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Notiziario Marketpress di Martedì 20 Ottobre 2009
 
   
  IL SENSO DELLA GIUSTIZIA EMOZIONI O PRINCIPI COGNITIVI? LE FORZE CHE CONTRASTANO LA LOGICA ECONOMICA E ARBITRANO IL CONFLITTO TRA EGOISMO ED EQUITÀ ESPERIMENTO ALLA SCUOLA INTERNAZIONALE SUPERIORE DI STUDI AVANZATI: LE PERSONE RIFIUTANO L’OFFERTA DI UN GUADAGNO SE LA PROPOSTA È INGIUSTA

 
   
   Trieste, 20 ottobre 2009 - Il senso della giustizia è un principio cognitivo che in situazioni di interazione sociale, come lo scambio o la trattativa tra individui, è più forte del principio di massimizzazione del guadagno. É questa la conclusione a cui giungono alcuni neuroscienziati della Sissa (Claudia Civai-phd e Corrado Corradi Dell’acqua-postdoc coordinati da Raffaella Rumiati) che, in collaborazione con l’University Medical Center di Amburgo, sulla rivista Cognition, cercano di far luce sul ruolo giocato dalle emozioni nei processi decisionali. Cosa guida dunque le nostre scelte? Quali sono i fattori che ci inducono ad agire in un determinato modo piuttosto che in un altro? Anche in quegli ambiti, come per esempio quello economico, in cui si ritiene che le nostre azioni siano guidate esclusivamente dalla logica e dalla razionalità? Utilizzando il cosiddetto ultimatum game, compito sperimentale preso dalla teoria dei giochi economici e largamente utilizzato in laboratorio, in particolare dagli economisti sperimentali, per indagare il comportamento nell’ambito del social decision-making, i ricercatori hanno riscontrato che le persone preferiscono rinunciare a ottenere una certa somma di denaro piuttosto che accettare un´offerta che ritengono ingiusta. “Le tecniche psicofisiologiche e quelle di neuroimmagine ci stanno aiutando a capire le basi neuropsicologiche di questo comportamento, cercando di dare una definizione psicologica e, se possibile, neurale, del senso di giustizia di cui (quasi) tutti facciamo esperienza, ma che è così difficile spiegare a fondo” commenta Claudia Civai, dal 2007 dottoranda in neuroscienze cognitive alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste. È stato ampiamente dimostrato come, in determinate situazioni, la maggior parte delle persone tenda a compiere scelte considerate irrazionali, poiché violano il principio utilitaristico di massimizzazione del guadagno, ritenuto, dalle teorie economiche classiche, il principio guida del comportamento. “L´aggettivo "irrazionale" deriva dall´idea che, alla base di queste scelte, operino emozioni negative, come la frustrazione, che ci indurrebbero a rifiutare il guadagno personale se associato a un atto moralmente e socialmente inaccettabile” precisa Raffaella Rumiati, coordinatrice del laboratorio di neuropsicologia e neuroimaging della Sissa. Il compito sperimentale A un giocatore (A), chiamato decisore, viene data una somma di denaro da dividere con un altro giocatore (B), definito ricevente. A deve fare delle offerte a B di spartizione del bottino (es. "ti offro 2 euro su 10"), e B può accettare o rifiutare le offerte sapendo che, se accetterà, il denaro verrà diviso così come A ha deciso (2 euro a B e 8 ad A), mentre, se rifiuterà, entrambi rimarranno a tasche vuote perdendo tutto. La teoria economica classica, per il principio di massimizzazione del guadagno, prevede che A offra sempre la minima quantità possibile (1 euro su 10), e che B accetti qualsiasi offerta, in quanto 1 euro è meglio di niente. In realtà, A tende a fare offerte eque (4 o 5 euro du 10), mentre B tende a rifiutare le offerte non eque (1 o 2 euro su 10), anche qualora i due giocatori interagiscano una sola volta, facendo dunque perdere al rifiuto la sua funzione dimostrativo-didattica. >>> La frustrazione per l´ingiustizia subita sarebbe, secondo le spiegazioni finora più accreditate, la causa scatenante del rifiuto "irrazionale". “Questa spiegazione a noi pare un po´ riduttiva – commenta Civai –. Infatti, pur non negando il coinvolgimento della sfera emotiva, ampiamente dimostrato in precedenti studi, riteniamo che il senso di giustizia e di equità sia qualcosa che non si possa esaurire in un sentimento di frustrazione, ma sia piuttosto qualcosa di adattivo all´interno della società, e per questo tutt´altro che irrazionale. Ci siamo dunque chiesti se la pura emotività, sottoforma di frustrazione, entrasse in gioco perché ci si trovava di fronte a un´ingiustizia, oppure perchè era il proprio portafoglio a fare le spese di questa ingiustizia”. I neuroscienziati hanno allora chiesto a dei volontari di giocare due versioni dell´ultimatum game: una in cui dovevano accettare o rifiutare le offerte rivolte a loro stessi, un´altra in cui dovevano decidere su offerte rivolte a una terza persona, a loro sconosciuta. Frustazione o senso di giustizia? “Mentre giocavano – illustra Raffaella Rumiati –, abbiamo misurato la loro risposta elettrodermica, una misura del livello di attivazione psicofisiologica dell´organismo, che ci è servita a stabilire se e quanto, nelle diverse condizioni sperimentali, i volontari fossero emotivamente coinvolti”. I risultati dimostrano che sia quando giocavano per sé sia quando giocavano per altri, i partecipanti all´esperimento rifiutavano le offerte non eque. Tuttavia, dall´analisi della misura psicofisiologica è emerso che quelle stesse persone si sentivano frustrate solo quando rifiutavano per loro stesse, ma non quando rifiutavano per una terza persona. “Riuscendo a dissociare una pura reazione all´ingiustizia da una reazione "inquinata" dal coinvolgimento del sé – continuano le ricercatrici – , abbiamo visto come rabbia e frustrazione non siano legate indissolubilmente al rifiuto dell’offerta, bensì alla conseguenza che la scelta ha su noi stessi. Quindi il rifiuto non va considerato come irrazionale, bensì quale frutto di un senso di giustizia che non può, a nostro avviso, essere ridotto a emozioni di base, come la rabbia, e centrate sul sé, come la frustrazione. Al contrario, questo senso di giustizia è piuttosto un principio cognitivo che, in situazioni di interazione sociale come scambio o trattativa tra individui, è più forte del principio di massimizzazione del guadagno”. Come è stato infatti dimostrato da numerosi studi di psicologia sociale, la cooperazione massimizza il guadagno globale del gruppo. Se si è egoisti e si interagisce tenendo esclusivamente conto del proprio guadagno, si verrà inevitabilmente puniti ed esclusi dal gruppo di appartenenza. In anni recenti c’è stato uno sviluppo massiccio delle tecniche di neuroimmagine, come la tomografia ad emissione di positroni (Pet) e la risonanza magnetica funzionale (fMri), che consentono di andare a scoprire ciò che accade nel cervello mentre si compie un´operazione mentale. Questo ha conseguentemente favorito un maggior utilizzo di questi strumenti per indagare moltissimi processi cognitivi e, recentemente, anche sociali. Il social decision-making, ovvero quell´insieme di processi decisionali che vengono messi in atto durante l´interazione tra due o più persone, è uno degli argomenti che sta sempre di più spopolando nell´ambito delle neuroscienze. .  
   
 

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