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Notiziario Marketpress di Mercoledì 13 Ottobre 2010
 
   
  TERZO MILLENNIO, MA.... SU META’ DEI DEPRESSI NON FANNO EFFETTO NE’ FARMACI NE’ PSICOTERAPIE

 
   
   Milano, 13 ottobre 2010 - Di seguito una relazione del Prof. Giorgio Racagni – Direttore Centro Neurofarmacologia; Dipart. Scienze Farmacologiche; Università Studi di Milano. In questi ultimi anni la depressione si manifesta in maniera diversa da quella che veniva diagnosticata fino a qualche decennio fa: infatti si presenta come una patologia cronica, progressiva, ricorrente e resistente per almeno il 40 per cento ai trattamenti farmacologici e psicoterapici. Pertanto, diventa sempre più urgente identificarne i meccanismi neurobiologici che si associano ad alterazioni funzionali. Gli studi recenti hanno messo in evidenza che pazienti depressi possono presentare modificazioni strutturali in aree cerebrali specifiche, quali: ippocampo, corteccia frontale e prefrontale, amigdala e altre aree subcorticali. Ricerche condotte nel laboratorio del nostro Centro di Neurofarmacologia, in collaborazione con altri Centri internazionali nell’ambito del sesto programma quadro finanziato dalla Comunità Europea, hanno dimostrato un ridotto trofismo [‘capacità di nutrirsi’] dei neuroni nelle aree cerebrali che abbiamo testé ricordato, che si traduce in un´alterata attività di nostri naturali neurotrasmettitori quali: serotonina, noradrenalina, dopamina e glutammato. Queste alterazioni si ritengono fondamentali nell’origine dei principali sintomi della depressione di tipo fisico, cognitivo ed emozionale.. Quest’ipotesi neurotrofica della depressione si basa sulla chiamata in causa in particolare del Bdnf-brain Derived Neurotrophic Factor/’fattore neurotrofico cerebro-derivato, la cui presenza risulta notevolmente ridotta proprio in quelle aree cerebrali che abbiamo detto, e responsabile quindi delle loro modificazioni morfologiche/strutturali. Peso dei fattori ambientali - Fattori ambientali negativi - traumi o abusi nell’adolescenza, situazioni di stress prolungate... - possono rappresentare fattori di rischio gravi per la genesi della depressione. Oggi, si dà quindi molta importanza alle interazioni tra geni ed ambiente nelle genesi dei disturbi psichiatrici. Studi del nostro laboratorio dimostrano che quando sono presenti entrambi i fattori A) di tipo genetico (mutazione del singolo gene che contiene i codici per strutturare il trasportatore della serotonina) e B) di tipo ambientale (stress) quando si ha una riduzione di Bdnf che può spiegare la presenza in questi casi di volumi ippocampali cerebrali di ridotte dimensioni. Depressione come problema crono biologico - Studi recenti hanno dimostrato che mutazioni per geni componenti l’orologio biologico (Clock genes) influenzano sia caratteristiche essenziali delle malattie dell’umore - come l’età di esordio, il rischio di ricorrenza, la presenza di sintomi di insonnia - sia la risposta ai trattamenti. Studi delle correlazioni neurali della risposta antidepressiva, attuati mediante Risonanza Magnetica Funzionale, mostrano che le risposte neurali sono influenzate da polimorfismi genetici relativi sia ai sistemi neurotrasmettitoriali sia all’orologio biologico. Farmaci & Cronoterapia - Questi risultati paralleli suggeriscono la presenza di una interazione tra i sistemi neurotrasmettitoriali su cui agiscono i farmaci, e i ritmi circadiani che vengono influenzati dai trattamenti cronoterapeutici. Il frequente riscontro di alterazioni nei ritmi circadiani in soggetti affetti da depressione ha spinto alla ricerca di composti che, ristabilendo una corretta sincronizzazione dei ritmi biologici endogeni, possano avere effetti antidepressivi. In questo contesto si colloca l’agomelatina, un nuovo e potente agonista melatonergico dotato, inoltre, di attività antagonista su recettori per la serotonina. In accordo alla sua affinità per i recettori della melatonina, l’agomelatina mostra l’attività cronobiotica ristabilendo l’attività elettrica del nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo e risincronizzando ritmi circadiani alterati sperimentalmente anche in diverse aree cerebrali coinvolte nella depressione. Studi del nostro laboratorio hanno dimostrato l’attività resincronizzante ed antidepressiva di questo composto, E’ probabile che la spiegazione di tali meccanismi, quando possibile, consentirà un maggiore livello di comprensione non solo delle modalità d’azione delle terapie antidepressive, ma anche dei meccanismi patogenetici delle malattie dell’umore e aprirà una nuova area di ricerca nella Farmacologia clinica e preclinica.  
   
 

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