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Notiziario Marketpress di Lunedì 15 Marzo 2010
 
   
  L’ULTIMO SPETTACOLO DI TEATRIDITHALIA NELLA STORICA SEDE DEL TEATRO DELL’ELFO DI VIA MENOTTI UOMINI AL BUIO LIBERAMENTE ISPIRATO ALL´ULISSE DI JAMES JOYCE

 
   
  Milano, 15 marzo 2010 - Il regista palermitano Claudio Collovà torna all’Elfo con una nuova creazione, nata grazie al supporto produttivo di Teatridithalia: Uomini al buio - Ulyssage # 6, debuttato al Teatro Biondo il 10 febbraio, chiude la stagione della sala di via Ciro Menotti. Su questo stesso palcoscenico nelle passate stagioni avevamo già apprezzato altre sue creazioni, molto diverse per le fonti da cui partivano ma tutte ugualmente intense: Le buttane, tratto dai racconti di Aurelio Grimaldi (1999), Fratelli dal romanzo di Carmelo Samonà (2000) e La terra desolata dal poema di Thomas S. Eliot (2003). Artista dotato di una “forte tensione figurativa”, attento a unire parole e codici della scena, Collovà indaga con questo Uomini al buio un altro caposaldo della letteratura anglosassone, il romanzo di Joyce che ha rivoluzionato la cultura del Novecento. Preceduto da uno studio preparatorio, andato in scena con una sola replica lo scorso marzo, lo spettacolo è dedicato al capitolo Vi del romanzo, integrato da frammenti di testo provenienti anche da altri episodi. Il regista accoglie e rielabora nel suo spettacolo le corrispondenze di cui l’opera si nutre, a partire dalla struttura che ricalca l’Odissea omerica, sia per quanto riguarda i personaggi che l’andamento dei capitoli: un’epopea eroicomica in cui le peregrinazioni di Ulisse in mari e terre lontani divengono i movimenti di Mr. Bloom per le strade e nei bar di Dublino dalle otto del mattino alle ore piccole di un’unica giornata. Note di regia: Ho iniziato con molta emozione questo viaggio intorno all’Ulisse di Joyce, uno dei romanzi più affascinanti e carichi che siano mai stati scritti. Sono partito del tutto arbitrariamente dal Vi episodio, Ade\il cimitero, lavorando sulla materia sepolcrale del testo, assorbendone gli infiniti rimandi e plasmandoli in assoluta autonomia. Ho lasciato che dentro di me si facesse il silenzio necessario per assorbire i mutamenti profondi delle atmosfere, dei linguaggi usati da Joyce e della sua scrittura erroneamente ritenuta astrusa. La scrittura è magica, e allo stesso tempo concreta. Uomini al buio ripercorre il tema ancestrale della discesa agli inferi di due uomini, che visitano un cimitero. Un numero infinito di morti, conficcati nella terra brulla del Novecento. Chi sono questi due uomini? Stephen Dedalus e Leopold Bloom, i due protagonisti maschili della Sacra Famiglia joyciana, che con Molly Bloom completano la triade. Bloom compie il suo viaggio in uno stato di cecità spirituale, prima ancora che fisica. In questo brancolare disperato di un padre che cerca un figlio e di un figlio che cerca un padre, le due figure si moltiplicano agli occhi dello spettatore e, attraverso quella materia duttile e carica che è l’opera di Joyce, trovano una esistenza che li rende affini. ‘Una storiella di una giornata.’ nella definizione di Joyce. Joyce mi ha portato infinite suggestioni: sotto i miei occhi, queste due figure sono diventate ora i becchini di Amleto, figura assimilabile a Dedalus per azioni e destino, ora piccoli pensatori che discutono di putrefazione e sorvolano il mondo abbracciati in un unico battito d’ali. Esiliati da casa, che entrambi lasciano alle otto di mattina e senza chiave, praticamente sfrattati, in questo mio lavoro finiscono con l’incontrarsi al cimitero. Accompagnati nella loro peregrinazione da un Angelo presto seppellito e dimenticato. Al capezzale di un Angelo, così come Bloom è al capezzale di Molly, una morta in vita, almeno nel suo cuore. Dal suo punto di vista colmo di rimpianto e di fuga. Nel mio lavoro dedicato al Vi episodio, emergono tracce di altri due episodi, il Iv Calypso\la colazione, in cui si discute brevemente di metempsicosi, e il I Telemaco\la torre in cui attraverso il dialogo tra Dedalus e Buck Mulligan, l’Antinoo omerico, anche qui falso amico e usurpatore, si fa chiara la sua ossessione e senso di colpa nei confronti della madre morta. Il suo rifuto dell’educazione gesuitica che lo porta a non inginocchiarsi al capezzale della madre moribonda, gli viene rimproverato con parole di sublime durezza dal gesuita fondamentalista responsabile della sua educazione in Ritratto di artista da giovane, libro che precede l’Ulisse e che con la sua chiusura ne dà l’avvio.  
   
 

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