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Notiziario Marketpress di Mercoledì 18 Ottobre 2006
 
   
  “UN TEST PUO’ FERMARE LA MALATTIA DI ALZHEIMER” PROFILO GENETICO PRO INFIAMMATORIO PER LA DETERMINAZIONE DEL RISCHIO INDIVIDUALE DI SVILUPPARE IL DECADIMENTO COGNITIVO E LA DEMENZA SENILE DOPO I 60 ANNI.

 
   
  Milano, 18 ottobre 2006 - Prof. Federico Licastro, Responsabile del Laboratorio di Immunologia e Immunogenetica del Dipartimento di Patologia Sperimentale della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Bologna. La malattia di Alzheimer (Ma) è la principale causa di demenza e di decadimento cognitivo nella popolazione anziana. La malattia si manifesta con la perdita neuronale e di sinapsi e con la deposizione extracellulare di sostanza amiloide e intracellulare di matasse neurofibrillari. Queste alterazioni sono ritenute essenziali per la diagnosi della malattia e hanno effetti tossici sulle cellule neuronali che progressivamente muoiono anche in conseguenza della deposizione cerebrale di queste sostanze. La progressiva perdita di sinapsi e neuroni ha col tempo come conseguenza la comparsa di alterazioni della memoria delle capacità cognitive e del comportamento. Vi sono anche altri meccanismi che inducono la morte neuronale, quali ad esempio un’iperattivazione delle cellule microgliali cerebrali che produco sostanze con attività pro-infiammatoria. Infiammazione e meccanismi patogenetici che portano alla neurodegenerazione. Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’utilizzo abituale di farmaci anti-infiammatori non steroidei è associato ad una diminuzione dell’incidenza di malattia di Alzheimer, suggerendo quindi un possibile ruolo dell’infiammazione nella degenerazione cerebrale. Anche osservazioni istopatologiche sui cervelli dei pazienti con Ma sostengono l’ipotesi di un ruolo importane per l’infiammazione nella malattia. Le citochine sono molecole secrete dalle cellule del sistema immunitario ed hanno svariati ruoli, molte di queste molecole regolano le risposte infiammatorie. Alcune citochine attivano anche la sintesi e la secrezione di proteine della fase acuta durante l’infiammazione acuta o cronica . Recenti scoperte hanno evidenziato che le citochine possono inoltre essere rilasciate dagli astrociti attivati e dalle cellule microgliari. Quindi le sostanze ad attività pro-infiammatoria sono importanti nell’induzione di parte della neurodegenerazione associata al decadimento cognitivo, ai deficit della memoria e all’insorgenza della demenza. Una strada per poter influire efficacemente su questi meccanismi che promuovono la neurodegenerazione consiste in un intervento terapeutico anti infiammatorio precoce, prima che la malattia si manifesti e che la neurodegenerazione abbia distrutto consistenti porzioni delle aree cerebrali. Un approccio originale consiste nell’individuare i portatori di un rischio aumentato di sviluppare risposte pro-infiammatorie cerebrali e iniziare in questi soggetti sani una terapia precoce. Cosa permette di identificare i soggetti con un elevato rischio di sviluppare il decadimento cognitivo e/o la demenza? I polimorfismi a singolo nucleotide (Snps) di certi geni infiammatori sono già stati associati al rischio di sviluppare la Ma poiché risultano più frequenti nei soggetti portatori della malattia rispetto ai controlli sui non dementi. Numerosi studi hanno valutato l’interazione di differenti Snps sul rischio di sviluppare Ma. I risultati ottenuti dai nostri studi hanno suggerito che la combinazione di differenti polimorfismi sui geni di varie molecole infiammatorie (Il-1, Act, Il-10) e molecole coinvolte nel metabolismo cerebrale (Hmgcr, Vegf) mostra un effetto additivo sul rischio di Ma. È perciò possibile, combinando differenti Snp (già dimostrato in diversi studi caso/controllo associati al rischio di Ma), creare un profilo genetico complesso ma indicativo di rischio individuale che ci può dare un’idea abbastanza precisa della probabilità di sviluppare decadimento cognitivo e più avanti nel tempo la Ma. La valutazione del profilo di rischio individuale può essere una soluzione al problema in quanto permette di intervenire molto prima della comparsa della sintomatologia clinica. Infatti, la manifestazione della demenza è probabilmente il punto di arrivo di una lunga serie di eventi i quali, dopo svariati anni di processi neurodegenerativi silenti, si rendono visibili con i sintomi clinici della malattia, quali perdita della memoria, disorientamento e alterazione della personalità. È importante notare che il cervello anziano è in grado di compensare, per un lungo periodo (probabilmente anche per diversi anni), le alterazioni che si accumulano dentro e fra le cellule nervose, come per esempio, la formazione delle matasse e la deposizione delle placche. Ciò e possibile fino ad un punto in cui la soglia di compensazione del cervello è saturata dai processi neurodegenerativi e si ha la comparsa della sintomatologia cognitiva. In cosa consiste il test per il profilo genetico pro-infiammatorio per il decadimento cognitivo? Grazie ad un piccolo prelievo indolore delle cellule di sfaldamento del cavo orale tramite una semplice spatola si può isolare il Dna cellulare e genotipizzare il soggetto in esame per i geni che compongono il profilo di rischio pro-infiammatorio. Ad ogni soggetto è quindi possibile assegnare un punteggio che quantifica il rischio individuale intrinseco di sviluppare con l’avanzare dell’età il decadimento cognitivo. Ai soggetti con un profilo di rischio medio o alto si dovrà poi proporre un percorso di approfondimento diagnostico di visite specialistiche, esami radiologici e di test neurocognitivi. L’insieme di questa valutazione darà indicazione se e quando iniziare terapie precoci personalizzate volte a minimizzare la presenza di un rischio genetico elevato. Il profilo per il decadimento cognitivo e la demenza si basa sulla genotipizzazione di Snp su i seguenti geni: Il-1, Act, Il-10, Vegf, Apoe e Hmgcr e l’elaborazione statistica del profilo individuale secondo un algoritmo appositamente sviluppato per la popolazione italiana Cosa significa, dal punto di vista psicologico, sottoporsi ad un test genetico predittivo? Studi sulla valutazione dell’impatto psicologico hanno dimostrato come la scoperta di una predisposizione allo sviluppo di una determinata patologia (in particolare tumore del seno, dell’ovaio e del peritoneo) provochi da una parte un disagio emotivo in chi si è sottoposto al test con ricadute anche sul sistema familiare; dall’altra favorisce una maggior consapevolezza a stimolare l’adozione di comportamenti “sani” per la promozione del proprio benessere. Se adottati concretamente, i comportamenti “sani” possono incidere favorevolmente sulla salute dell’individuo, della famiglia e anche sulla spesa sanitaria. La ricerca che ha portato all’individuazione dei profili di rischio è stata condotta dall’equipe del Prof. Federico Licastro, Responsabile del Laboratorio di Immunologia e Immunogenetica del Dipartimento di Patologia Sperimentale, della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Bologna. Grazie alla collaborazione tra il Prof. Federico Licastro dell’Università di Bologna, la Ngb Genetics srl spin off dell’Università di Ferrara, l’Istituto di Medicina Gentica Preventiva e Personalizzata (Imgep) e l’Istituto di Medicina Biologica (Imbio) di Milano è possibile offrire un servizio specialistico per la determinazione dei profili di rischio individuali per la malattia di Alzheimer e l’infarto del miocardio. Un approccio integrato di valutazione genetica e clinica per il trattamento personalizzato e la prevenzione di queste malattie. .  
   
 

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