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Notiziario Marketpress di Lunedì 18 Dicembre 2000
 
   
  IL NUOVO INTERFERONE PEGILATO ALFA 2A MIGLIORA LE POSSIBILITA´ DI CURA DELL´EPATITE CRONICA DA VIRUS C

 
   
  Milano, 18 dicembre 2000 - "Due sperimentazioni cliniche su grandi numeri di pazienti, i cui risultati sono stati pubblicati su una delle più prestigiose riviste scientifiche, il New England Journal of Medicine, lo scorso 7 dicembre hanno dimostrato che l´interferone pegilato alfa-2a ramificato (Pegasys, Roche) ottiene da solo ottimi risultati nel trattamento di pazienti affetti da epatite C, sia nella fase precirrotica che quando si è già in presenza di cirrosi epatica non avanzata. Quest´ultimo e´ un punto di grande rilievo, dato che i pazienti cirrotici sono i più difficili da trattare, sia per la loro resistenza alla terapia convenzionale che per gli effetti collaterali", afferma Antonio Craxì, Professore di Gastroenterologia dell´Università di Palermo ed autorevole esperto nel campo delle epatiti virali. Il farmaco è una nuova forma di alfa-interferone, caratterizzata da maggiore durata d´azione e quindi da una maggiore efficacia antivirale. "L´importanza di questi due studi risiede nel fatto che per la prima volta - aggiunge Craxì - disponiamo di un´innovativa forma pegilata di interferone alfa-2a, che si è dimostrata significativamente più efficace nel trattamento di pazienti affetti da epatite C cronica rispetto alla terapia con interferone tradizionale. Il 39% dei pazienti in generale, e il 30% di quelli cirrotici, ha ottenuto una soppressione del virus, e quindi della malattia epatica, protratta nel tempo. Questo nuovo interferone si è rivelato 4 volte più efficace anche nel trattamento di pazienti con gravi forme di fibrosi epatica rispetto all´interferone normale". Per quanto gli studi ne abbiano già chiarito il grande potenziale innovativo rispetto agli alfa-interferoni convenzionali, continuano ancora numerosissime altre sperimentazioni cliniche, volte a stabilire al meglio le potenzialità del farmaco. "I risultati pubblicati sono molto incoraggianti perché dimostrano che l´interferone pegilato alfa-2a ramificato è più efficace oltre che più conveniente della terapia di induzione (ad elevato dosaggio) con interferone tradizionale. Inoltre, potrebbe potenzialmente rallentare la progressione del danno epatico a lungo termine e migliorare la qualità di vita di questi pazienti," ha dichiarato Stefan Zeuzem, Professore di Medicina dell´Università di Francoforte (Germania) e coordinatore di uno dei gruppi responsabili di questi importanti studi. I risultati conseguiti nell´ambito della sperimentazione di fase Iii condotta da Zeuzem, rivelano che gli effetti benefici del farmaco sono stati riscontrati in pazienti nei quali il trattamento ha dato storicamente esiti negativi. Il 39% di questo gruppo di pazienti, trattato con una singola dose settimanale da 180 mcg di interferone pegilato alfa-2a ramificato, presentava livelli non rilevabili di virus nel sangue 72 settimane dopo l´inizio del trattamento (48 settimane di trattamento seguite da 24 settimane di osservazione senza assunzione del farmaco). Un risultato particolarmente significativo rispetto al 19% dei pazienti sottoposti a terapia di induzione con interferone tradizionale, somministrato 3 volte alla settimana. Altri studi che utilizzavano l´interferone tradizionale, non a dosaggio elevato, hanno solitamente dimostrato risposte nell´ordine del 10-14%. Anche le condizioni del fegato, o l´istologia, sono migliorate in quasi due terzi (63%) dei pazienti trattati con questo nuovo interferone. "E´ particolarmente importante comprendere come i risultati ottenuti con l´interferone pegilato alfa-2a ramificato (Pegasys) risultano ancora più significativi se si considera che come gruppo di controllo è stato utilizzato un regime con interferone tradizionale ad elevato dosaggio" , ha aggiunto Zeuzem. "Nel complesso, si tratta di risultati da annoverarsi tra i più convincenti finora registrati da uno studio sul trattamento in monoterapia dell´epatite cronica C in quanto essi dimostrano chiaramente che questa particolare forma innovativa di interferone è in grado di offrire maggiori speranze alle persone colpite da epatite cronica C. La sicurezza e l´efficacia dell´interferone pegilato alfa-2a ramificato (Pegasys) sono state valutate in un´ampia sperimentazione multicentrica - di fase Ii/iii - su 271 pazienti con infezione cronica da virus C e con cirrosi epatica compensata. I dati provenienti da tale studio hanno rivelato che il 30% dei pazienti cirrotici trattati una volta alla settimana con 180 mcg di interferone pegilato alfa-2a ramificato ha ottenuto una soppressione virale protratta nel tempo, riscontratasi solo nell´8% dei pazienti trattati con interferone tradizionale. "Questo studio assume particolare rilevanza perché il trattamento dell´infezione cronica da virus C con interferone non era mai stato valutato in precedenza, in una popolazione di pazienti cirrotici ed in un trial clinico di così vasta portata", commenta Alfredo Alberti Professore di Medicina Interna dell´Università di Padova e ricercatore leader nel campo delle epatiti. "I risultati di questo studio rappresentano un importante passo in avanti per i pazienti cirrotici affetti da epatite cronica C, particolarmente frustrati perché nessun trattamento disponibile aveva mostrato un grado di efficacia tanto significativo," ha detto Jenny Heathcote, Professore di Medicina dell´Università di Toronto (Canada) e coordinatrice dell´altro dei gruppi responsabili degli studi. "Questo innovativo interferone agisce nei confronti del virus con estrema efficacia e ha inoltre il vantaggio di ridurre la somministrazione a una sola volta la settimana rispetto alla frequenza trisettimanale della terapia con interferone tradizionale". Fino al momento dell´introduzione in commercio, Pegasys sarà la sola forma di interferone per il trattamento dell´epatite cronica C che sia stata specificamente valutata in pazienti la cui malattia epatica è complicata da cirrosi. I pazienti con cirrosi hanno infatti dimostrato di essere altamente resistenti alla terapia con altre forme di interferone. In entrambi gli studi, gli effetti collaterali più frequenti sono risultati affaticamento, cefalea, mialgia/artralgia, sintomi parainfluenzali, nausea/vomito e reazioni nel punto d´iniezione. Tali sintomi, comunque, si sono evidenziati in egual misura anche nei pazienti trattati con interferone tradizionale. Si definisce pegilazione il processo di aggiunta di una molecola inerte di Peg (glicole polietilenico) all´interferone attivo. In questo caso, una grossa molecola (peso molecolare di 40 kilodalton, 40 kDa) ramificata di Peg viene unita alla molecola di interferone alfa-2a. Questa molecola di Peg aumenta la solubilità e la durata dell´esposizione al farmaco da parte del paziente. Si possono così potenziare l´efficacia e la tollerabilità dell´interferone, grazie ad una costante soppressione virale ed a una riduzione dell´incidenza e della gravità degli effetti collaterali connessi ai picchi di presenza del farmaco nel sangue del paziente. Più di 170 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da epatite C, che mette in pericolo le loro vite. Si stima che il 20% della popolazione colpita da questa malattia sviluppi, in seguito, cirrosi epatica. La cirrosi provoca lesioni permanenti al fegato, a causa della fibrosi che a sua volta interferisce con il flusso del sangue attraverso l´organo. Diminuisce così la normale funzionalità epatica e ciò, in ultima analisi, può portare alla morte. Secondo le stime dell´Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), circa l´80% dei pazienti infettati dal virus dell´epatite C evolve verso l´epatite cronica. Infolink: http://www. Roche. Com .  
   
 

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