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Notiziario Marketpress di Venerdì 26 Marzo 2010
 
   
  CESENATICO: NOVECENTO - DEL FARE LETTERATURA IN PROVINCIA – 26/27 MARZO 2010

 
   
  In occasione dell’annuale corso d’aggiornamento organizzato da casa Moretti, Marcello Fois è a Cesenatico a parlare del suo ultimo libro. Il seminario di aggiornamento sui temi letterari otto-novecenteschi si rinnova quest’anno in un doppio appuntamento organizzato da Casa Moretti con la collaborazione degli Istituti Superiori di Cesenatico e l’apporto della libreria Punto Einaudi di Rimini. L’argomento affascinante, complesso e poco dibattuto a scuola è quello della letteratura di Provincia, dove per contro hanno scritto (e di cui hanno scritto) le migliori penne del nostro Novecento. Il corso, approvato dal Provveditorato di Forlì, si terrà nell’Aula Magna del Liceo Scientifico «E. Ferrari» sabato 27 marzo dalle ore 9.30 con gli interventi di Marino Biondi ( Cesena: Renato Serra ), Andrea Battistini ( Romagna: Antonio Baldini), Renzo Cremante (Faenza: Francesco Serantini), Marco Antonio Bazzocchi (Bologna: Giuseppe Raimondi), Arnaldo Bruni (Ferrara: Giorgio Bassani ), Giorgio Zanetti ( Modena: Antonio Delfini), e Mauro Bignamini (Reggio Emilia: Silvio D’arzo). I relatori forniranno, anche attraverso il dibattito, gli strumenti per la didattica con proposte di letture, bibliografie, schede. Il tema poi sarà al centro dell’incontro con l’autore previsto per venerdì sera alle 21, nella Sala Conferenze del Museo della Marineria dove Marcello Fois parlerà del suo ultimo libro, Stirpe (Einaudi 2009). Un libro che è la voce di una terra. Con questo suo ultimo romanzo, infatti, Fois squaderna il Novecento con una forza poetica e infallibile, consegnandoci un libro che abbraccia in un solo sguardo le storie piccole e quelle grandi, la luce calda dei ricordi d’infanzia e le ombre fitte dell’età adulta. L’epica del quotidiano accompagna le sorti della famiglia sarda dei Chironi (la stirpe protagonista del romanzo) a ogni pagina, seducendo il lettore con un racconto in cui la memoria del sangue - ciò che davvero, sotterraneamente, tiene unita una famiglia - si allea alla potenza della letteratura. E ciascun personaggio sembra quasi a proprio agio, sballottato dalle onde degli anni che s’inseguono, forse perché impegnato a cercare dietro di sé il passato dal quale proviene - umile o nobile, vero o inventato che sia. L’importante è non cedere mai di fronte alle sventure: «perché non c’è genia, da che mondo è mondo, che sia nata forte e invincibile se nutrita di lacrime». Info: casamoretti@cesenatico.It; infomusei@cesenatico.It. La storia della letteratura italiana non è fatta solo di grandi classici. Molte volte ci si dimentica di quegli autori che con le loro storie minori hanno raccontato aspetti “laterali” dell’esistenza e della storia del nostro Paese. Sono le scritture di provincia, per nulla artefatte, a volte grottesche ma in cambio autentiche. La provincia intesa come una “esperienza memorabile”, come ha scritto una volta il critico Generoso Picone. È un vero e proprio “contro-gusto” rispetto ai canoni della letteratura tradizionale, e non dovrà sorprenderci di rintracciarlo nei testi che appartengono al Canone della nostra storia letteraria, tra la fine del Xix e il Xx secolo. In seguito, questa dissonante passione per la provincia si è sposata con la controcultura degli anni Sessanta e Settanta, fino agli Ottanta, lungo quel periodo che vede esaurire definitivamente gli strascichi del neorealismo, divampare per poi spegnersi le sperimentazioni neoavanguardistiche, e indebolirsi la passione ideologica. Il “disimpegno” di molti scrittori italiani degli ultimi decenni amplia il margine d’azione narrativo che dal centro porta verso la periferia e la provincia. Ed è in questo passaggio che vengono raccontate storie di ribellione e libertà, anche piccole e marginali, ma rappresentative di un mondo popolato da quelli che chiameremo i “non-protagonisti”. […] La letteratura di provincia può anche essere intesa come una “topografia reale e interiore”, un viaggio verso le zone periferiche del sé, qualcosa di strettamente legato al passato e alle radici di chi scrive. Nella letteratura italiana però non mancano luoghi e pagine in cui la provincia appare ironica, ludica e dissacrante. (Silvia Buffo) Anche Marino Moretti, nel giudizio di molti critici apparve scrittore di provincia. Di lui Fernando Palazzi scriveva nel 1925: La prima e più spiccata caratteristica di Marino Moretti - da cui derivano in ultima analisi tutte le altre - è l’amore della provincia. Intendiamoci. Di scrittori provinciali ce ne sono a bizzeffe. Sono in genere persone che vivono felici e beate in mezzo al turbine della città moderna, di cui sanno apprezzare convenientemente le comodità, le eleganze, la frivolezza varia e divertente, la perenne mobilità delle cose, la lotta affannosa delle competizioni. Quando si sentono vinti, o sconfortati, o almeno un po’ stanchi, un improvviso desiderio di quiete li sospinge a ripensare con un certo rimpianto alla vita metodica e lenta del paese lontano, alle sue modeste ambizioni, ai suoi idilli dolcissimi, al dolce far niente dei suoi lunghi pomeriggi tutti verde e oro. Ma questa, scusate, non è la provincia. È un’idealizzazione bucolica, è un paradiso terrestre che solo la nostalgia può farci vedere realizzabile nel modesto ambito del paesetto natale. La provincia di Moretti è ben altra cosa. È più complessa, meno superficiale, più intera: con tutto il suo bene e con tutto il suo male. È ormai un luogo comune dire che la provincia è più meschina della città. È vero che anche là, come qua, ci sono gli uomini, e gli uomini sono per la maggior parte meschini da per tutto. Ma la città sommerge tutte le piccole brutture private e le mille fosche tragedie senza nome nel golf-stream del suo incalzante e spettacoloso movimento, su cui affiorano soltanto le apparenze scintillanti e il tripudio dei vincitori. Della città si vedono solamente le strade e le piazze: dove tutto è sorridente e verniciato di fresco, e dove un opportuno regolamento municipale vieta persino di stendere alla luce del sole le biancherie domestiche. Il paese invece mostra candidamente, con l’ingenuità che non conosce pudore, tutti i suoi cenci e tutte le sue miserie. L’uomo vive continuamente sotto l’occhio dell’uomo. Ciascuno sa tutto di tutti: giorno per giorno, ora per ora, la provincia diventa così un immenso gabinetto di analisi psicologica, e l’osservatore vi vede ogni cosa, ogni gesto, ogni movimento enormemente dilatato e spaventosamente lento, come se un diligente preparatore l’avesse fermato lì, dietro a un microscopio gigantesco. Marcello Fois, scrittore, vive a Bologna da molti anni. Laureato in Italianistica, è un autore prolifico, non solo in ambito letterario in senso stretto, ma anche nel campo teatrale, radiofonico e della fiction televisiva. Esordisce nel 1992 con il romanzo Picta, vincitore del Premio Italo Calvino, e Ferro recente. A questi sono seguiti numerosi altri libri (e altri premi), tra cui Nulla (Il Maestrale 1997, Premio Dessì), Sempre caro (Il Maestrale - Frassinelli 1998, Premio Scerbanenco-noir in festival e Premio Zerilli-marimò), Gap (Frassinelli 1999), Sangue dal cielo (Il Maestrale/frassinelli 1999), Dura madre (Einaudi 2001), Piccole storie nere (Einaudi 2002), L’altro mondo (Frassinelli-il Maestrale 2002), Materiali (Il Maestrale 2002), Tamburini (Il Maestrale 2004), Memoria del vuoto (Einaudi 2007), Sempre caro (Einaudi 2009), Stirpe (Einaudi 2009). Nel 2006 ha pubblicato la raccolta di poesie L’ultima volta che sono rinato. Dalla quarta di copertina di Stirpe (Einaudi, 2009): …”Certo Michele Angelo era arrabbiato contro questa sorte che con una mano dava e con due prendeva, ma lui non piegava la testa, aveva imparato che certe leghe cedono quando meno te lo aspetti, basta un colpo in più. Il metallo è cosa viva, lui capisce la mano che lo forgia. Capisce il cuore di chi lo lavora”… È il 1889, eppure si direbbe l’inizio del mondo. Michele Angelo e Mercede sono poco più che ragazzini quando s’incontrano per la prima volta, ma si riconoscono subito: “lui fabbro e lei donna“. Quel rapido sguardo che si scambiano è una promessa silenziosa che li condurrà dritti al matrimonio, e che negli anni verrà rinnovata a ogni nascita. Dopo Pietro e Paolo, i gemelli, arriveranno Gavino, Luigi Ippolito, Marianna… La stirpe dei Chironi s’irrobustisce e Nuoro la segue di pari passo: se prima “la campagna e la roccia abitavano insieme agli uomini, che avevano i ritmi dimessi del sole e delle bestie”, ora i pastori e i mercanti devono fronteggiare quel fermento di modernità che pare voler travolgere ogni cosa. Le strade cambiano nome e si allargano, accanto alla pesa per il bestiame spuntano negozi e locali alla moda, e se circolano più soldi nascono anche bisogni che prima non c’erano. Come i balconi da ingentilire lungo via Majore, a esempio, e Michele Angelo che sa del ferro come nessun altro, ed è capace di toccare la materia con lo sguardo prima di plasmarla – si spezza la schiena in officina per garantire prosperità alla sua famiglia. Ma “la felicità non piace a nessuno che non ce l’abbia“, e infatti quei Chironi venuti su dal nulla, così fortunati, sono sulla bocca di tutti. È l’inizio della stagione terribile: i gemelli vengono trovati morti, i corpicini fatti a pezzi e nascosti in un cespuglio, mentre la Prima guerra mondiale raggiunge anche Nuoro, e bussa alla porta di casa Chironi proprio quando Gavino e Luigi Ippolito – taciturno e riflessivo il primo, deciso e appassionato il secondo – sono in età per essere arruolati…  
   
 

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