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Notiziario Marketpress di Lunedì 25 Ottobre 2010
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA : SENTENZA SU ORARIO DI LAVORO

 
   
  La direttiva 89/391/Cee, concernente l’attuazione di misure per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro è la direttiva quadro che fissa i principi generali in materia di sicurezza e di salute dei lavoratori. Ad essa si collegano una serie di direttive concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro. La direttiva 93/104/Ce, riguardo alcuni aspetti dell´organizzazione dell’orario di lavoro, dispone che si può derogare al riposo settimanale per via legislativa, regolamentare o amministrativa o mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, a condizione che vengano concessi ai lavoratori equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui ciò non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata. I ricorrenti nella causa principale sono agenti di polizia municipale del Comune di Torino, con contratto di lavoro di 35 ore settimanali. Tra il 1998 e il 2007, erano adibiti a servizi organizzati su turni di lavoro che, una volta ogni cinque settimane, prevedevano lo svolgimento di sette giorni di lavoro consecutivi, seguiti, secondo la decisione di rinvio, da un periodo di riposo compensativo con la conseguenza che il periodo di riposo non sarebbe stato soppresso, ma solo differito. Tale sistema di turnazione ed il relativo differimento del riposo del settimo giorno della quinta settimana erano frutto di un accordo sindacale. I poliziotti chiedono al Comune di Torino il risarcimento del danno da usura psicofisica ad essi asseritamene procurato dal mancato rispetto del riposo settimanale, pur previsto dal diritto interno, dal momento che avrebbero lavorato per sette giorni consecutivi e beneficiato successivamente di un unico giorno di riposo in forma di riposo compensativo. Il giudice del rinvio (Tribunale di Torino) intende in sostanza accertare se la circostanza che una professione non sia menzionata nella direttiva 93/104 non impedirebbe che possa rientrare nella deroga summenzionata. Chiede quindi se le disposizioni derogatorie siano tali da essere applicate direttamente a fatti come quelli di cui alla causa principale o se, in mancanza di siffatto effetto diretto, il giudice nazionale debba o possa interpretare le disposizioni di diritto interno in modo da permettere una deroga al periodo di riposo settimanale, cosa che consentirebbe al convenuto di invocarle contro i ricorrenti, per respingere i reclami che hanno dato origine alla causa. La Corte chiarisce che se le disposizioni derogatorie in esame non fossero validamente trasposte (circostanza che deve essere verificata dal giudice del rinvio) le autorità di uno Stato membro non possono invocare l’omissione dello Stato per rifiutare a singoli il beneficio di un periodo di riposo settimanale conforme ai requisiti delle direttive «orario di lavoro». Ne consegue che le disposizioni derogatorie di cui trattasi non possono essere invocate direttamente nei confronti dei singoli, quali i ricorrenti nella causa principale. Quando il diritto dell’Unione lascia agli Stati membri la facoltà di derogare a talune disposizioni di una direttiva, questi sono tenuti ad esercitare il proprio potere discrezionale nel rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione, tra cui va annoverato il principio della certezza del diritto. A tal fine le disposizioni che consentono deroghe facoltative ai principi posti da una direttiva devono essere attuate con la precisione e la chiarezza necessarie per poter soddisfare i requisiti derivanti da detto principio. La circostanza che una professione non sia menzionata dalla direttiva 93/104 non impedirebbe che essa possa rientrare nella deroga al riposo settimanale prevista dalla direttiva stessa. Le deroghe facoltative previste dalla direttiva non possono peraltro essere invocate contro singoli come i ricorrenti nella causa principale. Inoltre, tali disposizioni non possono essere interpretate nel senso che consentono oppure vietano di applicare contratti collettivi come quelli di cui alla causa principale, poiché l’applicazione di questi ultimi dipende dal diritto interno. (Sentenza 21 ottobre 2010 nella causa C-227/09 Antonino Accardo e.A./comune di Torino)  
   
 

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