di bilancio più espansive in caso di future recessioni, secondo la logica del Patto di Stabilità. Se si spendesse oggi un dividendo temporaneo, si ridurrebbero i margini per future politiche di stabilizzazione del ciclo. Inoltre gli effetti sulla crescita che si possono ottenere operando dal lato della domanda con le cifre di cui si potrà eventualmente disporre saranno assai modesti. Sotto questo profilo appaiono assai più efficaci misure dal lato dellŽofferta. A questa tipologia di interventi appartengono: misure di riduzione del cuneo contributivo sul lavoro, nellŽambito di un progetto di lotta al sommerso non solo nel Mezzogiorno; riduzioni delle aliquote fiscali sulle imprese, che costituiscono un passaggio essenziale per porre lŽItalia in condizioni di attrarre investimenti produttivi dallŽestero e di non farsi spiazzare da paesi come Germania e Francia che questa linea hanno imboccato con decisione; misure volte a favorire il decollo della previdenza integrativa, come parte di un progetto complessivo di riforma del sistema pensionistico; investimenti per la ricerca e per la formazione. Benchmarking competitivo Il rapporto contiene una sezione dedicata al benchmarking competitivo dellŽItalia e due note di approfondimento sulla pressione fiscale sui redditi societari e sulla redditività delle imprese nei principali paesi. Utilizzando il bilancio aggregato delle principali società censite da R&s - Mediobanca si giunge alla conclusione che la pressione fiscale sulle imprese tenuto conto dellŽIrap, è al 50%, un valore più elevato che nella generalità degli altri Paesi. Riguardo alla redditività, lŽanalisi relativa a un ristretto numero di grandi gruppi indica che gli indici (Roi, Roe, Ros) sono sensibilmente più bassi nellŽEuropa continentale (Italia, Germania, Francia) che nel Regno Unito e negli Stati Uniti. LŽeconomia sommersa Una nota di approfondimento è dedicata allŽeconomia sommersa. Le valutazioni sullŽestensione del fenomeno sono molto diverse e variano in un intervallo compreso fra il 14% stimato dallŽIstat a oltre il 30%. Il gettito fiscale e contributivo teoricamente recuperabile varia dunque anchŽesso fra un minimo di 130mila miliardi e un massimo di 300mila. Utilizzando la stima della Commissione europea e ipotizzando unŽemersione al 50%, si avrebbe un recupero di gettito di 130mila miliardi, una cifra che consentirebbe di ridurre sensibilmente la pressione fiscale sulla generalità dei contribuenti. Utilizzando la stima Istat lŽattuale pressione fiscale e contributiva sullŽeconomia emersa risulta essere del 50,8%, assai più elevata del 43,7% che è la pressione calcolata usualmente ponendo al denominatore del calcolo la stima ufficiale del Pil complessivo, emerso e sommerso. I settori industriali Il rapporto contiene una sezione dedicata allŽevoluzione dei settori industriali e delle loro quote di mercato sui mercati internazionali. In generale emergono prospettive favorevoli per quello che riguarda i volumi e preoccupazioni riguardo ai margini. LŽanalisi mette in evidenza la forte caduta delle quote dellŽItalia sul commercio mondiale nel periodo 1995-1999. Tale caduta ha riguardato in particolare i settori del cosiddetto "made in Italy" - (tessile - abbigliamento, mobili, piastrelle, cuoio - calzature). Tali diminuzioni si sono in generale accompagnate a miglioramenti delle quote, nei medesimi settori, delle economie emergenti dellŽEuropa centro-orientale, dellŽEstremo oriente e dellŽAmerica latina. Nonostante il calo, la nostra industria continua peraltro a detenere in tali settori posizioni rilevanti nei mercati internazionali: nel 1998 la quota italiana nei mercati mondiali risultava pari al 50% nel settore delle piastrelle, 14% per cuoio e calzature, tra 7 e 10% nel tessile - abbigliamento e nella gioielleria. Franco Rosso.  
   
 

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