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Notiziario Marketpress di
Mercoledì 15 Novembre 2006 |
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EULER HERMES HA PRESENTATO LA RICERCA: “REDDITIVITÀ E DIMENSIONI DELLE PMI: LA VARIABILE DIMENSIONALE” IN ANTEPRIMA, A ROMA, PHILIPPE BROSSARD HA RESO NOTO I RISULTATI DELLA RICERCA NEL CORSO DEL CONGRESSO NAZIONALE DEI GIOVANI IMPRENDITORI CONFAPI
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Roma, 15 novembre 2006 - Philippe Brossard, capo del team di economisti di Euler Hermes (consociata delle Agf - Allianz Group) attiva nell’assicurazione dei crediti, ha presentato in anteprima a Roma, nel corso del Congresso nazionale dei Giovani Imprenditori Confapi, i risultati della ricerca condotta su scala mondiale, intitolata “Redditività e dimensioni delle Pmi: la variabile dimensionale”. Lo studio è stato realizzato esaminando oltre 432. 000 bilanci sulla base di dati più recenti (bilanci 2005 e inizio 2006) e più coerenti (eliminazione strutture di holding ect. ), di imprese di Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Italia e attingendo i dati dal database Euler Hermes al fine di soppesare la redditività delle imprese in base alle dimensioni. Adottando la classificazione tra micro (da 1 a 9 dipendenti), piccole (da 10 a 49), medie (da 50 a 249), grandi (da 250 in su) imprese per classi di addetti, secondo gli schemi impiegati in sede Eurostat a partire dal 2003, lo studio evidenzia l’assoluta preponderanza delle Pmi nei principali Paesi industrializzati. «Le imprese di grandi dimensione – ha spiegato Brossard – sono molto poche, rappresentando una percentuale inferiore allo 0,5% del totale. Negli Stati Uniti se ne contano quasi 60. 000 mentre, nei principali Paesi europei, si va dalle 11. 000 della Germania, alle 8. 000 del Regno Unito, alle 6. 000 della Francia e alle 3. 000 dell’Italia». Dal confronto tra le strutture imprenditoriali dei diversi Paesi, si rileva la preponderanza delle microimprese in Italia (95,6% del totale) e Stati Uniti (94,2%) rispetto a una media delle altre realtà che si attesta intorno al 90%. Le microimprese italiane impiegano il 55% dei dipendenti nostrani, mentre le grandi imprese statunitensi danno lavoro ad oltre il 50% degli americani. Inoltre, le microimprese Usa presentano una media di 1,4 dipendenti, rispetto ai 2,5 del nostro Paese. Un altro dato interessante che emerge dalla ricerca condotta da Philippe Brossard riguarda il Pil per impresa. Pil/impresa che è pari a 298. 000 euro in Italia, rispetto ai 458. 000 degli Stati Uniti, ai 640. 000 della Francia e al 720. 000 della Germania. Da questi numeri emerge chiaramente che l’aspetto dimensionale delle imprese non comporta conseguenze macroeconomiche chiaramente leggibili, così come è impossibile ipotizzare che ad una maggiore densità corrisponda una prosperità economica più elevata. Dai dati raccolti dall’Osservatorio delle Pmi Europee (2003, N°7, Commissione Europea) si rileva come il tasso di produttività per addetto nelle grandi imprese sia nettamente superiore rispetto a quello delle Pmi. Inoltre, la redditività delle imprese europee, misurata dal margine operativo lordo, aumenta con la dimensione, sicchè le imprese più grandi sono molto più redditizie delle medie e, a maggior ragione, delle piccole. Lo studio Euler Hermes, basato sui bilanci 2005-2006 delle imprese, arriva invece ad una conclusione diametralmente opposta a quella dell’Osservatorio Pmi: la redditività sembra essere mediamente in funzione decrescente rispetto alla dimensione delle imprese. Ovvero, maggiore è la dimensione, minore è la redditività. In parte, questa contraddizione si spiega, per le microimprese, con retribuzioni corrisposte ai manager sulla base dei risultati, mentre è più difficile darne conto per le aziende medie e grandi. Esaminando nel dettaglio la curva della redditività delle imprese italiane, si osserva un trend ad U: le imprese più piccole hanno una redditività molto elevata (con riflessi sulla remunerazione di chi dirige attraverso gli utili), debole per le medie imprese e più forte nelle grandi. La posizione sfavorevole delle medie imprese italiane è rispecchiata dal saldo netto dei termini di pagamento, particolarmente svantaggioso, contrariamente a quanto avviene per le microimprese. Le microimprese italiane presentano performance migliori rispetto alle aspettative. In generale hanno un maggior potere negoziale sui prezzi (nicchie di attività, monopoli di prossimità), mentre le medie imprese appaiono più fragili. Le grandi imprese beneficiano dei risparmi strutturali, nonostante gli effetti negativi legati all’aspetto dimensionale (burocrazia interna, sacche di bassa produttività). Le medie imprese palesano un deficit di potere negoziale, sui prezzi d’acquisto e di vendita, sui tempi di pagamento e sull’accesso al credito bancario. Lo studio evidenzia lo sbilanciamento delle politiche pubbliche a favore delle microimprese rispetto alle piccole e medie imprese. I vantaggi delle economie di scala delle grandi imprese possono essere annullati dalle Pmi, attraverso l’unione delle forze (acquisto, gestione, distribuzione, etc. ) o formando raggruppamenti (fusione di imprese a carattere familiare), mentre uno sforzo importante nella riduzione dei costi connessi al portafoglio clienti permetterebbe alle medie imprese di accrescere la redditività. . |
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