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Notiziario Marketpress di Mercoledì 09 Giugno 2010
 
   
  LA PUGLIA DESCRIVE IL COMPARTO DELL’OLIO D’OLIVA CON UN PROGETTO EUROPEO CHE PROMUOVE PRATICHE ECO-INNOVATIVE IN CAMPO AGROALIMENTARE

 
   
  Nei giorni scorsi si è riunito a Bari il comitato degli esperti del progetto Agro-environmed, designato dall’Arti-agenzia Regionale per la Tecnologia e l’Innovazione, per produrre uno studio di descrizione delle caratteristiche del settore pugliese della produzione dell’olio d’oliva, in comparazione con quello andaluso. Il progetto Agro-environmed, parte del programma europeo Med di cooperazione interregionale, intende infatti promuovere la diffusione di tecnologie ambientali e di pratiche eco-innovative nel settore agroalimentare dell’area del Mediterraneo. Agro-environmed si concentra su cinque sottosettori dell’agroalimentare (olio d’oliva, vino, frutta e verdura, carne, latte e derivati). L’istituto andaluso di Tecnologia (Iat) e l’Arti, due dei partner del progetto, hanno selezionato come settore di lavoro comune quello dell’olio d’oliva, non solo per l’importanza strategica che assume nelle economie delle due regioni coinvolte, ma anche per l’impatto che il suo processo di produzione genera sull’ambiente. L’italia è, infatti, il secondo produttore al mondo di olio d’oliva, dopo la Spagna. Tuttavia, il modello produttivo italiano è piuttosto differente da quello spagnolo, poiché è maggiormente orientato verso la qualità e la varietà e si basa su una molteplicità di piccoli oleifici non industriali, fortemente radicati al territorio. In Italia esistono circa 500 varietà di olive autoctone e 41 oli con certificazione Dop (Denominazione di Origine Protetta), di cui 5 sono pugliesi. Un altro elemento che caratterizza il settore dell’olio d’oliva nazionale è il fatto che l’Italia si configura come un netto importatore, poiché esporta una media di 200-300mila tonnellate d’olio e ne importa 400-500mila. Il mercato risulta, comunque, distorto dalla pratica speculativa di importare olio di bassa qualità e venderlo come olio d’oliva italiano, ma ad un prezzo molto basso. Questa situazione può migliorare grazie all’obbligo normativo, attuato da quest’anno, di specificare sull’etichetta l’esatta provenienza dell’olio extravergine d’oliva. Di seguito si riassumono le principali evidenze dello studio realizzato dal comitato degli esperti coordinato dall’Arti. Le dimensioni del settore pugliese - Nell’anno 2008/2009, la Puglia ha prodotto circa 216mila tonnellate d’olio, su una produzione nazionale di circa 600mila tonnellate. Tuttavia, la tendenza dell’ultimo anno è negativa, con un -22% previsto nel 2009/2010. La riduzione delle quantità dipende dalle condizioni climatiche e corrisponde ad un aumento della qualità dell’olio, che sfortunatamente non è compensato da prezzi più alti. La Puglia annovera un’ampia varietà di coltivazioni di differenti olive: Coratina, Cellina di Nardò, Ogliarola barese, Bella di Cerignola, Sant’agostino, Pizzuta, Leccese, Marinese, Nasuta, Peranzana, Pisciottana. La proprietà degli uliveti è piuttosto frammentata e la coltivazione intensiva non è molto diffusa. Inoltre, gli uliveti sono fortemente radicati nella cultura locale e delineano il paesaggio regionale: gli alberi molto antichi (i “secolari” hanno fino a 250 anni) sono anche protetti da una legge regionale che ne regolamenta e limita l’estirpazione. Nel territorio regionale sono distribuiti circa 1.150 oleifici di dimensioni molto piccole: la maggior parte di esse produce meno di mille tonnellate d’olio all’anno. Considerando una produzione annua regionale di 200mila tonnellate, si ottiene una produzione media di meno di 200 tonnellate per azienda: un valore molto basso, se comparato con gli standard industriali dell’Andalusia. Questi dati devono essere interpretati tenendo in considerazione la struttura dell’intera filiera produttiva in Puglia: circa l’80% dei frantoi sono “fornitori di servizi” e non imprenditori privati o cooperative di produzione. Ciò significa che non lavorano continuativamente producendo il proprio olio, ma lavorano partite di olive per conto di terzi, ai quali restituiscono il “loro” olio per autoconsumo o commercializzazione. Questo tradizionale modo di produrre olio artigianale è certamente un impedimento per l’introduzione di tecnologie più moderne, ma anche una condizione per mantenere un’ampia varietà di cultivar e di oli di alta qualità. Le questioni ambientali - Le principali questioni ambientali sono connesse alla gestione delle acque di scarto ed alla riduzione del consumo di acqua ed energia. In ogni caso, tali problemi non possono essere analizzati in maniera tecnica e astratta, ma devono invece essere considerati in relazione alla struttura dell’intera filiera regionale di produzione dell’olio. Il 90% delle aziende in Puglia adotta il processo di estrazione con la centrifuga in tre fasi, una tecnologia caratterizzata dall’alto consumo d’acqua e dalla produzione di due differenti sotto-prodotti: l’acqua di vegetazione e la sansa secca. Esiste invece la comune convinzione che il sistema a due fasi abbia una migliore prestazione in termini di qualità di prodotto finale e di minore impatto ambientale, ma gli esperti ritengono che tale tecnologia non possa essere introdotta in tempi brevi e su larga scala in Puglia, poiché in regione manca un sistema industriale in grado di garantire sia un’offerta costante di sottoprodotti (sansa umida) che le necessarie facility per la loro lavorazione e valorizzazione. D’altra parte, l’assenza di fiumi e le caratteristiche del suolo permettono in Puglia una diffusione controllata delle acque di vegetazione sui terreni agricoli come fertilizzante, riducendo il problema del loro smaltimento. Ci sono anche questioni legate al gusto, poiché alcune specie locali di olive, come la “Coratina”, sono caratterizzate da un contenuto di polifenoli molto elevato che tende a conferire all’olio un sapore pungente, non particolarmente gradito ai consumatori locali. In questi casi viene perciò preferito il processo di produzione a tre fasi, in quanto l’aggiunta di acqua dissolve parte dei polifenoli e dona all’olio un sapore più tradizionale. Considerando gli aspetti correlati al risparmio dell’energia e dell’acqua, la principale barriera alla modernizzazione degli impianti (macchine più efficienti, riciclo dell’acqua, ecc.) consiste nelle piccolissime dimensioni delle aziende, nella loro attività discontinua e nella loro ridotta capacità d’investimento. Buone pratiche e conclusioni - Il settore pugliese dell’olio d’oliva condivide molte caratteristiche con quello italiano, basandosi su un alto numero di piccole realtà produttive non industriali, che operano prevalentemente come fornitori di servizi per i produttori di olive. Quest’aspetto rallenta la diffusione di nuove tecnologie di processo, ma garantisce la conservazione della biodiversità e la differenziazione dei prodotti finali. La questione della riduzione dell’impatto ambientale del settore dell’olio d’oliva non può essere affrontata solo considerando ciò che succede all’interno delle aziende. È necessario analizzare l’intera filiera (dalla coltivazione alla commercializzazione e consumo dell’olio) e tutti i relativi aspetti legislativi, culturali, economici ed ambientali. Si può, tuttavia, intervenire sull’impatto ambientale globale della filiera, dalla trasformazione all’imballaggio, per giungere fino alla logistica delle materie prime e dei prodotti finali. La transizione verso un differente apparato di pratiche e di tecnologie può essere armonizzata con la struttura industriale esistente e con i valori del prodotto (gusto, origine, qualità, differenziazione), salvaguardando e migliorando la competitività dell’industria regionale. A conclusione del progetto, prevista per dicembre 2011, sarà elaborato un catalogo descrittivo delle tecniche ambientali e delle principali buone pratiche. Tale catalogo sarà fruibile online da parte di tutte le aziende operanti nel settore, consentendo loro di trarne utilità per la definizione dei propri processi di ammodernamento produttivo.  
   
 

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