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Notiziario Marketpress di Lunedì 07 Marzo 2011
 
   
  AL TEATRO ELFO PUCCINI URGE DI E CON ALESSANDRO BERGONZONI

 
   
  Milano, 7 marzo 2011 - Un autore che in scena può far scomparire in un attimo il senso comune e sostituirlo con panorami fino a oggi impensabili, un affabulatore che non ha imitatori proprio perché si immerge nel linguaggio fino a vivisezionarne i concetti fondanti. Con le sue stesse parole: «Non imita, non si limita, oltrepassa, sceglie, preferisce prima di essere ferito, cerca, scava, scova». Nel nuovo spettacolo, debuttato il 25 ottobre 2010, vediamo in scena un Bergonzoni anarchicamente comico, ma sicuramente molto polemico e metafisicamente critico verso la realtà. Furibondo con chi si è rassegnato, con chi si è arreso, ha messo in scena un monologo più arrabbiato e ribelle degli altri inquieti copioni della sua trentennale carriera. Per la prima volta parte da noi, dai temi della nostra vita e dell’attualità: «non per fare nomi o satira, ma racconto politico». Ma cosa “Urge” a Bergonzoni, che arriva a questo testo dopo il pluripremiato Nel? Sicuramente segnalarci delle differenze che se trascurate possono realmente cambiare il senso delle cose, come quella tra sogno e bisogno. Ma anche dimostrare che la comicità è fatta di materiali non solo legati all’evidente o al rappresentato. «Urgono sogni, che non sono l´auto nuova, la barca... Quelli sono bisogni, non sogni. Urge profondità». «Stai colmo! Questo mi sono detto nel fare voto di vastità, scavando il fosse, usando il confine tra sogno e bisogno (l’incubo è confonderli).Come un intimatore di alt, come un battitore di ciglia che mette all’asta gli apostrofi delle palpebre, come l’inventore del cuscino anticalvizie o del transatlantico anti agressione, come chi è posseduto da sciamanesimo estatico, a suon di decibellezze da scorticanto, come giaguaro che diventa uno degli animali più lenti se in ascensore e come lumaca che diventa uno dei più veloci se in aereo, così tra tellurico e onirico, tra lo scoppio delle alte cariche dello stato (delle cose), tra me e me, in uno spazio da antipodi, in un limbo dell’imparadiso (infermo di mente piu’ che fermo di mente), ho avuto un sentore: urge». Alessandro Bergonzoni «Se dovessi descrivere i punti dai quali siamo partiti per la genesi di questo spettacolo non avrei dubbi: l’urgenza, l’allerta, la necessità di non astenersi dal dire, la traiettoria che permette lo sconfinamento veloce da un territorio artistico conosciuto e praticato in direzione dei “vasti” spazi confinanti. Ma cosa, in definitiva, “Urge” a Bergonzoni? Sicuramente segnalarci delle differenze; quella mancanza di precisione nello sguardo del mondo che se trascurata può realmente cambiare il senso delle cose, quelle frettolose banalizzazioni che accomunano cose in realtà diversissime tra loro. E anche dimostrare che la comicità è fatta di materiali non solo legati all’evidente o al rappresentato. Ma soprattutto mettere sotto gli occhi degli spettatori il suo “voto di vastità”: un vero e proprio canone artistico che lo obbliga, sia come uomo ma soprattutto come artista, a non distogliere mai gli occhi dal tutto: un tutto composto dall’enormità, dall’invisibile, dall’onirico, dallo sciamanico, dal trascendentale. Un tutto che forzatamente non può non essere poi riversato anche sul palcoscenico per essere esibito con tutti i mezzi dell’arte autoriale prima ed attoriale poi. Ed anche oltre. La glossolalia non lo frena e gli “illuminati” sul fondo non lo irretiscono.
Un tutto perturbante che, forse, costringerà a considerare Bergonzoni non più solamente maestro di cerimonia di una liturgia comica ma anche strumento di correzione ottica per permettere di vedere meglio la vastità in cui siamo immersi. Attenzione: lo stupore della scoperta può essere fragoroso». Riccardo Rodolfi  
   
 

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