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Notiziario Marketpress di Lunedì 15 Marzo 2010
 
   
  ZIO VANJA DI ANTON CECHOV AL TEATRO LITTA

 
   
  Milano, 15 marzo 2010 - “Cechov in quanto agli uomini non riuscì in alcun modo ad assumere un atteggiamento paterno nei loro riguardi, poiché scoprì di essere soggetto al pari di essi alla medesima dolorosa e ineluttabile condizione umana. Preferì quindi considerarli fratelli.” Leone Pacini Savoj, Anton Cechov e Maksim Gorʼkij, 1951 Raccontare questi Anni Zero C’è una casa nella nostra storia, Zio Vanja, un luogo che si è conquistato a fatica, al prezzo di sacrifici. E c’è un Professore che torna ad abitarla con la sua seconda, bella, giovane moglie. Nella casa abitano Vanja e la sua nipote Sonja insieme alla njanja che li ha cresciuti, Marina, e talvolta è loro ospite il dottor Astrov, un medico originale che pianta i boschi per chi verrà dopo di noi, per “coloro a cui noi oggi apriamo la strada”. I personaggi di questa storia – che recitiamo nella nostra attualità – impiegano il loro tempo a tentare di scoprire cosa li lega uno all’altro, e che posizione è sensato prendere nei confronti del tempo, di questa possibilità che ci scorre dalle mani – la nostra vita. È una storia che indaga il senso della vita. Vanja, Astrov, Sonja e Elena svolgono un processo di ricerca del proprio perché, una volta scoperta l’insensatezza del proprio percorso. Vanja in primis si rende conto di aver vissuto un’esistenza inutile. Nel farlo fino in fondo affrontano tutto: la politica (perché il nostro stesso stare al mondo è di per sé permettere o non permettere che qualcuno ci governi), i sentimenti (perché ciascuno di loro non vuole restare solo), il sacro. Alla fine ciascuno di loro avrà una risposta. Uno spettacolo che cerca di esplorare il vuoto e le distanze tra i personaggi descritti da Cechov, individui che si muovono in un mondo che ha perso sapore, che ha perso senso e colore, nel tentativo di mettere in scena il vuoto che affligge i nostri anni. La generale mancanza di senso è all’origine di uno spazio scenico astratto dove i personaggi interagiscono in una realtà svuotata e ridotta a sagome, una pallida illusione di verità. Il percorso di Vanja culmina in un gesto di rivolta che non cambierà lo stato delle cose ma dopo il quale neppure si potrà dire che tutto continuerà a scorrere come prima. Il nostro Zio Vanja è una preghiera che tenta di abbracciare il nostro passato, e ci spinge a parlare con gli uomini che verranno dopo di noi, e che non conosceremo, esattamente come ha fatto Anton Cechov rivolgendosi a noi – centodieci anni fa – scrivendo questa storia. Lo facciamo da qui, dalla fine di questi anni zero, oggi, da Milano.  
   
 

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