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Notiziario Marketpress di Giovedì 03 Marzo 2011
 
   
  LINGUA ITALIANA E IDENTITÀ NAZIONALE: UN POSTO D’ONORE NEL 150° DELL’UNITÀ D’ITALIA

 
   
  Roma, 3 marzo 2011 - La lingua italiana ha contribuito in maniera determinante alla formazione dell’unità nazionale e costituisce un elemento fondamentale della nostra identità. Ogni cultura, attraverso le parole, continua ad appartenerci, vive ogni giorno nel nostro presente, celata fra le pieghe delle parole. Dietro di esse si svelano le tracce della piccola e della grande Storia. Oggi, inoltre, la lingua è divenuta uno strumento di integrazione e di accoglienza per gli stranieri che giungono in Italia da ogni parte del mondo. Le celebrazioni del 150° anniversario dell´Unità d´Italia sono un’occasione per diffondere nelle giovani generazioni la consapevolezza dell’importanza dell’italiano e dell’intera nostra storia linguistica, ricca e complessa, basata su delicati equilibri che esse dovranno rispettare e valorizzare. Nell’ambito del 150° anniversario dell’Unità d’Italia la Presidenza della Repubblica ha promosso il 21 febbraio 2011 l’incontro sul tema “La lingua italiana come fattore portante dell’identità nazionale” «I motivi di orgoglio e fiducia nel celebrare l’Unità d’Italia debbono animare l’impegno a superare quel che è rimasto incompiuto. Non idoleggiamo il retaggio del passato e non idealizziamo il presente. I motivi di orgoglio e fiducia che traiamo dal celebrare l’enorme trasformazione e avanzamento della società italiana per effetto dell’Unità e lungo la strada aperta dall’Unità, debbono animare l’impegno a superare quel che è rimasto incompiuto e ad affrontare nuove sfide e prove per la nostra lingua e per la nostra unità». È quanto ha affermato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione dell’incontro. L’evento, promosso dalla Presidenza della Repubblica in collaborazione con la Società “Dante Alighieri”, l’”Accademia dei Lincei”, l’”Accademia della Crusca” e l’”Istituto dell’Enciclopedia Italiana”, è stato aperto da Letta, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio. È seguita la proiezione di un filmato realizzato da Minoli con i materiali dell’archivio Rai. I lavori sono stati introdotti da Giuliano Amato, Presidente del “Comitato dei Garanti del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, che ha parlato sul tema: “La lingua italiana e l’Unità nazionale”. La manifestazione è stata caratterizzata dagli interventi di Tullio De Mauro (“L’italia linguistica dall’Unità all’età della Repubblica”), Vittorio Sermonti (“La voce di Dante”), Luca Serianni (“La lingua italiana nel mondo”), Carlo Ossola (“I libri che hanno fatto gli italiani”), Nicoletta Maraschio (“Passato, presente e futuro della lingua nazionale”) e Umberto Eco (“L’italiano del futuro”). In particolare, De Mauro osserva come, «dai primi anni postbellici, la necessità di sviluppare la scolarità fu avvertita non solo da intellettuali attenti e appassionati, come Piero Calamandrei, Umberto Zanotti Bianco, Guido Calogero, cui doveva poi unirsi don Lorenzo Milani con l´analisi puntuale e la conseguente bruciante denunzia del suo “Esperienze pastorali”», ma «fu largamente condivisa dal ceto politico che nell´Assemblea Costituente votò la costituzionalizzazione dell´obbligo scolastico e della sua gratuità per almeno otto anni (art. 34, c.2), e dagli stessi governi che portarono la quota di prodotto interno, destinato all’istruzione, ai livelli dell´età giolittiana fino a superarla». Serianni nota che: «A differenza dell’islamismo, che ha nell’arabo la sua lingua di riferimento, nel cristianesimo tutte le lingue sono sullo stesso piano e non c’è una lingua ufficiale della Chiesa cattolica (il latino svolge al più il ruolo di lingua scritta come strumento dei documenti ufficiali). Ma la sede del Papa è a Roma, a Roma opera la Curia, a Roma hanno sede prestigiosi atenei pontifici: l´italiano è di fatto la lingua moderna più frequentemente praticata nelle alte sfere della Chiesa e tra la massa dei religiosi che trascorrono un periodo più o meno lungo di formazione a Roma: e questo ruolo è emerso con chiarezza proprio nell´ultimo trentennio segnato dal pontificato di due papi non italiani; sia Giovanni Paolo Il - non a caso insignito nel 2003 dal nostro Ministero degli Esteri del titolo di “ambasciatore della lingua italiana nel mondo” - sia il pontefice regnante Benedetto Xvi sono ricorsi o ricorrono all´italiano anche in visite all’estero, almeno quando non è possibile adoperare la lingua del luogo». Ossola, da parte sua, afferma che, «fatta l’Italia» nel 1861, «restavano da fare gli Italiani, secondo il monito di Massimo d’Azeglio; ma mancavano anche i libri che potessero, per la loro storia, valori e ideali, porsi come strumenti di educazione e formazione della rinata Italia», e che «a tale progetto contribuirono certamente I Promessi Sposi, in specie a partire dall’edizione illustrata del 1840» [dal pittore piemontese Francesco Gonin (1808-1889)] senza dimenticare «il ruolo essenziale avuto da Le mie Prigioni di Silvio Pellico (Saluzzo 1789-Torino 1854)» Nicoletta Maraschio ci spiega che «Solo dal Cinquecento, per il concorrere di fattori di natura materiale e ideale fra i quali un peso determinante ha avuto senza dubbio la stampa (si pensi ad Aldo Manuzio), si è affermato un preciso modello normativo, tendenzialmente unitario, destinato all’inizio soprattutto alla scrittura letteraria ma ben presto diventato riferimento fondamentale per chiunque fosse capace di scrivere; si è formata una copertura che si è estesa a coprire fondamentali funzioni linguistiche (politica, giustizia, scienza, religione), una copertura che naturalmente non ha eliminato, sovrapponendosi ad esse, le altre lingue d´ltalia scritte e soprattutto parlate (i dialetti). Da questo momento […] possiamo dire che esiste una lingua italiana tendenzialmente unitaria (così la chiama appunto il letterato e grammatico vicentino Gian Giorgio Trissino, anche se altri preferiscono chiamarla toscana), una lingua strutturalmente e storicamente collegata a un volgare medievale, al fiorentino del Trecento». Umberto Eco, infine, non ha dubbi e dice che se «il 17 marzo del 1861 Cavour scrive una lettera a D´azeglio in francese», ciò significa che "«per l´unità del Paese» la lingua è stata «inutile», ma che oggi è un fattore indispensabile nella «disunione»; e prosegue: «anche se l´unità venisse infranta, come alcuni vogliono, la lingua italiana non verrebbe meno […]; un trionfo dei dialetti ci impedirebbe anche di parlare tra noi» e se l´Italia fosse divisa «l´italiano sarebbe l´unico strumento di contatto».  
   
 

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