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Notiziario Marketpress di Lunedì 25 Gennaio 2010
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: OFFRIRE AI PROPRI CLIENTI LA PARTECIPAZIONE AD UNA LOTTERIA DOPO UN CERTO NUMERO DI ACQUISTI NON COSTITUISCE AUTOMATICAMENTE UNA PRATICA COMMERCIALE SLEALE (SENTENZA NELLA CAUSA C-304/08: ENTRALE ZUR BEKäMPFUNG UNLAUTEREN WETTBEWERBS EV / PLUS WARENHANDELSGESELLSCHAFT MBH )

 
   
  Una campagna promozionale di questo genere non può essere vietata dal diritto nazionale a prescindere dalle circostanze della singola fattispecie La direttiva europea 11 maggio 2005, 2005/29/Ce, sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno (che modifica la direttiva 84/450/Cee del Consiglio e le direttive 97/7/Ce, 98/27/Ce e 2002/65/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (Ce) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») ha lo scopo di contribuire al buon funzionamento del mercato interno e di assicurare un livello elevato di tutela dei consumatori. Essa introduce un divieto generale delle pratiche commerciali sleali atte a falsare il comportamento economico dei consumatori. La direttiva stabilisce altresì norme sulle pratiche commerciali ingannevoli ed aggressive. D’altronde, l’allegato I contiene un elenco delle pratiche commerciali che sono, in ogni caso, sleali. Una società tedesca di vendita al dettaglio, denominata Plus, ha lanciato la campagna promozionale «Ihre Millionenchance» («Diventa milionario!»), con cui il pubblico veniva invitato ad acquistare prodotti venduti nei suoi negozi per accumulare punti. Al raggiungimento di venti punti era possibile partecipare gratuitamente ad alcune estrazioni del Deutscher Lottoblock (associazione nazionale di 16 società che organizzano lotterie). L’associazione tedesca per la lotta contro la concorrenza sleale considerava tale pratica sleale ai sensi della legge tedesca in materia (Uwg), che prevede un divieto generale dei concorsi e dei giochi a premi con obbligo di acquisto. Su domanda dell’associazione, la Plus è stata condannata, in primo e in secondo grado, a cessare tale pratica. La Corte federale di giustizia (Bundesgerichtshof), che deve decidere in ultimo grado su tale controversia, chiede alla Corte di giustizia se la direttiva osti ad un divieto come quello previsto dall’Uwg. Nella sentenza pronunciata in data odierna la Corte constata che la direttiva osta ad una normativa nazionale, come quella prevista dall’Uwg, che prevede un divieto di principio delle pratiche commerciali che subordinano la partecipazione dei consumatori ad un concorso o ad un gioco a premi all’acquisto di una merce o di un servizio, a prescindere dalle circostanze della singola fattispecie. In via preliminare, la Corte rileva che campagne promozionali che subordinano la partecipazione gratuita del consumatore ad una lotteria all’acquisto di una determinata quantità di merci o di servizi costituiscono atti commerciali che si inscrivono chiaramente nel contesto della strategia commerciale di un operatore e sono rivolti direttamente alla promozione e allo smercio delle sue vendite. Ne deriva che esse costituiscono, a tutti gli effetti, pratiche commerciali ai sensi della direttiva e ricadono, conseguentemente, nella sua sfera di applicazione. La Corte rammenta poi che la direttiva realizza un’armonizzazione completa a livello comunitario delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori. Pertanto, come prevede espressamente la direttiva, gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive di quelle definite dalla direttiva in parola, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori. Per quanto riguarda la pratica di cui trattasi nella presente causa, la Corte dichiara che essa non è contemplata nell’allegato I della direttiva, che elenca tassativamente le sole pratiche che possono essere vietate senza essere esaminate caso per caso. Pertanto, tale pratica non può essere vietata senza che venga accertato, con riferimento al contesto di fatto di ogni fattispecie, se essa presenti un carattere «sleale» alla luce dei criteri enunciati dalla direttiva. Tra tali criteri rientra, in particolare, l’accertamento del fatto che la pratica falsa o è idonea a falsare in misura sostanziale il comportamento economico del consumatore medio in relazione al prodotto.  
   
 

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