Pubblicità | ARCHIVIO | FRASI IMPORTANTI | PICCOLO VOCABOLARIO
 













MARKETPRESS
  Notiziario
  Archivio
  Archivio Storico
  Visite a Marketpress
  Frasi importanti
  Piccolo vocabolario
  Programmi sul web








  LOGIN


Username
 
Password
 
     
   


 
Notiziario Marketpress di Giovedì 10 Febbraio 2011
 
   
  LA PRINCIPALE DIFFERENZA TRA LE FORMULE CULINARIE ITALIANA E FRANCESE? E’ NELLA FORMA

 
   
  Italia e Francia, a tavola, si trovano concordi su varietà, territorialità e convivialità. E se, quindi, la principale differenza tra le due culture culinarie fosse una questione di forma? Se lo chiedono gli esperti di Easyviaggio.it, in viaggio in un Giro d’Orizzonti alla scoperta della cucina francese. A chi non è mai capitato di riscoprire sopiti fremiti d’amor patrio discutendo di cucina con un francese? La cucina dello stivale non ha bisogno di presentazioni; la cucina francese è stata riconosciuta lo scorso novembre dall’Unesco come la miglior cucina al mondo ed è stata elogiata in particolare come "pratica sociale destinata a celebrare i momenti più importanti della vita di singoli e dei gruppi". Per entrambe le culture culinarie, dunque, le parole d’ordine sono varietà, territorialità e convivialità. Ma anche la forma, la presentazione e l’immagine hanno un ruolo. Un ruolo, forse, decisivo: come si può apprezzare nelle dieci meraviglie gastronomiche che seguono, per un Giro d’Orizzonti che è anche un succulento Giro di Sapori. Tutti meravigliosamente presentati, nel piatto o nel bicchiere. Si inizia con l’aperitivo: vino di Cassis o Pastis? I vini bianchi di Cassis sono particolarmente secchi grazie al suolo calcareo che caratterizza il territorio cassidano, premiato nel 1936 con l’ Appellation d’Origine Contrôlée (Aoc): un vino di qualità, ottimo per accompagnare piatti come il paté d’olive o semplici olive da tavola. Ottima alternativa è il Pastis: vera e propria tradizione nel sud della Francia e, in origine, sostituto dell’assenzio. Lo si ottiene dalla lavorazione dell’anice stellato e della liquirizia, mescolato a dell’anice verde, al finocchio e ad altre spezie. Ostriche e champagne Non c’è nulla di più francese di questo, nemmeno nell’immaginario: le ostriche sono un vanto e particolarmente lo sono quelle provenienti da Marennes-oléron. Rispetto alle ostriche di mare quest’ostrica è meno aspra e iodata e resiste meglio alla conservazione. Tra i diversi tipi di ostrica, ecco la Fine de Claire (ricca d’acqua e con una carne fina e un sapore equilibrato), l’ostrica Fine de Claire verde marchio rosso (il cui colore verde prova l’inverdimento naturale), l’ostrica speciale (rotonda e voluminosa), e l’ostrica speciale di marchio rosso (dalla carne avoriata, croccante, generosa e dal gusto pronunciato). Il Tocco In Più: il tutto è da innaffiare con strepitoso champagne. Ancora pesce: brandade di merluzzo Nascere a Marsiglia e diventare famoso a Nimes: è il destino della brandade di merluzzo, che deve la sua nascita soprattutto alla strada del sale. All’epoca i grandi Terre-neuvas (navi per la caccia al merluzzo) cercavano sale in Camargue per conservare il merluzzo catturato durante la lunga stagione di pesca. Proprio durante una di queste soste alcuni pescatori ebbero l’idea di mescolare la polpa del merluzzo, precedentemente tritata, con olio d’Oliva. Il nome del piatto deriva dal latino "brandare", che significa “mescolare”). Grazie a Charles Durand, questo piatto riceve il titolo nobiliare verso il 1800 diventando il piatto tradizionale del Venerdì santo. Conquistò poco a poco tutto il centro, poi il nord e trovò in Alphonse Daudet, originario di Nîmes, un fervente sostenitore. La ricetta è molto semplice: bisogna dissalare il merluzzo, togliere le lische, sfilacciarlo (ridurlo in briciole), poi mescolare con un cucchiaio di legno aggiungendo latte e olio d’oliva. Il Tocco In Più: tradizionalmente è servito caldo e può essere gustato in pasta sfoglia. Ed ecco la carne È la Lozère il paradiso francese degli amanti della carne. Salsicce, prosciutto, fricandeau, tripoux, truffade, Manouls, salsicce Maôche (a base di cavolo, patate ed erbe), dall’inizio del pasto la tavola è subito imbandita con affettati e salumi. Vengono poi i piatti dove il cinghiale è protagonista, fino il clou del pasto: quando si serve l’agnello de parcours. L’allevamento di questo agnello segue una serie di norme molto rigide: il Parco Nazionale di Cévennes è considerato come l’unica area di allevamento e gli agnelli nati in primavera devono essere nutriti esclusivamente con il latte della madre e l’erba dei pascoli e non possono essere venduti prima del 1 luglio o del 31 dicembre. Verdure: molto più di un contorno La valerianella è diventata uno degli emblemi della produzione ortofrutticola di Nantes: insensibile al freddo delle temperature invernali, si coltiva nei campi, all’aria aperta. Ricoperta da uno strato di terra, cresce senza danneggiare le foglie, dalle quattro alle dodici settimane prima di essere raccolta. I contadini di questa zona sono i soli a produrre dei porri fuori stagione: la raccolta avviene tra maggio e i primi giorni dell’estate. Il sapore è completamente diverso dal porro invernale. Per accompagnare carne e pesce non c’è niente di meglio di una giardiniera di verdure: piselli, ravanelli, carote nantesi, rape, cipolle e porri invernali. O ancora, appena cotti al vapore e saltati con burro bianco. Il Tocco In Più: spesso sono conditi con i cristalli di sale di Guérande. Bordeaux: la parola a sua maestà il vino È la combinazione del clima oceanico temperato (che la corrente del Golfo influenza portando estati calde, rare gelate in inverno e primavere umide) e dei terreni che dà ai vitigni di Bordeaux la loro specificità. Per elaborare i vini di Bordeaux vengono utilizzati più vitigni. I vini rossi vengono essenzialmente da due vitigni importanti: il Merlot e il Carnet Sauvage. Subito dopo seguono il Cabernet Franc, le Carmenère, le Malbec e il Petit Verdot. I vini bianchi vengono principalmente dal Sémillon, dal Sauvignon e dalla Muscadelle. A questi tre vitigni principali vanno aggiunti il Colombard, il Merlot bianco e l’Ugni blanc. Il re dei formaggi e il formaggio dei re Nel 774, a proposito del brie di Meau, Carlomagno disse: “Ho appena scoperto una delle pietanze più deliziose”. In seguito, numerose teste coronate cedettero al fascino di questa pietanza così raffinata: Roberto Ii Pio (figlio di Ugo Capeto), verso il 999, se ne serve regolarmente; Bianca di Navarra lo invierà a Filippo Augusto; con Luigi Xiv sono le porte della corte di Francia che gli si aprono (ogni settimana partono cinquanta convogli da Meaux per rifornire Versailles, Parigi e St. Germain) e forse Luigi Xiv deve la sua cattura a una semplice tappa per gustare del Brie a Claye- Souilly. Con la Rivoluzione questo formaggio diventerà un simbolo culinario dell’uguaglianza, apprezzato tanto dai ricchi quanto dai poveri. Ma l’apoteosi avviene nel 1815, durante il Congresso di Vienna, quando dopo aver definito le frontiere ereditate da Napoleone I, ci fu una degustazione nella quale il Brie si fece eleggere Re dei formaggi e formaggio dei Re. Un dolce, anzi... Due Bisognerebbe parlare di “dolci baschi” piuttosto che di “dolce basco”. Infatti la storia della pasticceria basca cita due dolci tradizionali le cui origini sembrano identiche. Tutto comincia dall’origine a Cambo, paesino nella provincia di Labourd. Il dolce appare nel Xvii secolo come una pasticceria di tradizione rurale. In origine, non c’era nessuna guarnizione. La pasta era preparata a base di farina di mais e di strutto, spesso gli si dava una forma di piccolo maiale. Dal Xviii secolo questo dolce è molto apprezzato dai viaggiatori così come il Biskotxak (il secondo dolce basco) di cui il segreto della ricetta è stato gelosamente custodito dalle famiglie basche. Da allora Cambo conserva nella memoria il nome delle sorelle Dibar (Elisabhet e Anne), soprannominate le sorelle Bicotx (biscotti) che avrebbero conservato di madre in figlia e di generazione in generazione i segreti di una ricetta la cui fama supera ampiamente le frontiere dei Paesi Baschi. È in questo periodo che il dolce si adorna con confettura di more, fichi, prugne o ciliegie, secondo la stagione. Il Tocco In Più: un secolo più tardi è il dolce alla crema che farà la sua comparsa. Brindando con lo champagne I vini da champagne hanno conosciuto una vera rivoluzione nel Xvii secolo, con due grandi scoperte sullo champagne: la macerazione delle uve nere e bianche (per ottenere un bianco perfetto e che permette, del resto, anche una migliore conservazione) e la presa di schiuma (procedimento che consente di avere, attraverso una fermentazione naturale, un’effervescenza costante e delle bollicine molto piccole). Prodotto d’eccezione, risponde a numerosi criteri (35 regole da rispettare come la durata minima dell’invecchiamento, la posizione delle vigne, la vendemmia fatta rigorosamente a mano....) e a gesti identici secolo dopo secolo. Il Comitato Interprofessionale dei vini di Champagne lotta, in particolare, per il rispetto degli standard di qualità con lo scopo di garantire l’esclusività del nome Champagne nel mondo intero. Com’è nato il cognac? Il Cognac nasce da un bisogno pratico: nel Xii secolo, quando bisognava trasportare i vini prodotti nei grandi vigneti intorno alla Rochelle, fino a Cognac, per evitare le alterazioni dei vini durante il lungo viaggio, in un primo momento i mercanti inglesi e olandesi distillavano il vino all’arrivo, poi prima della partenza. Nel Xvii secolo, venne stabilita la doppia distillazione, permettendo così di avere una bevanda alcolica concentrata e inalterabile, l’acquavite, che facilitava il trasporto e la conservazione. Poi il caso ha permesso di accorgersi che l’acquavite invecchiava meglio all’interno di botti di quercia. Da quel momento in poi si è cominciato a bere l’acquavite così come era: questo concentrato prese allora il nome di Cognac  
   
 

<<BACK