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Notiziario Marketpress di Giovedì 09 Novembre 2006
 
   
  LA SEDAZIONE NELLA FASE TERMINALE: UN MOMENTO CONDIVISO PUNTA DI VISTA DEL FILOSOFO SALVATORE NATOLI

 
   
   Milano, 9 novembre 2006 - Una malattia letale rappresenta sempre un evento drammatico. Ogni uomo, infatti, amerebbe morire di buona vecchiaia senza dover patire ingiustificate sofferenze. Se, però, la malattia colpisce un bambino o un giovane essa appare come uno scandalo perché in essa sembra che la natura si tradisca nel suo inizio, la vita toglie se stessa nel suo sbocciare. La banale ovvietà del morire risuona qui come una beffa, come un’irrisone; viene da dire: ma vale proprio la pena nascere? La malattia nei bambini si presenta più che mai inaccettabile perché colpisce senza contropartita, non è compensata - ammesso che al dolore vi sia compenso - dal bene di una vita già vissuta. Se l’infanzia e la giovinezza sono promessa di futuro, che futuro ci può essere per coloro a cui questo è preliminarmente precluso. Certo il presente vale di per sé, ed è giusto che ogni uomo lo possa vivere per qualche è, a patto però che in esso si possa esperire un qualche bene, un certo piacere - per quanto breve – d’esistere. Dal momento che si nasce è giusto valorizzare la vita che ci è data e afferrarla indipendentemente dalla sua durata. Ma la vita non è solo durata, e se è solo durata perché prolungarla forzatamente? Di qui grandi dilemmi su come e quando intervenire, ma non v’è dubbio che ad ogni uomo – giovane o vecchio che sia – si deve evitare di soffrire inutilmente. Il vero problema è allora quello di come riempire il tempo che resta. Di sicuro in condizioni gravi e irreversibili è plausibile accelerare la fine, ma nella pediatria - nell’infanzia e nella prima giovinezza - chi è il titolare di questa decisione? E già complessa la questione dell’eutanasia per gli adulti, ma è di difficile soluzione se riguarda i bambini. Si tratta di decidere su chi debba prendere le decisioni. La constatazione della sofferenza dell’altro può essere un argomento sufficiente per decidere al posto suo? Questi sono i dilemmi morali a cui oggi bisogna dare risposta. Tuttavia vi sono almeno due cose che sembrano certe: 1: é necessario ed etico ridurre il più possibile il dolore quand’anche si accorci la vita; 2. Bisogna fare in modo che chi non ha avuto il tempo di apprendere adeguatamente che cos’è la morte – e con i bambini capita – la veda solo di striscio, possa uscire dalla vita quasi ignorandola. Bisogna inventare modi e forme perché i bambini possano vivere in un clima che sia di gioia; è necessario creare un ambiente dove i pazienti possano fruire non solo del tempo che loro resta, ma lo possano legare strettamente al tempo degli altri. Bisogna fare in modo che la continuità della trama della vita tenga sullo sfondo l’avanzare della morte. .  
   
 

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