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Notiziario Marketpress di Lunedì 07 Giugno 2010
 
   
  NOVE STORIE GLOBALI AI MARGINI DEL NEO-IMPERO CINESE INCONTRO CON L’AUTORE: “DESTINI DI FRONTIERA” DI FEDERICO FUBINI DA VLADIVOSTOK A KHARTOUM, I RACCONTI DI UN GIORNALISTA MOSSO DALLA FEDE LAICA NELLA CONOSCENZA

 
   
  Trento, 7 giugno 2010 - La frontiera della globalizzazione corre da Vladivostok a Khartoum fino a Tirana, dall’estremo Oriente ad un Occidente altrettanto estremo, incrociando i destini dei cinesi di etnia han che cercano moglie in Siberia, delle donne vietnamite che tirano le fila dell’emergente economia di Hanoi, dei bambini cambogiani che assediano i turisti al tempio di Angkor Wat, dei cavatori di giada della Birmania, dei “rifugiati climatici” del Bangladesh, degli schiavi nepalesi deportati in Qatar per costruire le nuove cittadelle finanziarie, dei neocolonialisti cinesi che hanno ormai conquistato il Sudan e di un gruppo di dissidenti uiguri, la minoranza etnica musulmana della Cina nord-occidentale imprigionati per errore a Guantánamo con l’accusa di terrorismo e finiti in fondo a un dissestato vicolo alla periferia di Tirana. Nove storie legate dal filo rosso del neo-imperialismo cinese, un imperialismo non ideologico ma da pragmatico viaggiatore d’affare contemporaneo che Federico Fubini, giornalista economico del Corriere della Sera, racconta nel suo ultimo libro, “Destini di frontiera” mosso dalla curiosità di conoscere come va il mondo oggi, una merce preziosa ma ormai raramente rinvenibile nel provinciale giornalismo italico. Un “incontro con l’autore” a due voci, con il solo Tiziano Scarpa, romanziere e drammaturgo (stante il forfait dell’inviato del Sole 24 ore Alberto Negri) che ha svelato che è ancora possibile guardare alle cose del mondo mossi dalla laica fede nella conoscenza. Solo che per farlo, occorre scrivere un libro, impossibile pensare di farlo con un reportage giornalistico per un quotidiano. “I giornali italiani – spiega Fubini – sono portatori di una cultura fortemente concentrata su quanto avviene in casa propria, nel proprio paese, e si finisce per ragionare per simboli, la proiezione internazionale non fa parte di noi”.  
   
 

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