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Notiziario Marketpress di Lunedì 22 Febbraio 2010
 
   
  ANGELO MONICO LA POESIA DEL SILENZIO IN MOSTRA A LODI PER BIPIELLE ARTE

 
   
   Lodi, 22 febbraio 2010 - La poetica del silenzio è la vera essenza della pittura di Angelo Monico, schivo e austero protagonista della scena artistica lodigiana del secondo dopoguerra, al quale viene ora dedicato un ricordo significativo - a quindici anni dalla scomparsa - dal critico, amico e collezionista Tino Gipponi, curatore di una mostra monografica allestita fino al 18 aprile 2010 presso lo spazio Bipielle arte di Lodi, gestito da Villaggio Globale International. A promuovere l’evento, che raccoglie la quasi totalità della produzione di Monico, con 37 dipinti, 30 disegni e diversi bozzetti di collezioni private, è la Banca Popolare di Lodi - con il patrocinio del Comune e della Provincia di Lodi – sensibile alla valorizzazione di una figura che, pur nella ritrosia a mettersi in luce, a esporre i propri lavori, a cercare in vita apprezzamenti da parte del mercato e della critica, era divenuto punto di riferimento e sensibile animatore di quell’ambiente culturale che rendeva fervida e stimolante la città lombarda. I lodigiani tuttavia non parvero comprendere la pittura dell’artista, “trepida e sommessa”, “matura e persuasivamente affascinante” fin dalle sue prime esperienze, inducendo Monico - formatosi prima presso lo studio del pittore-decoratore Silvio Migliorini e poi a Brera - a un orgoglioso, testardo e sofferto isolamento, in cui la pittura divenne questione privata, arte per l’arte, pura riflessione interiore e “onesta poesia”. Fu una vita sobria quella di “Angioletto”, come lo chiamavano gli amici: ovvero lo stesso Gipponi, lo scultore Giovanni Vigorelli - simile a Monico per temperamento e per analoghi pudori e di cui in mostra è proposto un ritratto in bronzo del pittore - Gaetano Bonelli, Benito Vailetti e altri. Vita e arte di sentimenti controllati e di solitudine pensosa. Nello scambio dell’arte con la vita e viceversa “Monico aveva scelto un itinerario teso all’ascolto di se stesso, accompagnando il culto della perfezione e della capacità tecnica con l’arte della “moderanza”, dell’ordine esigente e misurato: non c’è espressione di un’idea religiosa, sociale o politica nei suoi lavori, “perché con questa identità – come commenta Tino Gipponi nel suo partecipato ricordo dell’artista - la ricerca sarebbe apparsa come distrazione o scarto dalla propria non occasionale interiore verità“. La sua raffigurazione pittorica custodisce la verità delle virtù semplici, dimesse, di un mondo domestico sostenuto dalla vivida luce della poesia. “La ricerca tonale, con la calda sensualità del colore, e un modo rifinito di dipingere, paziente nel ripassare le immagini con sovrapposizioni di stesure e velature di pigmenti per irrobustire il tono, vengono consacrati nella loro aristocratica povertà”. Nelle opere di Monico - insicuro, costantemente e assurdamente insoddisfatto, al punto da lasciare incompiute decine e decine di tele nelle quali si era arrovellato senza soluzione, “quanti quadri ripensati e rielaborati o distrutti da determinato autolesionista” scrive Gipponi nel catalogo edito da Skira per l’occasione - aleggiano temi e memorie legati alla casa, alle atmosfere degli interni, alle persone e agli oggetti del quotidiano in essi ambientati. E un senso di sospensione e d’elegiaca attesa ammanta il tutto: un “poetico silenzio pari a quello scelto in vita, rifiutandosi di esporre e di confrontarsi, in attesa di qualcosa o di qualcuno. Ecco allora i tanti i ritratti con posa impassibile della madre, Teresa Lucchini, fissata nelle diverse età: figura archetipo e contrappunto di tonalità affettiva, “sublimazione del mito materno di una vigile custode“; e ancora il notevole dipinto “Bambina alla porta”, “capolavoro assoluto del periodo di guerra”, che ritrae in una luce calda e avvolgente, nell’immobilità dell’ambiente, la nipote Tanina seduta su una sedia, “le cui gambe di legno richiamano, stilizzate e volutamente rinsecchite, quelle della fanciulla”. Ecco le nature morte, in particolare l’affascinante “Natura morta con statua” ove il pittore riesce a non negare la luce, imbevendola nella densità delle cose e svelando la loro smaltata lucidità di vetro soffiato e – ancora – i “Tetti”, misurata sintesi compositiva dei piani, sinfonismo coloristico della materia, densa e accaldata nel meriggio di alta estate. .  
   
 

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