Pubblicità | ARCHIVIO | FRASI IMPORTANTI | PICCOLO VOCABOLARIO
 













MARKETPRESS
  Notiziario
  Archivio
  Archivio Storico
  Visite a Marketpress
  Frasi importanti
  Piccolo vocabolario
  Programmi sul web








  LOGIN


Username
 
Password
 
     
   


 
Notiziario Marketpress di Lunedì 30 Ottobre 2006
 
   
  AL TEATRO FILODRAMMATRICI LE CINQUE ROSE DI JENNIFER DI ANNIBALE RUCCELLO

 
   
   Milano, 30 ottobre 2006 - È lo stesso Arturo Cirillo, icona della nuova scena napoletana, fatta di inconfondibili alchimie e guizzi cromatici, di “femenielli” diventati moderni “travestiti” che non possono più fare da tramite tra cielo e terra se non a prezzo di dolore, a dare parole alla sua nuova sfida: uno spettacolo in cui ritorna ad Annibale Ruccello, uno degli autori per lui più formativi e certo uno di quelli che più hanno reso possibile un teatro coniugato al tempo presente: “Si mette in scena – dice - un pensiero, un pensiero ossessivo e maniacale, quello di Jennifer, travestito napoletano. Un pensiero che porta al suicidio e se questo avviene o non avviene non ha nessuna importanza. Una solitudine di periferia e le sue proiezioni: la radio è se stessa, Patty Pravo è se stessa, la vicina è se stessa. Un io che non è più in grado di pensare l´altro, se non nella creazione immaginaria di un volto dentro una cornice vuota. Si muore di solitudine. Un attore che si traveste, un’attrice che si traveste. Mestruazioni finte, seni piatti, parti mai avvenuti. Tutto nella mente di un ragazzo di una città di provincia…”. Questo è, per suggestioni, il suo Cinque rose di Jennifer. Le note di regia Leggo Le cinque rose di Jennifer come una metafora della nostra esistenza, o per usare il linguaggio di uno degli altri personaggi che abitano la stanza in cui avviene la vicenda: “come una specie di simbolo di questa mia atroce solitudine”. Di tutti i testi che Ruccello ha scritto credo che questo sia quello dove maggiormente egli si sia rappresentato attraverso un altro da sé, certamente è il testo più legato ad una sua personale interpretazione come attore. Tutto è nella mente del personaggio (un travestito napoletano), infatti il piano di realtà, pur essendo estremamente concreto, è continuamente minato dal sospetto che niente esista realmente. Molti sono gli indizi sparsi nel testo: la creazione di un ipotetico quartiere ghetto per travestiti di nuova e non conclusa costruzione; la numerazione dei telefoni che sembrerebbero non appartenere ad una stessa zona (si passa dal 42 di Jennifer al 45 o al 25 degli altri); la corrente elettrica che scompare verso la fine pur lasciando in funzione la radio e che lascerà nel buio solo ed unicamente la stanza di Jennifer; il telefono che perderà la linea per poi riacquistarla negli ultimi istanti della vicenda. A questo elenco va aggiunto poi la creazione di tre personaggi che per buona parte della pièce accompagneranno ossessivamente il protagonista nel suo viaggio verso la notte. Il primo è Franco, uomo del nord, conosciuto da Jennifer una sera e che lei da molto tempo pervicacemente attende ed immagina, attesa che si dimostrerà sempre più straziante ed inutile, frutto unicamente della sua ossessione. Il secondo è un assassino che semina cadaveri nel quartiere attraverso una dinamica illogica (l’arma appartiene sempre alla vittima, la casa è solidamente chiusa dall’interno, gli stessi omicidi aumentano vertiginosamente nel trascorrere delle ore) e che farebbe pensare ad una sua non reale esistenza. Il terzo personaggio, l’unico ad apparire nella stanza, è Anna, altro travestito abitante nel quartiere, il quale per due volte s’intrometterà nel rumoroso mondo di Jennifer portando una variante al dramma della solitudine, e che nella sua seconda intrusione in scena svilupperà un racconto in cui la sua identità e quella di Jennifer slitteranno una sull’altra arrivando quasi alla possibile creazione di un doppio. Avendo scelto di osservare la storia da questo punto di vista credo sia chiaro il perché di certe scelte da me attuate; come l’aver dato alla radio sempre un´unica voce e l’aver fatto entrare Anna la seconda volta con il vestito che Jennifer indossava nella loro precedente scena insieme. Poi c’è la scelta di dare il ruolo dell’altro travestito ad un’attrice. E’ ormai da tempo che io amo giocare nei miei spettacoli su una certa ambiguità dei generi, soprattutto trovo interessante vedere come un attore affronta, attraverso un lavoro quanto è possibile interiore, delle realtà a lui non immediatamente vicine. Mi è sembrato bello e stimolante inserire in uno spettacolo che parla, tra le altre cose, di una non definita identità sessuale lo sguardo e la sensibilità di una donna. In fondo quello che si vede in scena sono due realtà non complete, dei corpi e delle menti in bilico tra il maschile e il femminile (e mi piace qui notare come Ruccello nel testo faccia parlare i suoi personaggi al femminile ma li descriva sempre al maschile). Non esiste il travestito ma esistono i travestiti, diversi come le vite di ogni persona, io e Monica facciamo i nostri, quelli che ci siamo immaginati, e attraverso di loro, anche dolorosamente, parliamo anche di noi stessi, di come noi siamo. Io ignoro cosa abbia spinto Ruccello a decidere di rappresentare la sua sensibilità e la sua emotività attraverso la figura, direi l’archetipo, di un travestito; io ho trovato, in questi personaggi, la disperata necessità della menzogna e dell’illusione per non vedere il niente delle nostre esistenze. Si mette in scena un pensiero, un pensiero ossessivo e maniacale, quello di Jennifer, travestito napoletano. Un pensiero che porta al suicidio e se questo avvenga o non avvenga non ha nessuna importanza. Una solitudine di periferia e le sue proiezioni: la radio è se stessa, Patty Pravo è se stessa, la vicina è se stessa. Un io che non è più in grado di pensare l´altro, se non nella creazione immaginaria di un volto dentro una cornice vuota. Si muore di solitudine. Un attore che si traveste, una attrice che si traveste. Mestruazioni finte, seni piatti, parti mai avvenuti. Tutto nella mente di un ragazzo di una città di provincia. Questo sono le nostre "cinque rose di Jennifer". Arturo Cirillo .  
   
 

<<BACK