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Notiziario Marketpress di Martedì 09 Febbraio 2010
 
   
  SCIENZIATI EUROPEI SCOPRONO PERCHÉ CI NUTRIAMO DI NOCI

 
   
  La fame porterebbe a mangiare alimenti mai assaggiati prima. Questo quanto sembra essere accaduto ai nostri antenati circa 2 milioni di anni fa, come dimostra una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). Un team internazionale di scienziati ha scoperto che gli adeguamenti sotto il profilo alimentare hanno probabilmente rivestito un ruolo chiave per l´evoluzione dei primi esseri umani. I risultati fanno parte del progetto Evan ("European virtual anthropology network"), che è stato finanziato con circa 3,3 milioni di euro attraverso il programma per la mobilità e le risorse umane delle Azioni Marie Curie del Sesto programma quadro (6° Pq). I ricercatori, coordinati dal professor Gerhard Weber del Dipartimento di Antropologia dell´Università di Vienna (Austria), hanno scoperto che i nostri progenitori hanno iniziati a cibarsi di grandi quantità di noci e semi poiché erano gli unici alimenti che riuscivano a recuperare. L´articolo pubblicato sulla rivista è il primo di una lunga serie dedicata all´analisi dei meccanismi alimentari di primati e australopitechi (un gruppo estinto di ominidi del genere Australopithecus, conosciuto principalmente mediante alcuni resti fossili risalenti al Pleistocene). Secondo gli scienziati, l´acquisizione della capacità di consumare alimenti di difficile ´lavorazione´ potrebbe essere stato un adattamento di grande rilievo dal punto di vista ecologico. I risultati ottenuti nell´ambito dello studio rivelano che lo scheletro facciale dell´Australopithecus africanus, un ominide vissuto due milioni di anni fa nell´area corrispondente al Sud Africa, aveva caratteristiche adatte al consumo di questo tipo di cibo ed aveva premolari sufficientemente resistenti. Tuttavia, i ricercatori lasciano supporre che il consumo di piccoli alimenti o di ingenti quantità di cibo non sia sufficiente a spiegare completamente l´evoluzione della struttura ossea facciale dell´Australopithecus africanus. "Piuttosto, è più probabile che le peculiarità principali della morfologia cranio facciale dell´australopiteco siano correlate all´ingestione e alla preparazione iniziale di alimenti protetti meccanicamente come noci e semi di grandi dimensioni", hanno spiegato i ricercatori. Per lo studio, i ricercatori provenienti da Austria, Germania e Stati Uniti hanno sfruttato tecnologia d´avanguardia. Il professor Weber e il suo team hanno messo a disposizione un kit di strumenti appartenente al loro gruppo di lavoro "Virtual Anthropology" (Va), mentre il metodo Finite Element Analysis (Fea), sviluppato nel 1943 per determinare in che modo oggetti dalla geometria complessa rispondono ai carichi, è stato messo a disposizione dall´Università di Albany (Stati Uniti). Inizialmente, il team ha ricostruito a Vienna un modello a 3D (tridimensionale) del teschio fossile. I ricercatori hanno affermato che la tomografia computerizzata è stata utilizzata per esaminare il fossile e creare copie digitali che potessero essere trattate e misurate elettronicamente. Una particolarità interessante di questo metodo è che permette di rimuovere alcune strutture, come le matrici di pietra incastrate nell´originale, senza danneggiare quest´ultimo. "In questo caso abbiano avuto fortuna poiché eravamo già in possesso di denti appartenenti a una specie analoga che ci hanno consentito di ricostruire la faccia priva di denti di ´Mrs Ples´, il nome con cui chiamiamo questo fossile," ha detto il professor Weber. Nel complesso, lo studio ha dimostrato che gli alimenti consumati dall´A. Africanus potrebbero aver contribuito ad ampliare la dieta della specie a causa della scarsa disponibilità dei cibi che componevano normalmente la loro dieta. "La nostra analisi corregge alcune incongruenze esistenti tra le ricostruzioni alimentari effettuate su base biomeccanica, la morfologia dei denti e l´analisi dei pattern di microusura presenti sui denti (che comprende lo studio di segni microscopici di usura e fratture sui denti)", scrivono gli autori. Il progetto Evan, coordinato dal professor Weber, riunisce ricercatori e aziende provenienti da Austria, Germania, Grecia, Spagna, Francia e Regno Unito. Gli obiettivi principali del progetto sono la diffusione di questo tipo di tecnologia in Europa e la formazione dei giovani ricercatori. La ricerca sarà utilizzata per ottimizzare la tecnologia implantare, le diagnosi mediche e la programmazione dei trattamenti clinici, come anche per migliorare le conoscenze sulla crescita umana. Infine, l´obiettivo è migliorare la qualità della vita degli europei. Per maggiori informazioni, visitare: Evan: http://www. Evan. At/ Università di Vienna http://www. Univie. Ac. At/?l=2 Proceedings of the National Academy of Sciences: http://www. Pnas. Org/ .  
   
 

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