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Notiziario Marketpress di
Lunedì 28 Marzo 2011 |
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ITALIA A CHE PUNTO E’ LA CRISI
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Milano, 28 marzo 2011 - Anche se la fase acuta della crisi (o, perlomeno, l’acme della sua narrazione mediale) sembra essere superata, la ripresa italiana sul piano economico e dei consumi resta incerta: la crescita rimane debole (+1.1% di andamento tendenziale del Prodotto Interno Lordo nel 2010, dopo due anni di recessione, con una previsione allo 0.9% per il 2011 e all’1.1% per il 2012) (Banca d’Italia). Un aumento - inferiore a quella delle altre economie avanzate - che alla fine del 2012 avrà permesso di recuperare solamente la metà della perdita accumulata nel periodo 2008- 2009. Una crescita, tra l’altro, guidata soprattutto dalle esportazioni e quindi poco supportata dagli andamenti della domanda interna: i consumi interni delle famiglie sono infatti cresciuti nel 2010 solamente dello 0.4% rispetto all’anno precedente, con una previsione dello 0.8% sia per il 2011 che per il 2012. Questi valori trovano conferma anche nella percezione dei consumatori: solamente l’1% dei cittadini ritiene che siamo usciti o stiamo uscendo dalla crisi, mentre circa il 30% pensa che la ripresa si avrà nel prossimo biennio. Per oltre due terzi della popolazione, le prospettive di ripresa economica restano perciò vaghe, dubbie o decisamente spostate di là nel tempo (Monitor sui Climi Sociali e di Consumo Gfk Eurisko). Per evitare equivoci e pericolose miopìe, è importante però ricordare che la crisi del passato biennio è stata – nel nostro Paese - solo il terminale di un intero decennio di declino economico. Declino segnato da una crescita economica quasi impercettibile (+1.5% l’incremento complessivo del Pil tra il 2000 e il 2009, contro una media della zona Euro di quasi il 10%), da un costante indebolirsi del potere d’acquisto (dal +18% del 2000 al -2/-3% di oggi rispetto ai valori medi Ue) e da livelli di consumo delle famiglie sostanzialmente stagnanti (+3.7% dal 2000 al 2009, un terzo della media della zona Euro) Anche se il periodo 2008-2009 ha rappresentato il nadir di questo progressivo declino, la crisi ha dunque solo accentuato i problemi strutturali e di lungo corso di cui soffre l’Italia: bassa crescita dell’economia, livelli inadeguati delle retribuzioni, stasi dei consumi, che sono andati a intrecciarsi ad altri storici deficit socioeconomici (elevato debito pubblico, bassi investimenti per la ricerca, profondi squilibri territoriali nella domanda, debole presenza femminile sul lavoro ecc.). Le difficoltà del Paese – e le sue eventuali prospettive di ripresa – vanno perciò contestualizzate in un’ottica temporale diversa e di più lungo corso: non è un caso che il tema delle aspettative decrescenti, del declino, della paura del futuro, rappresenti da ormai un decennio un tema centrale nel vissuto degli Italiani. Ed è del resto emblematico, a testimoniare la portata di questa crisi di fiducia/opportunità a doppia entrata (da parte degli Italiani ma anche delle componenti straniere più dinamiche e qualificate) come l’Italia presenti un saldo di brain drain (partenze e arrivi di lavoratori scolarizzati e qualificati) tra i più negativi delle nazioni ad economia avanzata. Il Quadro Occupazionale E Le Nuove Classi Popolari - In questo contesto, il tema dell’occupazione è evidentemente centrale: nel 2010 il tasso di disoccupazione in Italia è salito all’8.7% (con un picco vicino al 30% nelle fasce giovanili), il livello più alto dal 2001. Se si includono anche le ore di cassa integrazione e la quota di lavoratori scoraggiati (coloro che hanno smesso di cercare lavoro, perché convinti di non trovarlo) il valore sfiora però l’11%. A questo fenomeno si aggiunge il costante deperimento nella composizione e nella “qualità” del mercato del lavoro, con la crescita di contratti a termine e lavori “precari”, dequalificati e a bassa remunerazione, soprattutto tra i giovani. Si tratta nel complesso di un primo, importante macrofattore che deprime, almeno in parte, perimetro e contenuti della domanda aggregata di consumi privati. Ma il problema dei redditi è di ordine più generale: il rialzo dei costi di servizi primari (in particolare abitazione, energia e trasporti), l’indebolimento dei sistemi di welfare che ha spostato sul mercato alcuni servizi prima garantiti, l’aumento dei prezzi dopo l’introduzione dell’Euro quasi dieci anni fa, hanno ridotto il potere d’acquisto soprattutto delle famiglie con redditi da lavoro dipendente e da trasferimento. Così, alla creazione di una nuova classe di lavoratori “deboli” (precari/in mobilità/sottopagati ma anche salariati, stipendiati e pensionati a basso reddito) ha corrisposto la progressiva espansione di una robusta classe di consumatori “leggeri” a cui le politiche del reddito non hanno saputo nel tempo dare risposta e garantire sostegno. Questo fenomeno ha perciò contribuito ad accentuare le già forti sperequazioni del Paese (l’Italia ha il sesto maggior indice di ineguaglianza economica tra i Paesi Oecd), rafforzando una polarizzazione economica che deprime i consumi ad un estremo, senza essere in grado di rilanciare gli investimenti e il lavoro sul versante opposto (almeno da noi, dove la ricchezza di rado genera investimenti produttivi e più spesso si trasforma in fattore di rendita). Gli Anticorpi Alla Crisi Del Sistema Italia - Certamente, ad attenuare gli effetti della crisi economica sul fronte dei consumi hanno contribuito alcuni fattori: il basso livello di indebitamento privato e l’elevata patrimonializzazione/ ricchezza complessiva familiare; la funzione di ammortizzatore svolta dalle famiglie in chiave di welfare (accudimento ai bambini, assistenza agli anziani, cura della casa); la capacità da parte dei consumatori di adattare i propri repertori di risposta, mettendo a punto nuove strategie d’acquisto (più ricorso a sconti e promozioni, dilazioni degli acquisti importanti, fungibilità di marca, nomadismo tra i punti retail ecc.); la crescita di forme distributive, a costi contenuti, alternative ai canali tradizionali (spacci, outlet, vendite dirette, gruppi d’acquisto, acquisti on-line…); ma anche, indubbiamente, la presenza di una vera e propria “doppia contabilità nazionale”, con un’economia sommersa che le più recenti stime danno al 17-18% del Pil e che finisce inevitabilmente per alimentare una robusta area di consumi, a dispetto delle cifre ufficiali relative a reddito e ricchezza. Le Prospettive E Una Strada Obbligata - Ma è evidente che, al netto di questa relativa “tenuta” (spesso comunque sovrastimata), disoccupazione, sottoccupazione, perdita di potere d’acquisto, sommati a un crescente disequilibrio della domanda hanno fortemente penalizzato, in particolare nell’ultimo triennio, i comportamenti e le prospettive di consumo degli italiani. Considerando anche il costante declino del tasso di risparmio che interessa da anni il Paese e lo ha ridotto a termini ormai difficilmente comprimibili (24% di risparmio netto nel 1988, 12% nel 1998, 8% nel 2008) diventa a questo punto difficile ipotizzare una ripresa della domanda significativa e ben distribuita, in assenza di correttivi strutturali profondi. Eppure, è ormai evidente come solo affrontando e cercando di attenuare questi problemi di fondo – migliorando i tassi di occupazione, giovanili ma anche femminili (ad esempio, attraverso la costruzione di una filiera produttiva nuova, ispirata ai temi dell’innovazione e della sostenibilità); contenendo le forme di precarizzazione occupazionale; ridefinendo le politiche di sostegno al reddito; riducendo le forme più vistose, spesso di origine finanziaria, di discrepanza economica (sia in chiave assoluta che territoriale); in definitiva, rigenerando e rifondando le premesse del binomio produzione/consumo – che potranno porsi le condizioni per una rivitalizzazione solida e non effimera della situazione economica del Paese. È un compito gravoso e complesso, a cui in questo momento l’azione politico-economica, per diverse ragioni, non sembra in grado di dare risposta. Ma è una strada obbligata, che non può conoscere, questa volta, deroghe o compromessi: in assenza di questi cambiamenti profondi, nei prossimi anni potremo assistere solamente ad aggiustamenti parziali, insoddisfacenti e strutturalmente volatili della domanda interna, non certo al rilancio che gran parte di consumatori e imprese oggi auspicano. |
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