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Notiziario Marketpress di Martedì 15 Dicembre 2009
 
   
  I RISTORANTI D’ITALIA DE L’ESPRESSO 2010: 32A EDIZIONE

 
   
  La Guida Ristoranti d’Italia da quest’anno è anche in versione “mobile” su iPhone con la localizzazione (una mappa interattiva individua tutti i locali segnalati in Guida, con indicazione delle distanze dal punto in cui ci si trova e del percorso da effettuare per raggiungere il ristorante); la consultazione (con tutti i dati della versione cartacea e con la possibilità di selezionare i locali anche per prezzo e per voto); i preferiti (l’utente può memorizzare i ristoranti visitati). I punteggi e i numeri. Sono 15 quest’anno i ristoranti che ottengono i “tre cappelli”, cioè un punteggio compreso fra 18/20 e 19,5/20, nessuna nuova entrata e uno in meno rispetto all’anno scorso, in conseguenza della chiusura del Gambero Rosso di Fulvio Pierangelini. Al vertice, con 19,5/20, si confermano Vissani di Baschi, Le Calandre (famiglia Alajmo) di Rubano e La Francescana (Massimo Bottura) di Modena. A 19/20 ancora l’Enoteca Pinchiorri di Firenze e La Pergola (Heinz Beck) del Rome Cavalieri di Roma. Sale a 18,5/20 Villa Crespi (Antonino Cannavacciuolo) di Orta San Giulio, che così si affianca a Dal Pescatore (Santini) di Canneto sull’Oglio, Cracco di Milano, Combal. Zero (Scabin) di Rivoli Torinese. Si confermano a 18/20 Il Canto della Certosa di Maggiano (Lopriore) di Siena, Uliassi di Senigallia, Duomo (Sultano) di Ragusa, Miramonti l’Altro (Piscini-léveillé) di Concesio, Perbellini di Isola Rizza, Torre del Saracino (Esposito) di Vico Equense. Sono poi 57 i ristoranti con “due cappelli”, cioè con punteggio compreso fra 16,5/20 e 17,5/20 e 227 quelli con “un cappello”, con punteggio fra 15/20 e 16/20. Fra le regioni si conferma al primo posto la Lombardia, tuttavia molto statica e senza novità di rilievo, con 50 locali con almeno “un cappello”. Seguono, entrambe in forte e costante crescita il Piemonte con 26 e la Campania con 23. Quindi l’Emilia Romagna, stabile; il Lazio, in calo; la Toscana e la Liguria, in calo. E poi, nell’ordine, il Veneto, l’Alto Adige, le Marche, la Sicilia (che ha rallentato la crescita dagli ultimi anni), la Puglia e l’Abruzzo e Molise, il Trentino e la Sardegna, l’Umbria, la Calabria, la Val d’Aosta e la Basilicata. In totale, sono schedati quasi 2. 900 ristoranti, di cui 2. 500 sono recensiti, con oltre 400 nuovi ingressi; sono evidenziati con il “salvadanaio” i locali nei quasi si può mangiare correttamente spendendo non più di 30 euro; sono segnalate 150 enoTavole, cioè luoghi dove il vino “comanda” sul cibo. Un capitolo a sé è dedicato alle “Tavole della Birra”, mentre per ogni regione è riportata la ricetta di un “panino d’autore” realizzato da un cuoco-top in collaborazione con Negroni. Sono inoltre evidenziati nelle relative schede i ristoranti che Riso Gallo ha selezionato per la propria Guida ai “risotti eccellenti”. La Guida contiene dieci recensioni anomale e senza voto, che si affiancano a quelle “regolamentari”: le ha scritte, scegliendo egli stesso i ristoranti, Stefano Bonilli, penna di riferimento della critica enogastronomica italiana, già direttore della Guida del Gambero Rosso. Guardare oltre il 2010. “Il 2009 sarà ricordato come annus horribilis anche dai ristoratori. E non è affatto detto che nel 2010 le cose cambieranno in meglio”, dice Enzo Vizzari, il direttore de Le Guide de L’espresso. “ Ed è condivisa la convinzione che nulla tornerà come prima: certi modelli e certe forme di ristorazione devono essere ripensati e adattati alla luce delle mutate condizioni, dei comportamenti e dei gusti del pubblico”, aggiunge Vizzari. “La domanda di qualità alta e costosa – sia per l’offerta gastronomica strettamente intesa, sia per tutto ciò che l’accompagna – si concentrerà verso un numero di locali ridotto rispetto al passato: le cattedrali del gusto e del lusso, quelle vere, continueranno a esistere ma per (relativamente) pochi, qualcuna chiuderà, molte dovranno cambiare formula. Anche la fascia medio-alta deve legittimare sul campo giorno per giorno le proprie ambizioni e pretese (prezzi) e le proprie prestazioni (qualità) nei confronti di un pubblico più attento nello spendere e più esigente nel distinguere il buono dal mediocre, l’autentico dal falso, l’originale dalla copia”, dice Vizzari. “Anche per la ristorazione, insomma, il 2010 si presenta come l’anno della resa dei conti e della svolta. All’insegna di poche certezze: la prima delle quali, banale banale, si riassume nell’imperativo di dare la miglior qualità possibile – in termini di cibo, di cantina, di servizio, di ambiente – al minor prezzo possibile”. Ma come si mangia nei ristoranti italiani al tempo della crisi? “In Italia oggi si può mangiare addirittura meglio di ieri nei locali buoni e ottimi, mentre si è accentuato il divario fra la fascia alta e quelle medio-bassa e bassa. Chi ha alle spalle capacità, esperienza, risorse umane ed economiche adeguate, non ha vita facile ma, moltiplicando l’impegno, mantiene la rotta; chi viceversa ha costruito anche apprezzabili imprese su fondamenta fragili o improvvisate, rischia di perdere il passo; chi, infine, ha sempre commisurato iniziative e obiettivi alle proprie effettive potenzialità stringe la cinghia ma procede sicuro per la propria strada”, sottolinea Vizzari. “Non sono questi i tempi più propizi per l’esplosione di clamorose novità, né per l’affermazione di talenti emergenti, né per l’apertura di nuove frontiere “creative”. Anzi. Semmai sono i valori sicuri (leggi i cuochi) che si confermano, dimostrando la solidità delle loro doti, mentre pagano dazio orecchianti e improvvisatori. E non sorprende che, guardando alle tendenze e agli stili di cucina, si avverta un ripensamento a proposito delle esasperazioni e delle provocazioni da parte di parecchi cuochi che si concedono ora una pausa per riflettere su ciò che si rischia di perdere quando si insegue “il nuovo a tutti i costi”. Come inevitabile è un ridimensionamento nella corsa esagerata al lusso e alla ridondanza negli ambienti, negli arredi, nelle stoviglie, nella dimensione delle cantine e delle carte dei vini”. Conclude Vizzari: “Conferma tutta la sua attualità il decalogo Per la “nuova cucina italiana”(allegato, n. D. R. ), stilato dalla Guida tre anni fa e nel quale sono sintetizzate le peculiarità che fanno grande la cucina italiana contemporanea”. Le tendenze e le regioni Ancora, come ormai da molti anni, in provincia si mangia meglio che nelle grandi città; cresce il numero di locali tendenzialmente low cost con formule diverse, menu fissi, servizio essenziale; rallenta, ma di poco, la moda dei sushi e dei sashimi; cresce ancora la “voglia di trattoria”. Anche i grandi hanno sofferto e soffrono: con pochissime eccezioni, è soddisfatto chi a fine 2009 avrà fatto un 20 per cento in meno rispetto al 2008. Le regioni di grandi lunga più dinamiche sono il Piemonte e la Campania. In Piemonte negli ultimi cinque, sei anni è fortemente cresciuta la qualità media e crescono tuttora le tavole eccellenti, anche al di fuori della tradizionale area privilegiata delle Langhe: dal lago d’Orta sino alle pendici del Monviso, accanto ai valori sicuri e collaudati, emergono nuove realtà. Le punte sono il Combal. Zero di Davide Scabin e Villa Crespi di Antonino Cannavacciuolo. Ancora più vistosa è l’inarrestabile crescita del numero di locali di qualità in tutta la Campania e non solo nelle tradizionali zone turistiche. La Campania è la regione trainante della “nuova cucina italiana”, in Campania si realizza al massimo livello l’equilibrio virtuoso fra l’eccellenza e la varietà dei prodotti e la spinta innovativa dei giovani cuochi: nel cuore dell’Irpinia, nel Cilento, sulla costa fra Sorrento e Amalfi, con straordinaria concentrazione fra Vico Equense (primo fra tutti Gennaro Esposito della Torre del Saracino) e Massa Lubrense. Chi sale, chi scende. E’ stato introdotto quest’anno come soglia d’accesso il punteggio 12/20 e di conseguenza molti punteggi sono stati riparametrati tendenzialmente verso il basso. Sono quindi molto numerosi i locali che troveranno un voto ridimensionato rispetto al passato, soprattutto nelle fasce basse. Molto pochi, viceversa, sono quelli il cui punteggio è aumentato. Glenmorangie per la Selezione di Distillati: Il Cecchini di Pasiano di Pordenone (Pn); un decalogo per la “nuova cucina italiana” 1) La “tavola di qualità” è quella che crea e trasmette i piaceri della tavola attraverso una pluralità di fattori che concorrono a determinare la piacevolezza complessiva dell’esperienza gastronomica: primo fra tutti la bontà dei cibi, unita poi ai vini e alle bevande appropriati, alla gradevolezza e al comfort dell’ambiente, alla professionalità e alla cortesia del servizio. 2) Ristoranti, trattorie, osterie, con caratteristiche differenti e ciascuno nella propria categoria, possono tutti rappresentare altrettante “tavole di qualità”, in grado di soddisfare le propensioni di clienti con gusti, disponibilità economiche, aspettative e stati d’animo i più diversi. 3) Il requisito primo e irrinunciabile della “tavola di qualità” – al di fuori e al di sopra di ogni distinzione fra stili di cucina: tradizionale o innovativa, conservatrice o sperimentale, di locale grande e lussuoso o piccolo e informale – è che sia “buona e sana”. “Buona” perché salvaguarda ed esalta le peculiarità delle buone materie prime che la compongono. “Sana” perché i prodotti e le tecniche impiegati rispettano i principi basilari della salubrità alimentare. 4) Il patrimonio fondamentale della cucina italiana è l’eccellenza dei prodotti, veri e primi protagonisti di ogni piatto, alla cui massima valorizzazione il cuoco subordina le capacità e le tecnologie di cui dispone. 5) Il cuoco che vive il suo tempo è aperto, curioso, privo di pregiudizi nei confronti di prodotti che vengono da lontano e di tecniche innovative o estranee alla propria cultura, non teme di rielaborare, di fondere, di copiare con buonsenso e misura, sa cogliere il buono della globalizzazione, filtra criticamente il nuovo e il diverso attraverso il proprio bagaglio di conoscenze e di esperienze. 6) Tratto distintivo della “nuova cucina italiana”, e dei cuochi che la rappresentano, sono le radici ben salde nelle rispettive cucine regionali di riferimento, nei prodotti, nei sapori, nei gesti che le hanno caratterizzate nel tempo. Su queste radici è innestato l’impiego di prodotti, di tecniche e di strumenti offerti oggi dalla scienza applicata alla gastronomia, fermo restando l’obiettivo di realizzare una cucina di forte e precisa identità, moderna e italiana, nelle materie prime, nei sapori singoli e nelle loro combinazioni, nelle forme: insomma nell’anima. 7) La cosiddetta creatività acquista senso nel momento in cui consente di esaltare le qualità e le caratteristiche d’un prodotto o ne fa scoprire potenzialità inedite. 8) Ha scarso o nullo valore gastronomico l’impiego di strumenti, di prodotti, di applicazioni chimico-fisico-tecnologiche finalizzati soltanto alla trasformazione delle consistenze, delle forme, dei colori, quando cioè non comportino reali e significativi cambiamenti nel sapore dei cibi. 9) La cucina non è “gioco” anche se può divertire, non è “arte” anche se i piatti possono assumere forme studiate e armoniche, non è “scienza”, anche se nasce da regole e reazioni chimiche e fisiche: può essere fonte di emozioni e di piacere, fisico e mentale, indotti essenzialmente dai sensi del gusto, dell’olfatto e del tatto. 10) I cuochi non sono quindi geni né artisti né attori, bensì artigiani, più o meno valenti: aiutiamoli, tutti, a restare tali. .  
   
 

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