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Notiziario Marketpress di Lunedì 19 Aprile 2010
 
   
  GIUSTIZIA ISRAELIANA: L´ANONIMATO SU INTERNET È UNA FORMA DI TUTELA PER L´INDIVIDUO E NON UNO SPAURACCHIO DA PERSEGUIRE

 
   
  Il 25 marzo scorso la Corte Suprema di Israele ha emesso una sentenza secondo la quale l’anonimato è l’unica forma di tutela della persona in internet, contro le smanie di Grande Fratello delle lobbies del momento. Secondo il giudice della Corte Suprema "distruggere l´illusione dell´anonimato in una realtà in cui il concetto di privacy è un mito, può far pensare ad una sorta di Grande Fratello. Tale ingerenza nella privacy deve essere ridotta al minimo. E i confini a tutela dell´anonimato devono essere preservati come parte della Cultura di Internet". "Si potrebbe dire - ha commentato il giudice - che l´anonimato rende Internet ciò che è". Il caso riguarda la vicenda di un praticante di medicina alternativa che ricorre al giudice per richiedere la rivelazione dell’identità dell’autore del messaggio con apprezzamenti sull’operato del paramedico, definendolo un “ciarlatano”. Il magistrato, prima di entrare nel merito del caso, conduce un esame sullo stato dell’arte in merito al diritto di manifestazione del pensiero e al diritto all’onore e alla reputazione. Il giudice parte dal principio della libertà di parola (freedom of speech). Prende quindi in esame varie sentenze Usa, in particolare la causa Krinsky contro Doe: "l´utilizzo di un nome di schermo pseudonimo offre uno sbocco sicuro per l´utente di sperimentare idee nuove, opinioni politiche non ortodosse, o criticare il comportamento corporativo o individuale, senza paura di intimidazioni o di rappresaglia. Inoltre, nascondendo le identità degli speakers, il forum online consente agli individui di ogni condizione economica, politica, sociale di essere ascoltato senza soppressione o altri interventi da parte dei media o le figure più potenti del settore". Alla fine conclude che, fermo restando il potere dell’Autorità Giudiziaria di scoperta dell’identità dell’internauta per certe fattispecie nel campo penale, non esiste allo stato nel campo civilistico simile potere né in mano alla Corte né in mano all’attore ed auspica un intervento specifico del legislatore. Nelle more il giudice ritiene che occorre tentare un bilanciamento tra il diritto di libertà di espressione e il diritto alla reputazione: “nei casi di azione civile, anziché ottenere un intervento diretto del giudice atto a scoprire l’identità del presunto offensore, si può immaginare la possibilità di presentare istanza affinché il magistrato richieda al provider (fornitore di collegamento Internet) di contattare in via riservata l’utente senza svelarne il nome al fine di consentirgli l’esposizione delle prove a proprio discarico. Solo all’esito di tale esperimento con l’intervento mediatore del provider verrà deciso se procedere alla scoperta (disclouser) dell’identità del netizen o meno”. Questa modalità di procedere, secondo il giudice, garantirebbe al presunto offeso il diritto di tutela delle proprie ragioni e al presunto offensore il diritto all’anonimato fintanto che non vi siano motivi talmente gravi da ordinare di svelarne il nome. L’accesso a internet, peraltro, già prevede forme che non richiedono l’utilizzo della vera identità: account di posta elettronica ottenuto dando generalità non veritiere, username (nome utente) per accedere a forum o a social network, indirizzo Ip sottoposto ai cambiamenti di numerazione attribuiti dal provider durante la navigazione. Nella società on line l’anonimato costituisce quindi un profilo sostanziale del diritto al trattamento dei dati personali e in definitiva del diritto alla propria identità. Internet propone una realtà dell’io de-contestualizzante a causa delle potenzialità di travisamento delle notizie personali dei mass media digitali e delle tecniche di profilazione dell’utente attive in rete  
   
 

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