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Notiziario Marketpress di Lunedì 02 Novembre 2009
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: ITALIA CONDANNATA PER RETI DA POSTA DERIVANTI

 
   
  Il 29 ottobre 2009 è stata pronunciata la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in merito alla causa: C-249/08, Commissione/italia - Pesca – Assenza di sistemi di controllo efficaci sul divieto di reti da posta derivanti Il regolamento n. 2847/93 prevede che gli Stati membri adottino provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse in materia di pesca. Il rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza delle norme comunitarie è da ritenersi imperativo per garantire la protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile in condizioni economiche e sociali appropriate. Gli Stati membri sono tenuti in particolare a garantire il rispetto della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo ovvero l’impiego di reti da posta derivanti (cd: “spadare”) di lunghezza superiore a 2,5 km, e a decorrere dal 1° gennaio 2002, la detenzione a bordo o l’utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro lunghezza, ai fini della cattura di talune specie. Il regolamento n. 2847/93 impone agli Stati membri di controllare l’esercizio della pesca e le attività ad essa connesse, di ispezionare i pescherecci e adottare le misure necessarie per garantire il miglior controllo possibile sul loro territorio e nelle acque marittime soggette alla loro sovranità o alla loro giurisdizione. Nel 1992 e nel 1993, avendo ricevuto numerose denunce riguardanti l’uso da parte di pescherecci italiani di reti da posta derivanti di lunghezza superiore a 2,5 km, la Commissione effettuava due ispezioni rilevando carenze da parte delle autorità italiane nel controllo del rispetto della normativa comunitaria attinente all’utilizzazione delle reti da posta derivanti. Altre ispezioni e controlli fra il 1994 e il 1997 hanno rivelato la persistenza di numerose infrazioni, l’insufficienza e l’inefficacia dell’intervento delle autorità italiane. Nel 2005, la Commissione contestava all’Italia le carenze seguenti: – molteplicità delle strutture incaricate del controllo non accompagnata da un adeguato coordinamento e dalla necessaria cooperazione tra tali strutture; – assenza di un programma specifico di controllo; – mancanza di tempo, risorse umane e mezzi logistici necessari a svolgere un controllo efficace, tenuto conto in particolare della lunghezza delle coste, della dispersione della flotta e della molteplicità di compiti da espletare; – scarsa conoscenza, da parte del personale incaricato, della normativa applicabile e dell’elenco delle navi autorizzate; – insufficienza tanto dei controlli a terra e in mare; – reticenza delle autorità preposte per il rischio di reazioni sociali alle misure di repressione adottate; – mancata previsione di sanzioni per la semplice detenzione a bordo; – basso tasso di denuncia, da parte delle autorità di controllo, delle irregolarità constatate e – inadeguatezza delle ammende. Secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi. Pertanto, gli elementi di fatto prodotti dalla Repubblica italiana e relativi ad un periodo in gran parte successivo alla scadenza del termine fissato nel parere medesimo (metà del 2005) non possono essere presi in considerazione. A) Sull’inefficienza dei controlli. A sostegno del ricorso la Commissione ha prodotto 33 relazioni di ispezioni cui essa ha fatto procedere, nel periodo compreso tra il 1993 e il 2005, in vari porti di pesca italiani al fine di verificare il rispetto della normativa comunitaria relativa alla pesca mediante reti da posta derivanti. Emerge che la detenzione a bordo e l’impiego, da parte dei pescatori italiani, di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso erano frequenti, abituali e ampiamente diffusi durante tutto il periodo oggetto del presente procedimento. Le autorità incaricate della vigilanza di controllo delle attività di pesca non avevano posto in essere un’azione sufficientemente efficace per reprimere le violazioni alla normativa comunitaria. Il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva delle risorse umane e materiali sufficienti per effettuare operazioni in alto mare, e che potevano quindi essere effettuate unicamente dalla Guardia di Finanza. Il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva, peraltro, di sistemi di localizzazione via satellite dei pescherecci; la sua azione non costituiva oggetto di una pianificazione che consentisse di renderla più efficace. Nel periodo oggetto del presente procedimento, la sorveglianza e il controllo delle attività di pesca non erano efficacemente garantiti dalle autorità italiane e pertanto l’addebito relativo all’inefficienza delle autorità italiane nell’esercizio e nella pianificazione dei loro compiti di sorveglianza e di controllo è fondato. B) Sull’insufficienza della normativa italiana circa la repressione. La Commissione ha osservato che, contrariamente a quanto disposto dal regolamento n. 894/97, la normativa italiana vigente all’epoca del parere motivato, vale a dire la legge 963/1965, non prevedeva sanzioni per la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale della normativa italiana, la detenzione a bordo di tali reti verrebbe sanzionata solamente ove sia stata accertata durante la navigazione ovvero nel momento in cui l’imbarcazione salpa. È pacifico che la legge 101/2008 preveda sanzioni in caso di detenzione a bordo di reti di tal genere. Tuttavia, tale legge è stata emanata successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e resta priva di effetti sulla valutazione della sussistenza dell’inadempimento contestato in questa causa. Peraltro, è altresì pacifico che, prima della modifica 2008, n. 101, la legge 963/1965, non puniva la semplice detenzione a bordo di dette reti. Il governo italiano ha prodotto in udienza circolari con cui incitava l’amministrazione a procedere alla confisca delle reti da posta derivanti e a disporre sanzioni amministrative fondandosi sui regi decreti 1604/1931 e 1155/1940. La Corte dichiara che oltre al fatto che le menzionate circolari sono state adottate successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, non costituiscono valido adempimento degli obblighi incombenti agli Stati membri nel contesto dell’applicazione dei regolamenti comunitari. C) Sull’insufficienza delle denunce delle violazioni e sull’esiguità delle sanzioni. Il regolamento n. 2847/93 impone agli Stati membri di perseguire le infrazioni accertate. Le azioni promosse devono essere idonee a privare effettivamente i responsabili del beneficio economico derivante dalle infrazioni. I regolamenti nn. 2241/87 e 2847/93 forniscono indicazioni precise quanto al contenuto delle misure che debbono essere adottate dagli Stati membri e che debbono tendere all’accertamento della regolarità delle operazioni di pesca, allo scopo di prevenire eventuali irregolarità e nel contempo di reprimerle. Le misure attuate debbano avere un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo. Dai dati comunicati dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali e dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto emerge che, per quanto riguarda l’anno 2000, non erano praticamente mai state avviate azioni penali. Nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006, le sanzioni inflitte sono state scarse e le ammende amministrative ammontano ad un importo di circa Eur 1 000. Il numero di sanzioni inflitte e l’esiguità dei loro importi rispetto ai benefici ricavati dalle violazioni non sono contestati dalla Repubblica italiana. Per quanto attiene alla confisca delle reti da posta derivanti, la Repubblica italiana non ha fornito dati quantitativi se non con riferimento agli anni 2005-2007 (periodo largamente successivo alla data di scadenza fissata nel parere motivato). Anche qualora i dati prodotti dalla Repubblica italiana potessero essere presi in considerazione il quantitativo di metri di reti sequestrato non è di per sé significativo e corrisponde ad un numero di reti decisamente ridotto. La Repubblica italiana non ha avviato azioni amministrative o penali sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle infrazioni medesime. La Corte dichiara e statuisce: 1) Non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento (Cee) del Consiglio 23 luglio 1987, n. 2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca, nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento (Cee) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca, come modificato dal regolamento (Ce) del Consiglio 17 dicembre 1998, n. 2846. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.  
   
 

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