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Notiziario Marketpress di Giovedì 09 Novembre 2006
 
   
  MARCELLO ORZATESI: LE CURE PALLIATIVE IN NEONATALOGIA

 
   
   Milano, 9 novembre 2006 - Le cure palliative per il neonato presentano alcune peculiarità che riguardano: le dimensioni del problema, i pregiudizi e gli ostacoli culturali e le difficoltà applicative. Le dimensioni del problema. Ogni anno in Italia muoiono circa 2100 bambini nei primi 12 mesi di vita: di questi circa il 1600 (76%) sono neonati (primi 30 giorni di vita) ed almeno altri 200 sono bambini che decedono poco dopo il primo mese ma per cause di origine perinatale. Pertanto, circa l’85 % dei decessi in età infantile sono di origine perinatale (1800/anno). Secondo le statistiche correnti, circa l’80 % delle morti neonatali, che si verificano negli ospedali del mondo occidentale, sono precedute o accompagnate da qualche forma di limitazione dei trattamenti intensivi, a favore di quelli palliativi. Pertanto, circa il 70 % dei pazienti che muoiono in età infantile, (1400 bambini/anno), sono candidati alle cure palliative. I pregiudizi e le resistenze. Fino alla seconda metà degli anni ’60, nei comuni testi di pediatria, al neonato venivano addirittura negate alcune delle qualità tipiche della persona umana, ed è solo negli anni ’70 che queste qualità gli sono state riconosciute; ancora negli anni ’80, si dubitava o addirittura si negava che i neonati potessero provare dolore ed essi venivano sottoposti ad interventi chirurgici, anche invasivi e dolorosi, senza alcuna anestesia o solo con una blanda sedazione. Oggi sappiamo tutti che i neonati, anche quelli nati molto prima del termine, provano dolore e sono anche in grado di ricordare la sofferenza che questo provoca; tale è la consapevolezza dell’importanza del dolore in epoca neonatale, che si è addirittura costituito un gruppo di studio sul dolore nell’ambito della Società Italiana di Neonatologia. Eppure, nonostante questa consapevolezza, la terapia ed il controllo del dolore, e più in generale del “discomfort”, causati dalle manovre invasive tipiche della terapia intensiva neonatale, non sono ancora oggi sufficientemente diffusi nelle Utin del nostro Paese. Lo studio Euronic ha dimostrato che noi Italiani siamo i meno propensi a limitare i trattamenti intensivi a favore di quelli palliativi nei pazienti ormai senza speranza; soprattutto siamo poco propensi ad utilizzare una sedazione profonda per il controllo del dolore. Evidentemente è rimasto qualche retaggio del passato, che ci impedisce di attuare nella pratica ciò che a livello cognitivo sappiamo essere corretto e necessario. E qui ovviamente c’è ancora molto da fare. I problemi di ordine applicativo. Il neonato in condizioni terminali non si trova quasi mai a casa sua: è generalmente ricoverato in una Unità di Terapia Intensiva Neonatale (Utin). Chi conosce le attuali Utin, rumorose, trafficate, affollate di attrezzature e di strumentazioni high tech, in spazi relativamente ristretti, sa bene quanto esse siano poco adatte per assicurare quel clima di raccoglimento e di privacy richiesto per una applicazione piena e corretta delle cure palliative. Anche la presenza costante dei genitori vicino al loro bambino, peraltro altamente raccomandata e purtroppo non sempre applicata nelle nostre Utin, aumenta l’affollamento e rende difficile la creazione di un ambiente adatto per il bambino e per i suoi genitori. Ecco allora che anche il neonato terminale, che andrebbe accudito in modo diverso e meno invasivo, viene di fatto trattato come tutti gli altri suoi coetanei di Reparto. Eppure il già citato Studio Euronic ha dimostrato che i Neonatologi Italiani (come del resto i loro Colleghi Europei) ritengono in larga percentuale (quasi il 50%) che troppo spesso nelle nostre Utin si esageri con i trattamenti intensivi e quindi con l’accanimento terapeutico. Anche in questo caso notiamo una discrepanza tra le opinioni e i comportamenti. Conclusioni. In conclusione, è evidente che le cure palliative neonatali, rispetto al restante ambito pediatrico, pongono dei problemi particolari: quantitativi, per l’alta frequenza con cui sarebbero necessarie; qualitativi, per le modalità con cui dovrebbero essere attuate; culturali, per le resistenze alla loro diffusione; e infine contestuali, per la non idoneità degli ambienti in cui dovrebbero essere realizzate. Di tutto ciò si dovrà tenere debito conto nella realizzazione di un progetto di cure palliative pediatriche. .  
   
 

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