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Notiziario Marketpress di Mercoledì 17 Marzo 2010
 
   
  FEDERLAZIO CONSEGNA LA PIATTAFORMA DELLA PMI A EMMA BONINO

 
   
  Roma, 17 marzo 2010 - La Federlazio ha incontrato ieri presso la propria sede di Roma la candidata alla Presidenza della Regione Lazio Emma Bonino. Nel corso dell’incontro il Presidente della Federlazio Maurizio Flammini ha consegnato alla candidata la “Piattaforma programmatica della Pmi”. Il documento, realizzato con il contributo degli imprenditori della Federlazio, racchiude le questioni considerate strategiche per lo sviluppo delle Pmi e del territorio regionale nel suo complesso (credito, infrastrutture, appalti, politiche per lo sviluppo dell’impresa, energia, internazionalizzazione, lavoro e formazione, innovazione, valorizzazione patrimonio culturale, rifiuti, sanità privata). L’incontro si è concluso con l’intervento di alcuni imprenditori che hanno rivolto domande alla Polverini. Le domande, oltre che dalla platea presente, sono arrivate anche dalle altre province della regione, in quanto l’incontro è stato trasmesso in videoconferenza da tutte le sedi provinciali dell’Associazione. La Piattaforma Programmatica Per Le Pmi Documento Federlazio per le Candidate alla Presidenza della Regione Lazio 2010-2015. Premessa Le elezioni regionali sono un momento importante per la vita dei cittadini e delle imprese del territorio, per le ampie competenze delle Regioni su materie importanti, quali Sanità e Politica Industriale, per citare solo due esempi. Nel caso nel Lazio, inoltre, l’appuntamento con le urne si connota per un elemento di discontinuità rispetto alle precedenti tornate elettorali, rappresentato dalle due candidature al femminile per la Presidenza della Regione. Oltretutto l’elettorato si trova dinnanzi due candidate entrambe alla loro prima esperienza in questo ruolo istituzionale, pur avendo ciascuna maturato esperienze importanti in ambiti contigui. Il che autorizza tutti a guardare con fiducia ed un certo entusiasmo alla nuova stagione politica che si sta per aprire. Come ha fatto in tutte le precedenti tornate elettorali la Federlazio, anche grazie ad una operazione di ascolto della sua base associativa, ha predisposto un documento che raccoglie una serie di indicazioni programmatiche da consegnare alle candidate presidenti. Nelle pagine che seguono sono riportate, per punti, le questioni che noi riteniamo strategiche per lo sviluppo delle Pmi. Ci preme però, prima di passare all’elencazione di questi temi, richiamare l’attenzione delle candidate su tre punti che consideriamo dei prerequisiti sui quali fondare una nuova politica per lo sviluppo e per la crescita di questa regione. Una sorta di “a priori” sul quale poi possono prendere forma scelte anche diverse, ma tutte informate a questi principi. Il primo punto si può sintetizzare con il termine questione morale. Abbiamo tutti noi bisogno di una regione nella quale non si debbano registrare, a scadenze più o meno regolari, episodi di corruzione di questo o quel dirigente, di questo o quel funzionario della Asl. Se quella contro la corruzione è una guerra, allora si adottino “leggi di guerra”, ovvero di strumenti tali da non consentire ai corrotti di potersi sottrarre alle proprie responsabilità. Bisogna organizzare una macchina regionale che non lasci spazi a questi fenomeni, insomma che eviti alla radice la tentazione. E poi sanzione dure, veloci, e inderogabili. Il secondo punto è la necessità di assumere, nella elaborazione delle politiche per lo sviluppo, il punto di vista della Pmi considerato che in questa regione è principalmente la piccola e media impresa che crea ricchezza, fa occupazione e coesione sociale. La Pmi costituisce l’articolazione nevralgica di questo territorio, è il nodo della struttura economica e sociale, e metterla al centro di tutti gli interventi (nelle politiche del credito, della formazione, dell’innovazione dell’internazionalizzazione e così via) significa realmente far crescere l’intero territorio regionale, dal centro alla periferia. Il terzo punto, infine, riguarda la necessità di adottare una logica di sistema in tutte le azioni di governo, rafforzando l’integrazione tra tutte le componenti territoriali e riducendo gli squilibri tra la Capitale e le altre province, tra le province stesse e tra aree all’interno di una stessa provincia. Ci auguriamo che la prossima Giunta Regionale possa fare propri questi tre pilastri sui quali basare le future iniziative a beneficio di questa regione. 1. Il Rapporto Con Il Credito E’ evidente come le problematiche che più attanagliano le piccole e medie imprese in questa delicata e lunga congiuntura economica siano soprattutto quelle attinenti al credito. In particolare, le difficoltà di accesso al credito in primis ricadono come una mannaia sul comparto delle piccole e medie imprese, costrette a fare i conti, oltre che con la crisi del mercato, anche con i tempi di pagamento da parte della Pubblica Amministrazione. Un simile quadro, all’insegna del credit crunch, è reso oltretutto ancor più difficile dalle disposizioni di Basilea 2 per le quali, forse, sarebbe opportuno una momentanea sospensione della loro applicazione, almeno in questa difficile fase congiunturale. Un ulteriore contributo nel dare risposta al fabbisogno di liquidità delle piccole e medie imprese, soprattutto quelle che forniscono la Pubblica Amministrazione, sarebbe dare loro certezza sulla tempistica dei pagamenti, ad esempio entro un mese, o mediante l’introduzione di un obbligo per gli enti debitori di fornire, entro 20 giorni dalla richiesta del soggetto creditore, la certificazione che il credito vantato sia certo e liquido. La certificazione dovrebbe altresì contenere la data di pagamento dell’obbligazione ai sensi di legge o di contratto, ciò rientrando nella filosofia del Milleproroghe 2010. Si tratta, dunque, di un’operazione di “certificazione per lo smobilizzo” che potrebbe anche essere utile ai fini di compensazione, laddove le imprese creditrici fossero a loro volta debitrici dell’amministrazione regionale. Con queste iniziative si sarebbe già fatto molto per attenuare il problema del fabbisogno di liquidità delle piccole e medie imprese, ma sarebbe altrettanto fondamentale dotare i Confidi di strumenti che possano agevolare il rapporto banca-impresa e creare una forte partnership con Banca Impresa Lazio, in grado di garantire alle imprese un complesso di vantaggi altrimenti non raggiungibili. La logica di collaborazione e di filiera che si andrebbe a creare tra Banca Impresa Lazio ed i Confidi non solo supererebbe una inevitabile concorrenzialità tra pubblico e privato a danno delle imprese, ma creerebbe una razionalizzazione dei fondi pubblici e una maggiore capillarità di diffusione dei prodotti. 2. Opere Pubbliche E Infrastrutture E’ difficile parlare di sviluppo senza partire dalle pre-condizioni che lo sottendono, tra le quali un ruolo fondamentale è giocato da un’adeguata dotazione infrastrutturale nel territorio che potrebbe essere monitorata attivando, ad esempio, un Tavolo regionale per le infrastrutture che individui le necessità. Per quanto concerne le azioni da attuare, si tratta di dare avvio immediato alle opere cantierabili accelerando le procedure necessarie a sbloccare quelle risorse già disponibili che possono essere immesse subito nel circuito dell’economia. Per il finanziamento delle opere più impegnative invece la Regione si può avvalere di strumenti quali la finanza di progetto. Si tratta poi di attivare o completare infrastrutture, quali: • la viabilità di servizio al casello autostradale di Ferentino già funzionante ed il collegamento con la superstrada Sora-frosinone-ferentino, di cui va accelerato il completamento; • la manutenzione della viabilità all’interno delle aree industriali e la realizzazione delle infrastrutture di servizio materiali ed immateriali importanti per consolidare e rendere più competitive le imprese; • la realizzazione, a nord del Lazio, del Centro Merci di Orte e, a sud del Lazio, dell’aeroporto civile di Frosinone con il relativo interporto merci e lo spostamento,a ridosso delle due opere, della stazione di Frosinone; • il Corridoio Tirrenico Meridionale o Superpontina per collegare meglio Latina a Roma. Se poi tale autostrada arrivasse fino a Formia, come stabilito dai progetti iniziali, questa potrebbe snellire enormemente il traffico di persone e merci. Ciò sarebbe nei fatti possibile solo se il cantiere fosse contestualmente aperto a Roma e a Formia e solo se contemporaneamente iniziassero anche i lavori per la fondamentale Cisterna-valmontone, non essendoci alternative valide a tale progetto; • per la parte Sud del Lazio, ancora dipendente dallo scorrimento della vecchia via Flacca, la situazione è ancora più complessa e rischia di peggiorare la fruibilità di realtà quali il Mercato Ortofrutticolo di Fondi e tutto il Sud Pontino; • la Ss Ausonia 630, che consente, attraverso il passaggio per Sora, il collegamento con la sponda adriatica, necessita di una messa in sicurezza e di un raddoppiamento, che possano valorizzare la città come snodo non solo per il trasporto passeggeri, ma anche per quello delle merci; • l’ampliamento della Ss 156 Monti Lepini, ormai ultimato il tratto Pontinia-sezze, necessita il completamento del terzo ed ultimo lotto Sezze-latina. Un discorso su tale ambito non può prescindere dall’analisi dell’incompiuta opera di Latina Scalo, dove la Società Logistica Merci continua ad incontrare incredibili difficoltà; • un discorso particolare merita la linea ad alta velocità, che dovrebbe prevedere una fermata a Cassino, raccogliendo il bacino di utenza di tutto il basso Lazio. E´ inoltre urgente prevedere un migliore utilizzo delle tratte Roma-napoli via Frosinone e via Latina, sia per quanto riguarda il trasporto passeggeri che merci; • il porto di Gaeta ancora oggi non vede valorizzare le sue enormi potenzialità come trasporto passeggeri (navi da crociera) e merci. L’asse d’interesse sembra troppo spostato sul porto di Civitavecchia, nonostante Gaeta sia inserita all’interno del network regionale dei porti laziali che ad esso fanno capo; • si deve proseguire sulla strada della realizzazione di un porto a Foce Verde intrapresa con l’istituzione di una Conferenza dei Servizi (che vede impegnata anche la Regione). Appare comunque sempre più urgente una revisione del Piano dei porti regionale; • il raddoppio della Salaria e la Ferrovia Rieti-roma; • il completamento della Rieti-terni e la Rieti-torano; • puntare in maniera forte sul trasporto aereo per cogliere la grande opportunità che per il reatino può rappresentare l’attuale fase di riordino del sistema aeroportuale della Capitale e la proposta di legge collegata alla realizzazione a Rieti del “Parco dell’Aria”, che potrebbe dirottare su Rieti i servizi aeronautici, anche militari e di protezione civile, istituendo nel contempo in città anche un sistema di formazione continua per gli addetti dei rispettivi comparti; • sviluppare le “aree interne”. Tali contesti territoriali devono essere valorizzati perché solo se ci si incardina saldamente sulle reti corte i singoli sistemi territoriali possono sperare di inserirsi sulle reti lunghe della globalizzazione, riuscendo così a coglierne tutte le opportunità ed attenuare, per quanto possibile, quegli effetti negativi sulle società locali che la stessa globalizzazione porta inevitabilmente con sé. E’ dunque indispensabile porre in essere una decisa azione politico-normativa che sappia imprimere una spinta al processo di riequilibrio delle sperequazioni tra aree interne e aree più sviluppate; • avviare i lavori per l’aeroporto di Viterbo e sul connesso sistema della viabilità. Si tratta di un’opera decisiva per il risveglio ed a vantaggio dell’economia, della competitività, dell’immagine della Tuscia e della sua piena integrazione con il resto del Paese e con l’Europa. L’aeroporto di Viterbo resta strettamente collegato con la realizzazione delle infrastrutture di collegamento con la Capitale, ma ad oggi i lavori di realizzazione non sono stati ancora avviati. Si tratta di passare celermente alla fase operativa per la realizzazione dello scalo aereo sul quale c’è ampia e storica convergenza di vedute ed intenti di istituzioni, forze politiche, organizzazioni imprenditoriali e sindacali, movimenti cittadini. Le attività propedeutiche all’apertura dei cantieri devono essere al più presto concluse, sbloccando i fondi pubblici disponibili, anche per le infrastrutture collegate, e snellendo l’iter burocratico per il via libera ai cantieri; • la Terni-viterbo-civitavecchia, specie in considerazione del forte sviluppo finora avuto dal porto di Civitavecchia che impone di dotarsi di sempre più adeguate infrastrutture di collegamento, sia stradali che su ferro, con la Capitale, considerando che sia l’A12 che l’attuale rete ferroviaria molto probabilmente diventeranno presto insufficienti; • la Cassia nel tratto Monterosi-viterbo, per il quale si attendono i fondi per realizzare gli ultimi 45 chilometri e le varianti ai centri urbani; Nell’ambito delle generali esigenze di snellimento delle procedure, vorremmo fare anche una notazione sul “piano casa” emanato dalla Regione Lazio, che può essere un’opportunità ma che finora non ha dato i risultati sperati. Questo anche perché, in generale, nessuna legge potrà fornire gli effetti che servono se essa non è di pari passo accompagnata da risposte rapide ed esperte da parte dell’Amministrazione preposta alla sua applicazione e da procedure chiare e snelle. In altri termini, oggi più che in passato, è necessario che siano: • potenziate le strutture dell’Amministrazione Pubblica competente, con l’inserimento di un congruo numero di risorse professionali, in forma diretta o indiretta; • snellite le procedure amministrative, ma soprattutto urbanistiche, necessarie all’attuazione del piano casa e dell’housing sociale. Anche perché è sempre più evidente che le procedure ordinarie oggi previste non consentiranno, soprattutto nelle grandi aree urbane, di avere la tempestività necessaria a far fronte alle esigenze sociali. Inoltre, sempre a proposito di housing sociale, non andrebbero poi dimenticate le problematiche legate al costo degli affitti per quei lavoratori giovani che, in cerca di autonomia, decidono di lasciare la famiglia di origine. Un contributo della Regione ad integrazione del costo dell’affitto potrebbe agevolare questa spinta dei giovani ad uscire dal nucleo familiare. Agendo di pari passo su questi due fronti, si otterrebbero due grandi e immediati risultati: un miglioramento occupazionale e, al contempo, la notevole velocizzazione della cantierizzazione delle opere con il relativo vantaggio per l’economia. In mancanza di questo, i tempi, già non brevi, necessari per attivare una operazione nel settore edile si trasformerebbero in una sterile attesa di anni. Parlando di infrastrutture non possiamo dimenticare quelle immateriali e, conseguentemente, la necessità di eliminare tutti gli impedimenti alla diffusione delle tecnologie dell’informazione, internet e reti wi-fi. Le problematiche del settore estrattivo La Direttiva 89/106/Ce che dal 1° luglio 2004 regolamenta l’impiego di tutti i materiali da costruzione e in caso di mancato rispetto prevede il ritiro di questi ultimi dal mercato. Tale normativa, per essere rispettata, necessita che il produttore attesti con certificazioni il rispetto delle norme per i propri prodotti. Il committente, a sua volta, deve richiedere nell’esecuzione dell’appalto l’impiego di materiali conformi alla normativa, compresa la certificazione dal produttore. Detta normativa è applicata su tutta la filiera di materiali da costruzione pertanto, nello stesso modo, si applica sia per il calcestruzzo, sia per i materiali utilizzati nei sottofondi stradali, sia per la preparazione di miscele bituminose. Le Norme di riferimento alla direttiva 89/106/Ce sono: Uni En 12620 “Aggregati per calcestruzzo”; Uni En 13139 “Aggregati per malta”; Uni En 13055 “Aggregati leggeri per calcestruzzi e malte”; Uni En 13242 “Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in opere di ingegneria civile e nella costruzione di strade”. A questo proposito proponiamo che per il fresato, l’appaltatore sia obbligato a provvedere a sua cura e spese a tutti gli adempimenti previsti dal D.l. Del 3/4/2006 n. 152 e s.M.i., così come definiti dal precedente decreto e connessi con tutti i lavori eseguiti, ivi comprese le rimozioni dei vecchi manufatti dei quali non sia espressamente indicato nel presente contratto che rimarranno di proprietà dell’Amministrazione. A tal fine l’appaltatore, prima della maturazione di ogni stato di avanzamento ed entro 15 giorni dalla data di ultimazione dei lavori, dovrà far pervenire alla Direzione Lavori una dichiarazione a firma del Legale Rappresentante, dalla quale risulti che tutti i rifiuti prodotti sono stati smaltiti nella forma di legge, allegando obbligatoriamente alla stessa dichiarazione i documenti da cui risulta l’avvenuto corretto smaltimento ai sensi del D.l. 3/4/2006 n. 152 e s.M.i., secondo la tipologia e la classe di rifiuto prodotto; la stessa Direzione dei Lavori, una volta acquisita tale documentazione, dovrà necessariamente unirla alla contabilità redatta. Resta inteso che tutte le categorie di lavori relative al contratto si intendano regolarmente eseguite soltanto dopo l’avvenuto smaltimento dei rifiuti durante la loro esecuzione, pertanto non si procederà alla loro contabilizzazione finché l’appaltatore non avrà ottemperato alle prescrizioni di cui sopra. Tutti gli oneri sopra specificati (riguardanti ad esempio le demolizioni, il cls, il fresato, le terre etc.) si intendono compresi e compensati nel corrispettivo offerto. In particolare, per lavori in conglomerato bituminoso i materiali da impiegare per il lavori compresi nell’appalto dovranno soddisfare le leggi e i regolamenti vigenti in materia ed in particolare la normativa europea della Serie Uni 13108 riguardante la marcatura Ce delle miscele bituminose prodotte a caldo che ricadono sotto la direttiva 89/106/Cee (prodotti da costruzione). Prima della maturazione di ogni stato di avanzamento lavori che preveda la fornitura e posa in opera di conglomerati bituminosi, l’appaltatore dovrà fornire tutta la documentazione attestante la marcatura Ce delle miscele bituminose prodotte a caldo utilizzate, allegando apposita dichiarazione di conformità del produttore che attesti il possesso dei requisiti previsti nonché copia conforme all’originale dei documenti di trasporto del materiale acquistato (bolle di accompagnamento). La fornitura e posa in opera di conglomerati bituminosi privi di marcatura Ce, dovrà comportare l’applicazione delle detrazioni in sede di contabilizzazione nonché, in danno, la rimozione obbligatoria degli stessi materiali e la sostituzione con prodotti certificati Ce. Inoltre, come previsto dalla normativa comunitaria, i prodotti utilizzati privi della marcatura Ce, dovranno determinare sanzioni a carico dei produttori, importatori e/o commercianti ed installatori, in quanto prodotti sottoposti al divieto di utilizzazione. 3. Politica Degli Appalti Tra le politiche che la prossima Giunta può mettere in atto a favore delle piccole e medie imprese quella che fa leva sugli appalti di opere o per la fornitura di beni e servizi crediamo debba essere oggetto di un’attenzione e di una sensibilità particolari. Un’attenzione che deve consentire di superare il paradosso cui si assiste da anni per il quale, da un lato, si fanno dichiarazioni a favore della centralità della Pmi nei processi di sviluppo economico e, dall’altro, si fanno politiche che vanno in altre direzioni. Un modo per eliminare questo paradosso nel campo degli appalti, ad esempio, sarebbe quello di evitare, quando ragioni tecniche non lo impediscono, di indire bandi pubblici per la fornitura di beni e/o servizi oggettivamente sempre più ritagliati sul modello della grande impresa che, in tal modo, escludono qualunque possibilità di accesso alle Pmi. La nuova politica degli appalti dovrebbe difatti essere pensata in modo da coinvolgere maggiormente le numerose Pmi presenti sul territorio, operando, quando è possibile, un frazionamento degli appalti stessi per renderli accessibili alle capacità organizzative, finanziare e tecnologiche di queste imprese mettendole in condizione di potervi partecipare. Correlata a questa “filosofia” riteniamo sia anche la necessità di limitare il più possibile la politica degli affidamenti in house, che lede il principio della libera concorrenza, così da evitare la penalizzazione delle imprese private. 4. Politiche Per Lo Sviluppo Dell’impresa Nelle politiche per lo sviluppo dell’impresa non può mancare un sistema di valutazione ex post dei risultati prodotti dalle varie misure emanate. Crediamo che, specie in una logica di ottimizzazione delle risorse a disposizione per le politiche di sviluppo, sia necessario prevedere l’introduzione di un meccanismo in grado di “chiudere il circuito”, anche per agevolare l’adozione di interventi volti alla “ritaratura” di queste iniziative laddove non fossero state pienamente efficaci. Prendendo sempre a parola d’ordine il concetto di “ottimizzazione delle risorse”, nel quadro generale delle politiche per lo sviluppo che la nuova Consiliatura dovrà elaborare riteniamo altresì importante che la Regione promuova ulteriormente forme di aggregazione tra imprese o la valorizzazione delle aree dove queste forme già esistono come, ad esempio, i distretti industriali. Sui distretti, infatti, crediamo siano maturi i tempi per un loro ripensamento, sia alla luce dei nuovi concetti di “filiera”, sia alla luce della fase critica di sviluppo che essi stanno vivendo, come è il caso di Civita Castellana. Sappiamo che l’economia viterbese dipende, fortemente, dal polo produttivo ceramico di Civita Castellana, dal quale deriva oltre il 50% del Pil provinciale. E’ un dato rilevante che testimonia il ruolo di traino di questo comparto nel tessuto economico della Tuscia. Un comparto che, tuttavia, da anni è “a rischio” nel panorama produttivo italiano, soprattutto alla luce della crisi che, iniziata nel 2008, continua a produrre i suoi effetti negativi sulle imprese del distretto industriale. Le numerose situazioni di crisi aziendale, e il conseguente, massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, sono la conferma di una perdurante fase di stasi produttiva e commerciale, che genera perdite di quote di mercato e incertezze nelle strategie future, con tutti i rischi di pesanti ricadute in termini occupazionali. Nell’ultimo periodo sono state avviate le procedure di messa in liquidazione di numerosissime aziende. Nonostante il riconoscimento dell’area di crisi nel distretto ceramico, i fondi messi a disposizione dal Piano Operativo della Regione Lazio e la vasta adesione ai bandi da parte delle imprese del distretto industriale interessate a nuovi investimenti (26 progetti ammessi in graduatoria), il cammino verso la ripresa appare ancora lungo e denso di incognite. Ma per contribuire al rilancio del tessuto imprenditoriale della nostra regione crediamo che possano essere adottati anche provvedimenti di tipo fiscale che tengano conto delle conseguenze che la crisi economica ha avuto sui bilanci delle imprese. In tal senso crediamo sia perseguibile la strada della sospensione del pagamento delle imposte locali per quelle aziende che, a causa della crisi, abbiamo chiuso i bilanci in perdita per due esercizi consecutivi o anche la possibilità di differimento degli stessi tributi. Sarebbe altresì utile una rivisitazione degli studi di settore da effettuarsi alla luce della crisi economica, che costringe a rivedere verso il basso i parametri economici. 5. Energia La questione energetica ha ormai conquistato un posto centrale nel dibattito politico ed economico del nostro paese essendo ritenuta una delle dimensioni principali della competitività. Le nostre imprese hanno bisogno di energia per crescere, ma ne hanno bisogno a costi concorrenziali, e ciò implica che dobbiamo capire con chiarezza quali saranno per il prossimo futuro le grandi opzioni energetiche per un paese come l’Italia, che dipende dal petrolio per l’85% circa del suo fabbisogno energetico (contro una media europea del 50%), e come gli attori delle politiche industriali intenderanno far fronte nei prossimi anni alle esigenze di approvvigionamento energetico del nostro sistema produttivo. Non vogliamo entrare nel dibattito “nucleare si, nucleare no”. Quel che è certo è che il fabbisogno energetico delle imprese tenderà a salire e, con esso, anche i costi di approvvigionamento. Si tratta dunque di adoperarsi affinché sia soddisfatto il fabbisogno crescente di energia, garantendo alle imprese una maggiore autonomia nell’approvvigionamento, e ne sia ridotto il costo affinché le nostre imprese possano essere più competitive. Crediamo che per il conseguimento di questo duplice obiettivo ci sia bisogno di un mix articolato di fonti energetiche da un lato, continuando nello sforzo sulle rinnovabili e, dall’altro, investendo su un nucleare “sicuro”, di ultima generazione, che rispetti i paramenti di sicurezza e salute. Non si tratta di scegliere una sola tipologia di fonte energetica sulla quale concentrare in via esclusiva sforzi e risorse ma di attivarsi per potenziare l’esistente e, nel mentre, iniziare a ragionare su ulteriori fonti complementari, e non alternative. Fondamentale per la Federlazio risulta puntare sulle energie rinnovabili, assistendo le Pmi nei processi di riconversione produttiva verso sistemi legati a queste fonti di energia (eolico, solare, fotovoltaico, biomasse), tutelando allo stesso tempo le esigenze di redditività dell’impresa ma anche di tutela dell’ambiente e del paesaggio nel suo insieme per non compromettere gli altri importanti fattori di competitività del nostro territorio (si pensi al turismo, all’agricoltura, all’enogastronomia). La Federlazio ritiene a questo proposito importante, per poter sviluppare adeguatamente le energie rinnovabili, che tali progettualità non possano essere bloccate da vincoli rigidi, come per esempio l’energia prodotta dall’eolico in grado di garantire un impatto ambientale più contenuto di quello prodotto dalle fonti fossili. A tal fine, preso atto che il Piano Energetico sviluppato dalla Regione Lazio (Per) prevede, tra i suoi obiettivi, lo sviluppo e l’aumento di produzione di energia da fonti rinnovabili, la Federlazio vorrebbe che il futuro Presidente della Regione Lazio assumesse l’impegno di esaminare la creazione di un tavolo tra istituzioni ed imprese interessate, affinché si possa conciliare l’iniziativa imprenditoriale e l’esigenza di una reale tutela ambientale nelle zone montane e pedemontane, ove l’energia eolica potrebbe essere prodotta in quantità elevate. 6. Internazionalizzazione Sappiamo che la crisi economica che si è abbattuta sulle nostre imprese nell’autunno 2008 si è manifestata essenzialmente sotto forma di una crisi della domanda. E che l’uscita dalla crisi deve passare attraverso una ripresa della domanda stessa e, in generale, un allargamento del mercato per tutte le nostre imprese. E’ su tali attese, e sulla necessità comunque di ampliare i confini della domanda oltre il perimetro nazionale, che la prossima amministrazione regionale dovrà impegnarsi prestando una speciale attenzione ai processi volti a favorire l’internazionalizzazione delle imprese. Il primo passo, quindi, è certamente assegnare una congrua dotazione finanziaria alla legge 5/2008, affinché essa possa esprimere appieno tutte le sue potenzialità a favore delle imprese desiderose di internazionalizzarsi, dato il successo riscontrato dai bandi finora emanati. Ma la proiezione internazionale dell’impresa passa anche per una fase di accompagnamento da parte delle Istituzioni verso i mercati esteri, attività che crediamo debba diventare un obiettivo di legislatura. Internazionalizzare ed accompagnare le imprese sui mercati esteri sono due fasi che dunque potrebbero diventare la mission di un assessorato da crearsi ad hoc, nel quale ricondurre competenze e strategie attualmente distribuite fra diversi assessorati, al fine di massimizzare gli effetti delle politiche regionali verso questa direzione. Inoltre, non è da dimenticare il ruolo svolto dai Consorzi Export ed il sostegno che danno alle imprese mediante l’erogazione di servizi specifici. Tali strutture rappresentano sul territorio il primo punto di riferimento per le Pmi e, dunque, in questa veste essi vanno sostenuti, anche finanziariamente, dalla Regione. 7. Lavoro E Formazione Lavoro e Formazione sono ormai due momenti che caratterizzano la vita degli individui, spesso senza soluzione di continuità. Tuttavia la formazione si sta rendendo sempre più necessaria anche nella fase successiva alla perdita del lavoro, affinché l’individuo possa riqualificarsi per trovare un’occupazione nell’ambito di un mercato del lavoro in continua evoluzione e sempre più esigente. C’è dunque un’interconnessione logica, tra la fase Lavoro e la fase Formazione che renderebbe forse utile, anche in questo caso, la riunificazione delle competenze dei due assessorati Lavoro e Formazione, al fine di rendere più efficienti le politiche da essi attuate. In particolare, a proposito di Formazione, crediamo che le politiche debbano esplicitamente ritagliarsi sulle esigenze delle Pmi, quelle imprese dove l’allontanamento del lavoratore per necessità formative, anche se per un tempo limitato, può a volte costituire una disfunzione nell’attività operativa dell’impresa. Da qui l’esigenza di valorizzare la Fad e di guardare a contenuti e strumenti coerenti con le peculiarità delle Pmi. Sempre nell’ottica di migliorare il sistema della formazione professionale in tutte le sue componenti, si potrebbe pensare ad introdurre un sistema di valutazione dei vari centri che erogano formazione professionale al quale legare forme di premialità per i migliori. Legato al tema formazione, si potrebbe anche pensare ad istituire per ogni bambino che nasce un contributo annuo (anche di entità modesta) da parte della Regione, a condizione che venga integrato da un contributo di pari valore da parte della famiglia, da spendere esclusivamente in formazione al compimento del 18° anno del soggetto. Infine, sempre nel quadro di favorire l’occupazione, la Federlazio crede altresì importante che la prossima Giunta Regionale preveda anche meccanismi premiali che favoriscano quelle imprese che non licenziano, che creano occupazione e che non ricorrono alla cassa integrazione guadagni, anche facendo grandi sacrifici. 8. Innovazione Tecnologica L’innovazione tecnologica è il motore da cui deve partire un grande processo di rilancio del sistema economico. In tale discorso è fondamentale che la piccola e media impresa, che non possiede gli strumenti delle aziende di grandi dimensioni, sia messa nelle condizioni di poter innovare nell’ottica di un processo di miglioramento continuo. Ciò richiede che vengano rafforzati tutti quegli strumenti in grado di avvicinare le Pmi all’innovazione. Ma, preordinata a questo, è fondamentale che si diffonda una cultura dell’innovazione tra le Pmi, capace di far emergere quella richiesta di innovazione oggi ancora latente. In questo senso crediamo che siano fondamentali le politiche della domanda, accanto e forse prima ancora delle politiche dell’offerta. In questo, un ruolo fondamentale può averlo la stessa Pa la quale può contribuire con una domanda qualificata a far evolvere il sistema d’impresa verso un’offerta altrettanto qualificata. In questo senso, la stessa domanda dei beni e servizi della Pa può essere un motore di innovazione di portata rilevante e costituire un fattore di “avvicinamento delle Pmi all’innovazione”. A ciò si aggiunga il fatto che per realizzare un programma di investimenti in innovazione tecnologica, le piccole e medie imprese della nostra regione devono attendere l’emanazione di bandi specifici, non potendo più attualmente usufruire della legge 598/94 per il venire meno della convenzione tra la Regione Lazio ed il Mediocredito Centrale Spa. Traendo spunto da questa situazione contingente, la Federlazio ritiene necessario ribadire la necessità di riavere una legge a sportello quale la 598/94 attiva sul territorio, sulla scia della realtà delle altre regioni italiane che ne sono dotate, affinché le Pmi possano innovare senza spostare l’asse temporale dei loro programmi di investimento. Tra le iniziative da sostenere, la Federlazio segnala in particolare: • Il Parco Scientifico e Tecnologico dell’Alto Lazio, quale importante luogo di progettazione nazionale ed internazionale che coinvolge istituzioni e mondo dell’impresa, in progetti di elevata innovazione. • La Cittadella della Ricerca e dell’Innovazione, che è finanziabile nell’ambito del Por, in cui è fondamentale l’accordo di programma che si raggiungerà tra imprese, centri di ricerca ed istituzioni locali per procedere alla creazione, tra Rieti e Cittaducale, di un importante luogo per accelerare i processi di creazione e diffusione dell’innovazione in un’area riconosciuta già della Regione Lazio “Distretto dell’innovazione e della ricerca”. Resta tuttavia preordinata a qualsiasi iniziativa da porre in essere da parte della Regione, la necessità di avere tempi certi. Accade infatti che, pur ottenendo l’approvazione del progetto, le imprese scontino tempi lunghissimi non solo per l’ottenimento dei fondi ma anche per ottenere risposte su quando tali fondi verranno effettivamente stanziati ed erogati. Col risultato che spesso le aziende si trovano a dover finanziare integralmente o, peggio ancora, a rinunciare ai propri progetti di investimento in innovazione tecnologica per mancanza di risposte e tempi certi relativamente a fondi legittimamente assegnati. Infine, sarebbe opportuno che il Comitato Strategico per la ricerca e l’innovazione si insediasse al più presto, affinché i compiti ad esso assegnati possano essere esercitati e, inoltre, sia definito il Programma Strategico triennale (che avrebbe dovuto essere già adottato entro febbraio 2009) ai sensi dell’art. 16 della legge 13/2008. 9. Valorizzazione Del Patrimonio Culturale Nell’ambito delle iniziative che possono contribuire al rilancio della nostra economia si inquadra la valorizzazione in chiave economica dell’ampio patrimonio culturale di cui è ricca la nostra Regione. Si tratta, in altri termini, di trovare gli strumenti, fiscali e normativi, che permettano di valorizzare al meglio il patrimonio artistico-culturale con il coinvolgimento del sistema della piccola e media imprenditoria privata che, per sua natura, possiede le capacità di gestire economicamente questo asset. Una capacità che può trovare spazio per esprimersi specialmente in una fase, come l’attuale, in cui è sempre più difficile per le amministrazioni pubbliche attuare interventi di recupero, valorizzazione e messa a reddito del nostro patrimonio culturale stante la carenza dei fondi. L’intervento del sistema privato può diventare dunque un modo per rivitalizzare il settore della cultura, e con esso quello del turismo, con risorse, idee e capacità organizzative. Con ciò non si intende sostenere che l’iniziativa pubblica debba essere sostituita da quella privata, ma che quest’ultima possa con quella interagire. Per fare ciò, tuttavia, è necessario trovare un sistema di interventi affinché il trinomio economia-cultura-turismo possa essere inserito in una prospettiva di sviluppo del territorio. Tra i possibili interventi in questo senso, si potrebbe pensare ad esempio ad una riduzione dell’Irap per tutte le imprese che decidono di investire in ambito culturale e turistico, alla luce della loro strategicità incontestata. Sul versante normativo invece sarebbe anche opportuno ridurre la copiosa ed articolata documentazione necessaria da produrre per ottenere le deduzioni spettanti per legge ai privati che decidono di investire nel settore della cultura. 10. Rifiuti Federlazio associa e rappresenta la quasi totalità degli imprenditori privati del settore dello smaltimento e/o trattamento finale dei rifiuti solidi urbani del Lazio, imprenditori i quali hanno sempre avuto un atteggiamento fortemente responsabile e cooperativo nei confronti delle Istituzioni. Tale cooperazione si è concretizzata non soltanto in un continuo confronto sui problemi del settore al fine di evitare ogni possibile emergenza rifiuti a Roma e nel Lazio, ma soprattutto in ingenti investimenti fatti a propria cura e spese e senza alcuna incidenza sulla finanza pubblica, diretti al progressivo completamento del sistema impiantistico previsto dal Piano Regionale di gestione dei rifiuti e in una gestione corretta e aderente alla normativa vigente, al fine di garantire trasparenza ed efficienza operativa. A fronte delle crisi a catena che hanno investito in questi anni le società pubbliche del settore, partecipate dai Comuni del Lazio, fino a condurle al fallimento, le imprese private hanno garantito il funzionamento del sistema rifiuti a tariffe altamente competitive che “per tabulas” risultano a tutt’oggi in assoluto le più basse dell’intero Paese e che richiedono una urgente revisione a tutela dell’efficienza del sistema. Tutto ciò, nonostante il fenomeno ormai endemico dei ritardati pagamenti da parte dei Comuni utenti, con punte di debito complessivo che hanno superato i 200 milioni di euro. Operare comunque, nonostante difficoltà ed ostacoli, è stata ed è la scelta delle imprese per essere vicine alle Istituzioni ed ai cittadini. In ogni caso, il sistema imprenditoriale privato dello smaltimento e del trattamento finale dei rifiuti a Roma e nel Lazio costituisce, per tecnologie (Bat) ed efficienza operativa, una risorsa preziosa ed insostituibile per le future politiche del settore, anche in alleanza con qualificati soggetti Pubblici come si è efficacemente verificato fra Pontina Ambiente ed Ecomed (pariteticamente partecipata da Acea ed Ama) per la realizzazione e l’esercizio (programmati dalla Regione Lazio entro l’anno 2012) del gassificatore alimentato a Cdr, prodotto dagli impianti di Roma e della centrale elettrica di Albano Laziale Loc. Cecchina, in esecuzione del Piano Regionale di Gestione dei rifiuti di cui al Decreto Commissariale n. 24 del 24 giugno 2008. 11. Sanita’ Privata 1) Strutture Specialistiche Ambulatoriali Accreditate Sul tema della sanità privata, gli obiettivi che gli operatori auspicano vengano raggiunti nella prossima legislatura regionale possono essere così riassunti: a) effettiva parità tra erogatori pubblici e privati e tra gli erogatori privati medesimi. Il sistema sanitario laziale è caratterizzato da un’offerta di tipo “misto”, nel senso di essere ben “bilanciato” tra strutture di natura pubblica e di tipo privato accreditato. Tutte le strutture operanti nel servizio pubblico – siano esse pubbliche oppure private – dovrebbero tuttavia trovarsi in una situazione di “parità”, per garantire il rispetto del principio di “libera scelta” del cittadino, sancito dal d. Lgs n. 502/1992. Sennonché, permangono nel sistema regionale laziale forti distorsioni, in quanto mentre le strutture private accreditate sono remunerate “a tariffa” e possono erogare prestazioni solo entro il limite dei tetti di spesa assegnati, per le strutture pubbliche né tale tipologia di remunerazione è mai entrata in funzione, né esistono tetti di spesa. Il principio della remunerazione delle prestazioni realmente effettuate deve dunque essere applicato sia alle strutture pubbliche che a quelle private accreditate. Va del resto considerato che anche il settore pubblico deve formare oggetto di attenzione, non in termini di tagli di prestazioni e posti letto, bensì di lotta agli sprechi. Basta pensare che dell’incremento della spesa nazionale per il Ssn, pari a € 16mld nel periodo 2004-2008, l’85% (€ 14 mld) è dovuto alle spese di funzionamento delle strutture pubbliche. B) separazione tra soggetto erogatore delle prestazioni (sia pubblico che privato) ed il soggetto acquirente delle prestazioni stesse (Regione). Si tratta di un principio recentemente enunciato dallo stesso Garante della Concorrenza e del Mercato che, con nota del 4.01.2010, inviata al Ministero della Salute, ha evidenziato la necessità che la programmazione sanitaria sia “regolata in modo chiaro e trasparente, demandando i compiti programmatori soltanto alla Regione, con esclusione della Asl”. Ciò, secondo il Garante, produrrebbe due effetti positivi: 1) ridurre l’insorgere di situazioni di conflitto di interessi; 2) semplificare la gestione della programmazione. C) terzietà dei controlli sugli erogatori pubblici e privati. I controlli devono essere assegnati ad un Ente terzo, che assicuri parità di condizioni nei controlli tra strutture pubbliche e private mediante la definizione di protocolli operativi uniformi. D) “specializzazione” delle strutture e valorizzazione della rete delle strutture ambulatoriali private accreditate esistente tramite sua “messa in rete”. Le strutture ospedaliere pubbliche sono “intasate” da accessi finalizzati all’erogazione di prestazioni specialistiche, con sottrazione di forti risorse economiche e di personale e una gestione meno efficiente delle attività di ricovero per acuti. Occorre pertanto concentrare all’interno delle strutture ospedaliere pubbliche le sole prestazioni relative ai ricoveri per acuti (e quelle specialistiche da erogare ai soli soggetti ricoverati), demandando alla rete territoriale privata accreditata le altre prestazioni specialistiche ambulatoriali. Ciò, oltre ad accrescere l’efficienza e l’efficacia di entrambi i settori, eviterebbe la costruzione, l’apertura e la gestione di nuovi “megapoliambulatori pubblici”, contrari ad ogni logica di risparmio sia in termini di costi di investimento (avendo la Regione a disposizione una rete già pronta sul territorio appunto costituita dalle strutture private accreditate), sia in termini economici, essendo enorme il costo di gestione di tali strutture. Al tempo stesso, la rete delle strutture private accreditate deve essere “messa in rete” insieme a tutti gli operatori del territorio, pubblici e privati (ospedali, case di cura, Asl, medici generici), per aumentare l’efficienza erogativa dell’intero sistema al servizio del cittadino. E) la valorizzazione della rete riabilitativa ambulatoriale esistente quale risposta alla de-ospedalizzazione riabilitativa. Fondamentale è la valorizzazione della rete riabilitativa ambulatoriale esistente (composta da circa 140 strutture distribuite sul territorio del Lazio), che consente di erogare un servizio riabilitativo veloce, economico e capillare quale risposta ideale alla de-ospedalizzazione in atto sul fronte della riabilitazione. In questa ottica, centrale è il ripristino della erogabilità in regime di accreditamento delle prestazioni antidolorifiche ed antinfiammatorie all’interno delle strutture ambulatoriali di Medicina Fisica e Riabilitazione, inopinatamente sottratte dai Lea dalla Dgr n. 96/2007, onde consentire anche ai soggetti economicamente disagiati un trattamento riabilitativo più efficace e non costringerli all’assunzione di costosi e dannosi farmaci (es. Fans) ovvero al ricorso a forme di riabilitazione non ambulatoriale. F) la corretta determinazione delle tariffe delle prestazioni di specialistica ambulatoriale. Le attuali tariffe della specialistica – ferme al 1991 e al 1996 – non rispecchiano più i costi di produzione e conseguentemente possono determinare un livello qualitativo inadeguato. Anche su questo argomento il Garante della Concorrenza e del Mercato, con la nota del 4.1.2010, ha avuto modo di chiarire l’esigenza di giungere ad un intervento normativo attraverso il quale individuare e disciplinare dettagliatamente e in modo trasparente le fasi del procedimento amministrativo volto alla determinazione delle tariffe, con particolare riferimento al loro aggiornamento, per evitare effetti negativi sull’innovazione tecnologica e sull’appropriatezza delle prestazioni erogate. G) la rete laboratoristica privata: qualità, non quantità. I Laboratori di analisi privati accreditati assicurano nel Lazio una rete capillare di assistenza sul territorio, garantendo un accesso rapido ed un pronta risposta analitica. Pertanto, la definizione di un percorso condiviso di riorganizzazione della rete dei laboratori privati deve escludere elementi quantitativi (numero delle prestazioni erogate) e fondarsi esclusivamente su elementi qualitativi, salvaguardando le imprese esistenti che rispettino tali requisiti qualitativi (strutturali, strumentali, di personale, controlli di qualità, ecc.) e la professionalità degli operatori e l’attività di consulenza svolta al cittadino da parte dei medici patologi e dei biologi. H) assegnazione in accreditamento alle strutture private accreditate di quelle ulteriori prestazioni per le quali si registrano liste di attesa e intervento sugli accessi al pronto soccorso. Le prestazioni per le quali si registrano le maggiori liste di attesa sono proprio quelle che le strutture private accreditate non possono svolgere, in quanto escluse da accreditamento: Tac, mammografie, Moc, ecografie, alcune visite specialistiche. Per azzerare le liste di attesa tutte queste prestazioni dovrebbero essere eseguibili presso le strutture private accreditate. E’ inutile spendere decine di milioni di Euro annui per sistemi centralizzati di prenotazione il cui solo risultato consiste nel vedersi prenotata una visita nei medesimi tempi biblici, visto che la capacità di risposta del sistema non muta aumentando il numero dei luoghi di prenotazione. Al tempo stesso, va arginato il fenomeno dell’improprio ricorso al pronto soccorso, determinato proprio dalla volontà di “eludere” le liste di attesa, anche mediante l’introduzione di sistemi di compartecipazione alle prestazioni ricevute, ormai adottati in numerose regioni italiane. I) autorizzazione e accreditamento per le strutture pubbliche e private. Si parla sempre di autorizzazione ed accreditamento solo per le strutture private, come se si trattasse di un problema esclusivo di queste ultime, peraltro con una forte connotazione ideologica (come se solo il privato andasse appunto controllato). In realtà, sia la legislazione nazionale, che quella regionale, prevedono l’istituto dell’autorizzazione e quello dell’accreditamento sia per le strutture pubbliche che per quelle private, visto che entrambe devono offrire un servizio all’interno di strutture idonee e con adeguate caratteristiche qualitative. J) concertazione. Ultima in ordine, ma prima per importanza, è la concertazione. Non è possibile continuare a demandare la gestione della sanità a “cabine di regia”, vere e proprie “torri d’avorio” che finiscono per adottare, in modo autoreferenziale e poco trasparente, provvedimenti sbagliati ed iniqui. E’ solo dialogando costantemente con gli operatori e condividendo percorsi comuni che si perseguono risultati virtuosi, non già calando soluzioni dall’alto. 2) Strutture Del Settore Salute E Assistenza Sanitaria In Regime Sia Privato Che Di Accreditamento a) strutturare un sistema di qualità. Il bisogno primario di ognuno di noi, e quindi il valore supremo, è la salute, che a livello di sistema si collega al grado di qualità del sistema sanitario. In una parola si tratta di produrre buona sanità. Il percorso logico per favorire al massimo la produzione di prestazioni sanitarie di qualità dovrebbe essere il seguente: 1) Stabilire il grado di qualità delle prestazioni ritenuto ottimale. E’ il concetto di “best practice” o meglio di intervallo di best practice. 2) Realizzare ed adottare un sistema di misurazione oggettivo della qualità delle prestazioni attraverso un sistema di indicatori 3) Si arriva quindi a misurare la qualità di ogni singola prestazione di ogni singolo operatore con la possibilità finale di definire il range della “best practice”. Se il sistema sanitario conosce il grado di qualità erogata da ciascun operatore e l’informazione è gestita con la dovuta trasparenza, si possono ottenere due importantissimi obiettivi: a) La programmazione sanitaria orientata alla qualità; b) La consapevolezza da parte del cittadino di poter scegliere il medico e il luogo di cura che più tutelano il proprio diritto di salute. Non vi è dubbio che questo rappresenterebbe un passaggio epocale del nostro sistema sanitario che finalmente metterebbe in disuso gli obsoleti criteri che sono ancora utilizzati in molte parti d’Italia. Auspichiamo che non ci siano più confusi sistemi di valutazione delle qualità basati sul numero di posti letto di un ospedale e sul loro mancato utilizzo. Appare chiaro quindi che il concetto di qualità deve essere inteso nella giusta ampiezza e articolazione con riferimento a tutti gli elementi di cui può essere caratterizzato; l’esito della cura, l’appropriatezza, la congruità, l’economicità e quant’altro. E’ compito del sistema degli indicatori cogliere con efficacia tutti questi aspetti per poter arrivare a delle valutazioni complessive e complete. Per quanto riguarda la qualità e l’efficienza del sistema, particolarmente importante è implementare un sistema di controllo sulle liste d’attesa ed, in particolare, sulla modalità di gestione delle stesse sia in ambito di ricovero che in ambito ambulatoriale. B) assumere il concetto di Concertazione come valore aggiunto del sistema. Gli sforzi di migliorare il sistema attraverso la definizione di nuovi obiettivi ispirati alla qualità delle prestazioni e alla piena soddisfazione degli utenti passa necessariamente per scelte e processi che assumono un’importanza strategica fondamentale. Da questo punto di vista è auspicabile e opportuno cha la parte pubblica si confronti in modo sistematico con tutti gli altri protagonisti del settore socio-sanitario. Si tratta di introdurre un sistema efficiente e permanente di Concertazione con la finalità di orientare, in modo condiviso, le scelte e la gestione dell’intero comparto, attraverso la costituzione di un tavolo tecnico-politico al quale partecipino i rappresentanti delle istituzioni e della associazioni di categoria. Tale strumento permetterebbe la contemporanea valorizzazione e sfruttamento delle eccellenze tecniche a prescindere dal loro status soggettivo e, soprattutto, faciliterebbe la diminuzione se non l’eliminazione dell’enorme livello di contenzioso presente storicamente nel settore. C) promuovere la libera scelta del cittadino e la qualificazione della Rete assistenziale. L’ultima riforma del Sistema Sanitario Nazionale (decreto legislativo 502/1992 e successive modifiche e integrazioni) ha previsto la libera scelta da parte del cittadino tra tutte le strutture sanitarie che, a prescindere del loro status giuridico, abbiano ottenuto l’accreditamento istituzionale. Pertanto le strutture accreditate pubbliche e private agiscono, in sostanziale parità, come vere e proprie strutture del Sistema Sanitario e lo strumento dell´accreditamento istituzionale diviene assolutamente obiettivo prioritario per il programma regionale. Le patologie oggi socialmente rilevanti possono più agevolmente trovare, nella logica di una risposta di qualità alle attese del cittadino – utente - paziente, una migliore sistematizzazione nelle definizione ed implementazione della Rete Assistenziale. Una rete oncologica, un percorso Cuore, una rete delle emergenze, delle malattie infettive, della riabilitazione post mielolesione, della neurochirurgia etc, devono trovare le necessarie sinergie. Per quanto riguarda le prestazioni sanitarie oncologiche, riteniamo non opportuno definire il tetto di spesa. Stabilire un limite alle prestazioni radioterapiche è quantomeno inopportuno in un Paese che vanta un Sistema sanitario “universale”. Per quanto riguarda la rete assistenziale, un altro tema importantissimo che aveva animato i dibattiti post Dlgs 502, e che sembra un po’ dimenticato, riguarda la necessità di fissare con estrema precisione il ruolo di chi produce i servizi sanitari e chi deve verificarne la congruità, controllare la qualità e alla fine pagarne il corrispettivo. Ci riferiamo al concetto di terzietà fra erogatore e pagatore/controllore che deve essere un pilastro portante del sistema sanitario. Si ritiene pertanto che il controllo sull’attività delle strutture, rivolto al mantenimento dell’assistenza su livelli appropriati di qualità, debba essere assegnato ad organismi connotati da elevata professionalità, contraddistinti per la terzietà rispetto all’ente finanziatore, al fine di garantire una sostanziale indipendenza ed equità nel giudizio (sull’esempio statunitense delle Professional Review Organizations). D) implementare i principi del Patto nazionale per la salute. Il Patto per la Salute 2010-2012, firmato recentemente da tutte le regioni italiane al fine di definire le nuove modalità di finanziamento nazionale dei sistemi sanitari regionali, ha stabilito un fabbisogno di 4 posti letto ospedalieri (Acuti, Riabilitazione e Lungodegenza) ogni mille abitanti. Questo obbiettivo dovrà essere raggiunto dalle Regioni sottoposte a Piano di Rientro entro la fine del 2010 mentre le altre regioni potranno farlo nell’arco di tre anni. E’ indispensabile che la Regione Lazio ottenga dalle altre Regioni la possibilità di spalmare la riduzione di posti letto prevista nell’arco della prossima legislatura (o almeno nei 3 anni previsti per le altre regioni) in quanto la riduzione di posti letto ospedalieri è stata decisa a livello nazionale al fine di dare luogo ad una sostanziale ristrutturazione dei sistemi sanitari regionale promuovendo l’assistenza residenziale e domiciliare. E’ del tutto evidente che una rivoluzione di questo tipo, affinché abbia effetti concreti in termini di appropriatezza delle cure e risparmio delle risorse, deve essere attuata con gradualità e nel corso di un quinquennio altrimenti si corre il rischio di provocare un ulteriore incremento delle spese ed una maggiore inappropriatezza organizzativa delle cure. Il riordino della Rete Ospedaliera deve essere contestuale per tutto il settore socio sanitario in modo da dare una risposta adeguata per i vari livelli di assistenza. In particolare sarebbe opportuno che la Regione Lazio, prima di procedere alla riduzione dei posti letto ospedalieri, stabilisca la realizzazione dei posti letto residenziali e domiciliari già previsti dal Psr (eventualmente attraverso riconversioni) i quali dovranno assorbire le prestazioni che oggi vengono purtroppo erogate in ambito ospedaliero in quanto mancano i servizi alternativi (soprattutto residenziali e domiciliari). A tale proposito si rammenta che nella regione Lazio l’attuale carenza di posti letto di Rsa ammonta a oltre 8.000 unità. Tagliare l’assistenza ospedaliera senza creare preventivamente valide alternative assistenziali comporterebbe inevitabilmente lasciare senza cure tempestive molti casi cronici e di invalidità, provocando di conseguenza enormi disagi alla popolazione, come già avvenuto negli ultimi anni per effetto delle riduzioni di posti letto nel settore privato. E) definire correttamente il fabbisogno di assistenza sanitaria. Il recente Piano Sanitario Regionale, predisposto dal Commissario ad Acta sulla base dei principi contenuti nel Patto per la Salute 2010-2012, ha stimato il fabbisogno di prestazioni sanitarie ospedaliere e residenziali per il periodo 2010-2012 utilizzando la popolazione residente nella Regione Lazio al 01/01/2009. E’ evidente che tale fabbisogno risulterà decisamente sottostimato per il periodo 2010-2012 in quanto, secondo dati Istat, la popolazione della Regione Lazio s’incrementa di circa 107.311 unità all’anno (media triennale Istat degli incrementi 2006-2009 ). Pertanto, sarebbe più opportuno prendere come riferimento una popolazione stimata per proiezione statistica al 30/06/2011 (data intermedia tra il 2010 e il 2012, periodo di durata del Piano). Tale popolazione sarebbe di circa 268.276 persone residenti superiore a quella utilizzata come riferimento dal Psr. Orbene, essendo il fabbisogno di posti letto ospedalieri (acuti, riabilitazione e lungodegenza) pari a 4 per mille secondo quanto previsto dal Patto per la salute, ne consegue che se prendessimo come riferimento la popolazione stimata al 30/06/2011, il fabbisogno previsto nell’attuale Piano Sanitario risulta inferiore di 1.073 posti letto a quello effettivo. F) ottimizzare le risorse e ridurre i costi. E’ opportuno orientare la programmazione verso le prestazioni abbandonando la logica meramente finanziaria che deve essere una conseguenza a livello di controllo di spesa. Deve essere promossa l’individuazione e la conseguente valorizzazione delle eccellenze e abbandonata la logica della quantità: il principio del letto non performante deve essere superato. Determinare il costo degli operatori privati è una semplice operazione aritmetica fra voci di spese assolutamente evidenti e trasparenti; riuscire, invece, a quantificare l’onere a carico dei bilanci pubblici delle prestazioni fornite da Asl e Aziende Ospedaliere, è un’impresa oggi quasi impossibile. E’ quindi auspicabile il massimo grado di trasparenza per dare a tutti la possibilità di apprezzare il rapporto costo/beneficio della produzione sanitaria. I cittadini, e non solo, hanno interesse a raggiungere l’ottimizzazione dei fattori produttivi impiegati; sotto questo aspetto gli erogatori privati sono convinti di poter giocare un ruolo importante nella consapevolezza di saper gestire le risorse in modo ottimale. La conoscenza certa dei costi e quindi delle capacità gestionali dei soggetti erogatori, aiuterebbe non poco ad orientare le politiche statali e regionali per un’equa distribuzione delle risorse orientata a premiare le realtà virtuose. Visto quanto sopra esposto, la Regione Lazio, al fine di realizzare una sostanziale riduzione dei propri costi, dovrebbe privilegiare le strutture che, a fronte dello stesso livello di qualità ed efficienza, risultino più economiche. A tale proposito, segnaliamo che alcuni autorevoli studi hanno dimostrato che, a parità di prestazione di ricovero (cioè per uno stesso Dgr), erogare tale prestazione in strutture private costa circa il 46% in meno rispetto a quanto costerebbe erogarla in una struttura pubblica. Dovrebbe essere implementato, inoltre, un sistema di adeguamento delle tariffe delle prestazioni che tenga conto della variabilità del costo dei fattori produttivi in modo particolare del costo del lavoro, che rappresenta l’elemento più significativo e che viene sistematicamente aggiornato ogni due anni per effetto dei rinnovi contrattuali. Infine, nel caso di tetti di budget non utilizzati o non completamente raggiunti da parte di qualsivoglia struttura, gli stessi dovrebbero essere resi noti ed eventualmente ridistribuiti tra le strutture che abbiano superato il budget secondo criteri condivisi. G) Promuovere le Sperimentazioni gestionali La necessaria integrazione pubblico-privata passa anche attraverso nuove forme di collaborazione, alcune già sperimentate con successo nel Lazio ed in altre Regioni. Rivedere la rete ospedaliera, potenziare il territorio, allocare conseguentemente le risorse in maniera adeguata, rendere appropriate le prestazioni, rischiano di divenire veri "fonemi", vuote aspirazioni, se non immettiamo concretamente nel sistema alcune idee-guida: leggere il territorio e rispettarne la vocazione, far discendere le scelte dalla qualità. In questa logica riconvertire alcuni presidi ospedalieri, evitare l´apertura di altri, inutili doppioni, utilizzare come "Presidio della Asl" la struttura privata esistente sul territorio è un passo avanti verso la razionalizzazione ed ottimizzazione del sistema, in una logica di risposta alle esigenze del cittadino-utente. Tutto ciò premesso andrebbero incrementate le joint venture pubblico-privato che hanno dimostrato una sinergia efficiente. Esistono nella Regione Lazio alcune esperienze consolidate di integrazione tra pubblico e privato, come le strutture già convenzionate con il “Pio Istituto di S. Spirito e Oo. Rr.. Di Roma”, che svolgono attualmente attività per il Servizio Sanitario come Presidi Ospedalieri di Asl. Queste si configurano come le uniche strutture a gestione diretta delle Asl con costi fissi a Drg, per le quali i costi sostenuti dalla Regione sono inferiori a quelli sostenuti per altre strutture. E’ auspicabile inoltre che le attuali sperimentazioni gestionali siano il preludio a future strutture studiate e organizzate in modo tale che si possa tendere alla reale ottimizzazione produttiva e gestionale a prescindere dagli attuali schemi rigidi. Il punto è trovare il giusto mix di competenza e organizzazione in base alle caratteristiche migliori dei singoli operatori. Per molti il futuro deve essere teatro di collaborazioni e concentrazioni nella convinzione che, attraverso le creazioni di network operativi, si possa davvero migliorare la sanità contenendone i costi. H) Pptenziare l’approccio culturale e la formazione. Le politiche sanitarie continuano a proporre, come in passato, di usare la leva economica per promuovere l’appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni e disincentivare comportamenti “opportunistici”. Tuttavia dobbiamo evidenziare che tale soluzione non sia affatto sufficiente: in effetti, la leva economica può avere un effetto, seppur marginale, solo in un settore minoritario come quello privato mentre praticamente non ha effetti sul settore pubblico. Riteniamo invece che per incentivare comportamenti efficaci e appropriati sia necessario prevedere, piuttosto, un grande lavoro di tipo culturale facendo leva su programmi di formazione, sulla predisposizione di linee guida e protocolli sanitari settore per settore e sull’eventuale introduzione di incentivi e premi economici. Bisognerebbe indirizzare la formazione agli obiettivi prioritari, strategici, sia aziendali che regionali e utilizzare questo fondamentale strumento con la flessibilità derivante dalle effettive necessità, evitando non solo le degenerazioni del sistema ma cercando di porlo fisiologicamente come supporto alla realizzazione di un programma assistenziale innovativo e modificativo. Ciò, a maggior ragione, se poniamo come centrale il potenziamento del territorio e della domiciliarità, un nuovo e più incisivo ruolo per la medicina generale e di base, i nuclei di cure primarie, le Rsa, le Patologie socialmente rilevanti ed ingravescenti. I) riorganizzare la Prevenzione e la Medicina Generale. Nell’ambito della riorganizzazione del sistema sanitario regionale, riteniamo di grande importanza il potenziamento del settore della prevenzione. L’attuale sviluppo dei problemi di salute della Popolazione esige un nuovo approccio al problema della prevenzione delle malattie che superi una concezione storicamente legata alla promozione di campagne di prevenzione e limitata al ruolo svolto da alcuni validi professionisti sanitari (in primis i medici di base) senza l’adeguato supporto delle altre strutture (ospedaliere e non) della sanità regionale. Un nuovo approccio integrato si dimostra efficace in molti campi come ad esempio quello che attiene al grave problema dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare (secondo stime recenti in Italia vi sono circa 16 milioni di soggetti in soprappeso ed è in rapido aumento), sarebbe opportuno integrare la prevenzione primaria con opportuni programmi di prevenzione secondaria delle complicanze sul piano cardiovascolare, dismetabolico e osteoarticolare, da svolgere nell’ambito di strutture di riabilitazione. Bisognerebbe inoltre che la Regione avvii la sperimentazione di un modo diverso di pagamento delle spettanze per i medici di medicina generale, oggi ancorato, per una parte, alla quota capitaria e per l´altra agli obiettivi. Fare del medico di base il "case manager" di progettualità prioritarie deve significare, contemporaneamente, individuare indicatori di risultato da utilizzare per la verifica del raggiungimento degli obiettivi e del conseguente pagamento delle spettanze. Abbiamo dilapidato risorse ingenti per il pagamenti a pioggia ai medici di base nelle precedenti, anche recentissime, esperienze senza alcun risultato apprezzabile. Ricordiamo il Cup, le liste d´attesa, l´accesso prioritario, ecc. Il medico di base deve essere un attore centrale della riorganizzazione del Sistema, in una logica di assoluta trasparenza e certezza della spesa! l) ridefinire il ruolo delle Asl. Potenziare il territorio, l’assistenza ambulatoriale, l’assistenza domiciliare e l’assistenza residenziale. Riteniamo che sarebbe opportuna una profonda riflessione sul ruolo che le Aziende Sanitarie hanno assunto nella nostra regione ed, in particolare, nella provincia di Roma. In effetti, è auspicabile l’attuazione di una riorganizzazione che, in particolare per quanto riguarda la definizione dei fabbisogni di prestazioni sanitarie, superi le barriere dei territori di competenza amministrativa delle Asl prevedendo la definizione dei fabbisogni a livello regionale. D’altra parte è necessario ridurre la enorme disomogeneità attualmente esistente nell’applicazione delle regole stabile a livello centrale con grave danno della popolazione. Segnaliamo, ad esempio, che non riteniamo utile continuare a delegare alle Asl gran parte dell’attività di prevenzione mentre per la Regione Lazio è prevista solo una funzione di direzione strategica. Per quanto riguarda lo spostamento dell’erogazione di prestazioni sanitarie dall’ospedale al territorio, previsto sia dal patto per la salute,  
   
 

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